da "AURORA" n° 21 (Ottobre - Dicembre 1994)

L'ECONOMIA

La depauperazione dei ceti medi

Giovanni Mariani

«Si restringe l'area della miseria...» annunciano con toni trionfali i mass media, riportando con enfasi gli ultimi dati ISTAT. Nella realtà, ci pare, ci sia poco da gioire se è vero che la fascia (5,5%) delle famiglie italiane che vive ai limiti delle sopravvivenza (un reddito inferiore a dodici milioni annui) diminuisce anno dopo anno, è altrettanto vero che crescono a vista d'occhio le fasce intermedie che devono far quadrare i conti a fine mese con estrema difficoltà. E sono queste fasce intermedie che percepiscono meno di 20 milioni annui a rappresentare un notevole 20% che è costretto «a tirare la cinghia». Mentre la fascia medio-alta, ossia coloro che percepiscono un reddito annuale inferiore a 40 milioni annui è destinata ad assottigliarsi sempre di più confluendo, a tappe forzate, verso quel ceto sociale definito di «media povertà» che la congiuntura economica tende a far dilatare.
Appare chiaro che se da una parte si restringe progressivamente l'area del cosiddetto sottoproletariato -il «lumpenproletariat» per usare un termine caro alla Rosa Luxemburg- dall'altro assistiamo alla progressiva proletarizzazione delle classi medie; quelle per intenderci, che fino a qualche anno addietro sembravano aver raggiunto una condizione economica soddisfacente e stabile. È quindi bene chiarire che nel contesto di una Società proiettata verso la «fase suprema» del consumismo, quindi inserita all'interno di forte competizione, l'essere esclusi repentinamente dalla possibilità di accedere ad un «consumo medio di beni», significa entrare in una situazione di emarginazione sociale oltreché di miseria.
Riteniamo che non sia necessario aver conseguito una laurea in economia e commercio per comprendere appieno quanto sia difficile mantenere decentemente una famiglia con un reddito inferiore a due milioni mensili, a meno che non si intenda uniformare la società italiana ai modelli del Terzo Mondo ove da sempre si tende a far scomparire la classe sociale intermedia creando una situazione bipolare netta: poverissimi e ricchissimi. In questo contesto l'indottrinamento edonistico e le mirabilanti promesse della telecrazia al potere perdono progressivamente la loro funzione di narcotico sociale. E se un 20% degli italiani, nel volgere di qualche anno, sarà assimilato a quel 15% di statunitensi che vivono sotto la soglia della povertà, l'impatto sociale sarà ben maggiore di quello provocato negli USA dai 39 milioni di poveri privi della benché minima assistenza sanitaria e sociale.
Appare dunque chiaro che gli anni Novanta si configurano in modo sempre più netto come gli anni della regressione con l'Italia che si avvia ad essere una copia esatta degli Stati Uniti. Questo ci pare avvenga oltreché per ragioni economiche anche per ragioni culturali -sempre che si voglia dare dignità culturale al consumismo e all'edonismo made in USA.
Ritornando al concreto e volendo fare i cosiddetti «conti della serva», come possiamo immaginare la vita di una famiglia di 3/4 persone che si regge su un reddito di 1.800.000? Sapendo che in una città, ad esempio Milano, l'affitto di un modesto bilocale di periferia ha un costo mensile che varia dal milione al milionetrecentomila lire. E certo quest'esempio non prende in considerazione le famiglie operaie, che a parere dei grandi soloni del berlusconismo dovrebbero «poter vivere» con un milionetrecentomila lire mensili, perché altrimenti dovremmo ipotizzare una sorta di cibernauta che non mangia, non usa il telefono, il gas, l'elettricità e vive la sua vita in costume adamitico! Eppure le famiglie di operai e impiegati (ove esisteva ancora la figura della "casalinga") riuscivano fino a quindici-venti anni fa a vivere decentemente, permettendosi il lusso di mantenere i figli a scuola almeno fino agli Istituti Superiori, e non raramente fino a quelli universitari, possedendo una automobile, non di rado riuscendo sul limitare della pensione a comprarsi un piccolo appartamento. Inutile dire che invece la situazione attuale è completamente diversa; se l'operaio o l'impiegato potevano un dì acquistare l'agognato bilocale, o trilocale, a quindici anni di distanza faticano a pagarne l'affitto.
Ma non è tutto; se fino a quindici anni orsono un solo stipendio (pur con qualche sacrificio e rinuncia) era in grado di sostenere dignitosamente la "baracca", oggi al contrario si fa fatica a sostenerla con due.
Ed è così che molti trentenni preferiscono rimanere in famiglia, non certo per "mammismo", ma in quanto vi è l'impossibilità economica di «uscire dal guscio». Nel frattempo il matrimonio (o la convivenza) acquisisce sempre più la connotazione d'un contratto vero e proprio che permette il cumulo di due redditi finalizzato ad un'indipendenza dalla famiglie, ovvero, il «sogno d'amore» che diventa, sempre più sogno di «indipendenza economica». Le famiglie italiane che ancora riescono a vivere decentemente lo devono essenzialmente a tre ragioni:
1) perché sono riuscite ad acquistare l'appartamento quando i costi dei mutui erano relativamente ragionevoli;
2) perché hanno la fortuna di vivere (temporaneamente) in locali con affitti bloccati;
3) perché hanno ereditato l'appartamento.
