da "AURORA" n° 21 (Ottobre - Dicembre 1994)

EDITORIALE

Segnali di fumo

Luigi Costa

La luna di miele è terminata. Tra gli Italiani e il Governo delle Destre inizia la fase della convivenza che già si preannuncia ad alta conflittualità. La Legge Finanziaria ha rotto l'incantesimo e milioni di lavoratori dopo le iniziali mobilitazioni spontanee hanno massicciamente aderito allo sciopero generale del 14 ottobre.
Berlusconi, Fini e Bossi, come già in altre occasioni nel corso di questi sei mesi, hanno sottovalutato la capacità di reazione della controparte sociale, recependo la pericolosità di uno scontro frontale solo a uova rotte e frittata cotta. Tant'è che la truculenta e spocchiosa rigidità "moscovita" del Cavaliere, che dalle "amene stanze" del Cremlino informava pensionati e lavoratori italiani che: «né uno, né dieci, né cento scioperi avrebbero cambiato di una virgola la Finanziaria», si è velocemente trasformata in un più accorto e ragionevole «parliamone». A riprova che la mobilitazione popolare ha una valenza ben superiore a quella del «solito rito», definizione con la quale troppo frettolosamente era stata liquidata dai governativi, e dimostra e ribadisce che il mondo del lavoro e della produzione conserva intatta la sua centralità sociale e il suo potere contrattuale. A patto, evidentemente, com'è avvenuto in questa occasione, di preservare la sua coesione e unità e di avere ben chiari quali siano i propri diritti ed i propri interessi.
Di fronte alla mobilitazione popolare le reazioni governative sono state clamorosamente rabbiose e scomposte; ad esempio, all'esternazione del deputato "forzista" Meluzzi (ex-militante della sinistra extraparlamentare, oggi berlusconista tra i più arrabbiati) che proponeva di mobilitare la «piazza berlusconiana» rispondeva il controcanto del sottosegretario agli Interni, Maurizio Gasparri, che si impegnava a «mobilitare la piazza di destra» contro la manifestazione sindacale preannunciata dai Sindacati confederali a Roma, sabato 19 novembre. Che Gianfranco Fini lo abbia smentito (e che "sua eminenza" Tatarella lo abbia bacchettato sulle dita) nulla toglie alla gravità delle affermazioni del maggiore responsabile -dopo il ministro Maroni- dell'ordine e della sicurezza interna qual'è l'on. Gasparri. E spiega un mucchio di cose. Si comprende, ad esempio, il pressapochismo di questi "mediocri mezzadri" del potere quando pontificano su tutto lo scibile umano -e anche oltre- per poi autosmentirsi senza arrossire, come accaduto, ad esempio, allo stesso Berlusconi a proposito delle affermazioni, in terra russa, sulla Mafia o al ministro della Giustizia Alfredo Biondi sul decreto «salvaladri».
In sintesi, ci pare che il Polo della Libertà sia entrato nella fase di consenso decrescente; troppe parole, troppe risse, pochissimi i fatti concreti che nella maggior parte dei casi, ad esempio, «nomine RAI» e «condono edilizio» sono percepiti dalla stragrande maggioranza degli Italiani (anche da quelli che hanno votato Lega, Forza Italia e Alleanza Nazionale) come «favori» alla Fininvest. D'altro canto, Berlusconi -in questo sostenuto dal partito di Fini- pare non intenda dare eccessivo peso alla nota questione del doppio, incompatibile ruolo di proprietario della Fininvest e Capo dell'Esecutivo e Bossi, che su questo duramente lo contesta, appare di molto indebolito all'interno della Lega, quindi non in grado di imporre un "blind trust" degno di questo nome.
A conclusione di queste brevi note ci pare giusto fare qualche considerazione sulla CISNAL che ha appena concluso il suo IX° Congresso, confermando sostanzialmente i precedenti organigrammi dirigenti.
