da "AURORA" n° 21 (Ottobre - Dicembre 1994)

IL MOVIMENTO

Le parole per dirlo

Ivano Boselli

Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri.
Questo è tutto quello che rimane delle regole datesi dagli animali della fattoria Jones, dopo qualche tempo di regime suino.
Nella fattoria Italia invece, che ne è stato delle leggi che regolano il vivere comune? Che ne è stato della Costituzione della Repubblica Italiana?
Decretizzata.
Da noi a differenza di quanto successe nel racconto di Orwell, il complesso delle regole di comportamento ha avuto un'evoluzione diametralmente opposta, invece di semplificarsi-svelarsi si è complicato-celato. Una differenza palesemente esteriore, perché oggi da noi: tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più eguali degli altri.
Nonostante la Costituzione dica esplicitamente che «non può essere delegato al Governo l'esercizio della funzione legislativa» e che l'Esecutivo «può emanare decreti solo in casi straordinari, di necessità, e d'urgenza, siamo ormai abituati quotidianamente a decreti, ordinari, inutili, prorogabili. Tutto questo per la necessità che i nostri governanti hanno di liberarsi mani e piedi dei lacci costituzionali che non permetterebbero loro di governare a calci e pugni.
Dice bene Vito Errico nella sua analisi: «Cambiare le regole in corsa, non è soltanto modifica normativa. È un problema di natura giuridica».
Inoltre il decreto viene usato sempre più come strumento, non già di lavoro, ma di lotta politica. 
Allora c'è quello stile «arma d'ordinanza» (Biondi), quello stile «nebbia in Val Padana» (salva RAI), e così via, in alcuni casi non ha punto importanza che venga in seguito approvato dal Parlamento perché ha ottenuto il suo scopo con la semplice emanazione.
Inoltrandoci poi nella giungla legislativa, si notano immediatamente i giganteschi resti putrefatti dei principî fondamentali, tutti ormai decrepiti; tutti tranne uno, l'articolo 12: «La bandiera della Repubblica, è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di uguali dimensioni».
Proseguendo, non si può non rimanere commossi per la miriade di pianticelle legislative abbandonate a se stesse, in balia degli elementi, senza alcuna cura, svilite e senza futuro, come la 141 e la 241 del '90. Due leggi che avrebbero dovuto garantire il cosiddetto diritto d'accesso agli atti delle pubbliche amministrazioni; e la trasparenza? E il difensore civico? Ben poco è successo perché tra regolamenti d'attuazione, nella maggior parte dei casi ancora vacanti, mancanza di personale e scarsa volontà politica, sono rimaste senza esito; forse ci vorrebbe un bel decretino sulla trasparenza amministrativa, magari, stile «fumo negli occhi».
Così non va.
Con i governanti che si trasformano in tanti piccoli, novelli Mosè, le leggi che ancor prima di essere attuate vengono sostituite, i princìpi fondamentali della Costituzione ignorati, dove sono i vantaggi democratici? Se poi a tutto questo si aggiunge che nella fabbrica regna l'arbitrio padronale, nel sindacato la burocrazia, nel Comune e nella Provincia il rappresentante del potere centrale, nelle sezioni locali dei movimenti politici il fiduciario del capo del partito. Altro che emergenza mafia, altro che sciopero generale in difesa delle pensioni, altro che insulti e schiaffi tra Paissan e Storace sul controllo dell'informazione.
Avendo letto alcune costituzioni nazionali, si è formata in me la convinzione che proprio in queste si possono trovare (paradossalmente) degli strumenti validi «contro il nuovo ordine mondiale», «per uno schieramento contro il capitalismo» e mezzi concreti «per il rafforzamento dello Stato sociale» e «per il diritto alla casa». Per quanto riguarda il paradossalmente ci vorrà un approfondimento successivo ed esauriente, ora mi interessa qui sottolineare l'importanza, in via di principio, del rispetto delle leggi costituzionali.
Può l'antagonismo, e quindi la Sinistra Nazionale usare lo strumento della Costituzione della Repubblica Italiana per raggiungere i propri scopi? Io penso di si.
Intanto può aiutare a risolvere il problema del linguaggio. Per un movimento che si prefigge coscientemente di assemblare personalità ed esperienze una volta in lotta tra di loro, con un bagaglio culturale dissimile e magari con qualche cicatrice che provoca ancora prurito, è importante trovare parole nuove, che non siano portatrici di vecchi risentimenti, parole nuove capaci però di riproporre le stesse primordiali aspirazioni ed analisi politiche, che non erano le vere ragioni del dissenso tra i diversi antagonismi. Provate, ad esempio a scorrere il titolo III della Costituzione, quello sui rapporti economici; vi si possono trovare le basi per il rafforzamento dello Stato sociale. Certo mi si obietterà che sono solo principî che nel corso delle legislazioni sono stati stravolti se non addirittura capovolti; è vero, l'ho detto sopra. Ma non è importante.
Importante è che abbiamo trovato parole al di sopra di ogni sospetto: sono le parole dei padri della repubblica. 
Anche se ignorate sono riconosciute in alcuni casi, anche forzatamente, dalle stesse forze che considerano le regole costituzionali un impaccio nel loro esercitare il potere; abbiamo le parole giuste da usare con la gente «costretta» a chiamarci fascisti perché parliamo di socializzazione: art. 41 «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana...».
Siamo incontentabili, secondo molta gente, per le continue richieste di miglioramento delle condizioni di lavoro e retribuzione, siamo comunisti bene, sentite questa: art. 36 «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa». Ecco che in questo modo siamo in grado di portare avanti il nostro progetto antagonista con parole del tutto integrate e non di ostacolo nella proficuità della nostra propaganda e non mi sembra cosa da poco.
Anche un altro aspetto, nell'uso delle leggi costituzionali ci può tornare utile, ed è quello dell'offerta, che il movimento dà, di un servizio alla società. 
Con la diffusione delle leggi costituzionali a noi consone, non solo abbiamo la possibilità strumentale nell'uso di mezzi impropri ed efficaci, ma attiviamo, allo stesso tempo, un servizio che nessuna istituzione (scuola, partiti, presidenza della repubblica...) ha mai fatto seriamente e in maniera costante e duratura.
Attivare un servizio porta con sé numerosi vantaggi sia per chi ne usufruisce che per chi si occupa di attuarlo. Provate ad immaginare la faccia di alcuni di Forza Italia, ministri compresi, quando riveliamo che le parole da noi usate «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività» sono quelle della Costituzione; anche questo aspetto non mi pare del tutto marginale.
Vi è infine la questione della perseveranza di un movimento come la Sinistra Nazionale, che può avere impulso dall'uso della Costituzione. 
Quale attrezzo è meglio usare in un lavoro lungo e qualche volta logorante se non un attrezzo resistente ed intatto nel tempo? 
Certi aspetti della Costituzione ci offrono anche questa possibilità. 
Infatti, anche se sottoposta a duri attacchi con leggi truffa e decreti anticostituzionali, le regole della Costituzione possono venire cambiate solo con grande impegno delle forze politiche, che nel quadro attuale sono litigiosissime anche all'interno di alleanze e perciò, sicuramente incapaci di grandi cambiamenti strutturali rispetto alla Costituzione. 
Quindi, insieme a delle parole nuove ed efficaci nel capirci e farci capire, insieme all'offerta disinteressata, ma al tempo stesso pagante di un servizio, ecco la possibilità di impugnare uno strumento duraturo da usare nella lotta politica a «bassa intensità».

Ivano Boselli

 

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