In questa progressiva proletarizzazione del ceto medio, che non riguarda solo il lavoro salariato, ma coinvolge ormai parte significativa della piccola imprenditoria (commercianti ed artigiani) che sta segnando il passo di fronte all'offensiva della grande produzione/distribuzione sostenuta da un sistema bancario che ha nei fatti decretato uno spietato ostracismo verso i piccoli lavoratori autonomi fino ad isolarli e distruggerli economicamente.
A riprova, di questo nostro ragionamento, vi sono le 105.000 aziende "decedute" nel 1993; un'ecatombe, nella maggioranza dei casi, di aziende individuali, diminuite del 4,3%. Sempre a riprova dell'offensiva capitalista è necessario evidenziare come nel corso del '93 c'è stato un consistente aumento delle imprese di capitale (+4,4%). La tendenza alla progressiva disintegrazione delle aziende individuali era già emersa nel '91, ma alcuni demagoghi eccellenti (i leghisti di Bossi) imputarono di questa la "minimum tax", sfruttando a fini elettorali questa loro asserzione, quando in realtà la causa di questa situazione è da ricercarsi nella strategia economico-politica che prevede in questa fase, di ristrutturazione del sistema produttivo, la scomparsa della piccola imprenditoria che difficilmente potrebbe far fronte (senza forme cooperative di associazionismo) alla crescente competizione tecnologica.
In questo senso appaiono risibili le misure proposte dalla Camera di Commercio che chiedono il coinvolgimento di Enti Locali e banche al fine di creare i supporti necessari alle micro imprese per svilupparsi o, più realisticamente, per non morire. Ben sapendo quale sia stato il ruolo delle banche nella depauperazione del ceto medio.
Ci pare, quindi, di poter affermare che questa situazione di crisi nella piccola impresa sia determinata da scelte precise del «nuovo ordine economico». Il ceto medio deve essere ridotto ad un ruolo di subalternità assoluta, a cominciare dalla progressiva disintegrazione del suo apparato produttivo antagonista che in questo dopoguerra aveva dato innumerevoli prove delle sue capacità concorrenziali rispetto alla grande produzione capitalista. Questo progressivo impoverimento dei ceti medi era stato teorizzato con buon anticipo da Rosa Luxemburg e Benito Mussolini fra il '12 e il '19; «(...) Il capitalismo vive su formazioni economiche non capitalistiche, più precisamente sulle rovine di queste formazioni».
Alla luce di questo prossimo, ineluttabile destino a cui va incontro la piccola impresa sarebbe necessario da parte della Sinistra Nazionale un'opera di sollecitazione per risvegliare nel ceto medio una coscienza politica che lo stesso materialismo marxista definisce «coscienza di classe». Perché nella realtà economico-sociale il ceto medio rappresenta una vera e propria classe che, a differenza del proletariato (parola ormai priva di senso) e del sottoproletario che non possiede che debiti e forza/lavoro, è dotata non solo di piccoli capitali (peraltro destinati ad esaurirsi nel breve arco di un decennio), ma persino di vari e propri strumenti economici indipendenti e antagonisti in grado di seriamente impensierire l'egemonismo finanziario, qualora riuscisse ad organizzarsi cooperativisticamente.
In sintesi, una vera e propria coalizione economica delle classi sfruttate affiancate da un vero e proprio apparato «socializzato» dotato di banche-cooperative destinate all'autofinanziamento delle future attività economiche sulla base di tassi agevolati.
Solamente qualora il ceto medio riuscisse a prendere coscienza delle proprie potenzialità e della propria forza, nonché della minaccia che il grande capitale finanziario rappresenta potrebbe in qualche modo impedire il proprio depauperamento nonché quello dell'intera nazione. A patto, ovviamente, che questo ruolo economico non sia finalizzato unicamente alla difesa dei pur legittimi interessi di una sola classe sociale ma abbia una più ampia coscienza della posta in gioco.
La ricetta di certa sinistra, quanto quelle del qualunquismo leghista, rimangono comunque funzionali alla frantumazione del fronte anticapitalista. Scagliare la rabbia dei salariati contro il piccolo imprenditore, e viceversa, equivale ad indebolire entrambi; impedendo che le istanze delle classi sfruttate dal capitalismo si saldino, a tutto vantaggio del capitalismo ecumenico.
Taluni potranno tacciare la nostra proposta di semplicismo utopistico, ma le critiche dei chiacchieroni senza obiettivi non deve farci deflettere da operare un serio sforzo di sensibilizzazione in questa direzione. Sarà quindi necessario coinvolgere sempre più associazioni di categoria e organizzazioni sindacali su questo progetto, cosa che, a nostro parere, può essere fatta con un'opera di informazione mirata attraverso anche la diffusione di materiale informativo alle categorie interessate.
Dobbiamo compiere uno sforzo in questa direzione anche per difendere con maggiori probabilità di successo quelle garanzie sociali oggi oggetto del forsennato attacco classista da parte del governo delle Destre. Facendo appello a quanti non hanno abbandonato la fede in un socialismo non materialista che rafforzi, l'unità dei lavoratori e quella del popolo italiano.

Giovanni Mariani

 

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