Abbiamo condiviso, sia nello spirito che nei contenuti, l'articolo di Alberto Ostidich «La CISNAL al bivio» pubblicato sul precedente numero di "Aurora". Purtroppo gli avvenimenti successivi sono andati ben oltre le più pessimistiche ipotesi che Alberto, nel suo scritto, paventava.
Sia chiaro, non è che dalle elezioni di marzo in poi non ci sia stata, da parte della Segreteria nazionale della CISNAL, una evidente "indietro tutta" che nulla prometteva di buono, ma che le contorsioni di Nobilia & Soci (: che pure in un documento ufficiale -come ricorda Alberto- affermavano: «L'identità della CISNAL quale sindacato nazionale e rivoluzionario, caratterizzato dall'obiettivo finalistico della Socializzazione delle Imprese in uno Stato del lavoro») fossero preludio all'insana scelta filo-governativa, beh, saremmo ingenui, ma non lo ritenevamo possibile.
È certo non perché non mettessimo in conto il condizionamento che sarebbe derivato dall'avere tra i propri dirigenti un considerevole numero di Deputati eletti nelle liste di Alleanza Nazionale, né perché si sottovalutassero le difficoltà della dirigenza romana nel far digerire ad una base riottosa (che da sempre si identifica, in grandissima maggioranza, con il MSI-Destra) il «nuovo verbo», ma in virtù della situazione oggettiva nel mondo del lavoro che era talmente favorevole, al progetto che la CISNAL aveva appena abbozzato, da rendere, in termini di logica politica, impossibile una totale retromarcia.
Le condizioni oggettive, alle quali ci riferiamo, sono le stesse che hanno permesso alla Triplice sindacale (che pure aveva una credibilità ridotta al lumicino dai marchiani errori compiuti in questi venti anni) di recuperare il consenso dei lavoratori assecondando la spontanea e diffusa ribellione alla Legge Finanziaria ed a tutta la politica antipopolare del Governo. Ma quello che è un errore imperdonabile per uno che ha scelto di fare il sindacalista, ed è pagato per questo, è di non aver aderito allo sciopero generale proclamato, non per motivi politici ma per difendere gli interessi dei lavoratori dipendenti, pensionati, artigiani e commercianti dal violento attacco ai loro diritti acquisiti, dalla altre Centrali sindacali. Non sappiamo se l'obiettivo di questa scelta era tentare di rompere l'unità dei lavoratori (sarebbe un fatto gravissimo) o dall'illusoria speranza che lo sciopero fallisse.
Quello che appare evidente è che anche un uomo di indubbie doti intellettuali come Nobilia è rimasto invischiato nella gestione burocratica dell'esistente, accontentandosi dei piccoli e sicuri vantaggi che l'essere sindacato di Governo comporta. Noi anche se, negli ultimi mesi, con non poche perplessità abbiamo creduto nella possibilità di costruire un soggetto politico-sindacale in grado di contrapporsi al modello sociale oggi vincente. Un soggetto appunto «nazionale e rivoluzionario, caratterizzato dall'obiettivo finalistico della Socializzazione delle Imprese in uno Stato del lavoro». Non ci pare che siano rimasti spazi per ulteriori illusioni, i «segnali di fumo» lanciati dalla CISNAL, per lungo tempo, oggi si sono alfine rivelati di un colore già conosciuto: il «giallo» che era poi il colore di questo sindacato durante la lunga segreteria di Gianni Roberti. Una lunga stagione di crumiraggio e di provocazioni antioperaie, specie nelle grandi fabbriche del Nord Italia, retribuita con sonante moneta dalla Confindustria. Se questa è la scelta, cari amici della CISNAL, non solo le nostre strade si dividono, ma le nostre posizioni si contrappongono; voi dalla parte dei liberisti governativi, noi coi lavoratori, sempre e comunque in sintonia con il nostro sentire nazionale e rivoluzionario, rimanendo fedeli «all'obiettivo finalistico della Socializzazione delle Imprese in uno Stato del lavoro».

Luigi Costa

 

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