da "AURORA" n° 21 (Ottobre - Dicembre 1994)

L'OPINIONE

I due volti del capitalismo

Luigi Costa

Condivido, in larga parte, i rilievi e le integrazioni del prof. Moricca rispetto all'editoriale «Consenso virtuale e poteri forti», pubblicato su "Aurora" (n. 6-7, agosto '94). L'intento dell'editoriale non era quello di inquadrare (anche per evidenti limiti di spazio) quello che nella sua globalità è il Nemico principale, ma aveva unicamente l'ambizione di rilevarne alcuni aspetti e contraddizioni, senza alcuna pretesa di discriminare sulla maggiore o minore pericolosità tra «capitalismo ecumenico» e «anarco-capitalismo». 
La posizione della Sinistra Nazionale sulla questione è estremamente chiara e precisa (essendo stata oggetto di innumerevoli saggi qui pubblicati) quanto sufficientemente nota, e non abbisogna, quindi, di essere qui ulteriormente ribadita.
L'analisi di Moricca, tuttavia (pur inoltrandosi nella questione con la consueta brillantezza e padronanza d'argomenti, evidenziandone alcuni non secondari aspetti), mi pare in parte viziata da una errata premessa; ossia, dall'accentuazione che lui pone su una frattura che a livello planetario si sarebbe prodotta all'interno del capitalismo internazionale. In realtà, la mia esposizione non prendeva in considerazione una rottura degli equilibri interni e dei rapporti di interconnessione tra le due anime del capitalismo a livello planetario, ma era riferita solo al dato nazionale, interno, o per utilizzare la bella definizione dello stesso Moricca, al «paradosso del capitalismo» che il berlusconismo rappresenta.
La contraddizione tra capitalismo ecumenico e anarco-capitalismo è quindi unicamente un paradosso oltreché un avvenimento contingente, territorialmente limitato e riferibile, al momento, unicamente alla realtà economico-politica italiana, che non ha prodotto nessuna crepa nella cementata solidità e solidarietà del capitalismo internazionale. Quindi è, a mio avviso, per lo meno affrettato trarre, da una vicenda localmente limitata, conclusioni in cui si ipotizza un -anche se parziale- arretramento dell'ipotesi geopolitica del mondialismo, per le ragioni che qui di seguito vado ad esporre:
a) l'applicazione della ricetta libertariana al Cile di Pinochet in un periodo in cui la contrapposizione bipolare USA-URSS era ancora in atto non può essere inquadrata e analizzata prescindendo dal particolare status geopolitico imposto a tutta l'America Latina sin dalla promulgazione della cosiddetta "Dottrina Monroe" -«l'America agli Americani»-, in cui tutti i Paesi sudamericani venivano posti sotto tutela. Una vera e propria «sovranità limitata» in tutto e per tutto simile a quella imposta -e in molti casi di questa ben più feroce e spietata- dalla Russia Sovietica, nel secondo dopoguerra, ai Paesi dell'Est europeo.
Il capitalismo internazionale non solo approvò tacitamente il golpe dei militari cileni e la successiva applicazione della ricetta «libertariana» dei "Chicago boys" nel Paese andino, ma ne fu, in tutto e per tutto, ispiratore e regista. Allo stesso modo esso determinò e ispirò il colpo di Stato militare del 1955 in Argentina, impedendo al Partito Giustizialista di Juan Domingo Peron di portare a termine la riforma economico-sociale che andava a colpire gli interessi delle Multinazionali anglostatunitensi (molto istruttiva in proposito è la lettura del saggio del collaboratore di Peron, Salvatore Dui: "Astros de Justicia Social, bajo la cruz del sur", purtroppo mai pubblicato in Italia).
Ma un conto è applicare ricette ultraliberiste in Paesi in cui l'egemonia geopolitica statunitense ha impedito l'affermarsi di una diffusa coscienza sociale, altra cosa, evidentemente, è applicare le stesse in un Paese europeo che è stato «attraversato» da ideologie a forte caratterizzazione sociale; socialismo, fascismo, comunismo, che hanno profondamente inciso, al di la del loro successivo ridimensionamento, nella psicologia collettiva. Questo il capitalismo internazionale lo sa bene, ne ha chiara coscienza! Quindi l'atteggiamento antiberlusconiano del capitalismo ecumenico (che forse impropriamente ho definito dal «volto umano») è teso ad impedire una repentina rottura di quelle regole e garanzie che danno stabilità all'insieme sociale. Una rottura degli equilibri preesistenti che può risultare, all'interno di una società «occidentale» -caratterizzata da una forte «consapevolezza» individuale- pericolosissima; tale da mettere in forse oltreché la sopravvivenza del governo Berlusconi-Fini- Bossi, anche quella di quel capitalismo che, seppur obtorto collo, si è da tempo piegato alla esigenza di una più equa ed equilibrata distribuzione, tra le diverse classi sociali, del reddito nazionale. Così scongiurando conflitti interni generalizzati.
b) Riprova di questo aspetto del «caso Italia» è il tacito accordo che ha permesso allo Stato sociale, creato dal fascismo, di attraversare indenne la bufera del Secondo conflitto mondiale e della Guerra Civile, sopravvivendo alla restaurazione partitocratica (prima rafforzandosi e poi degenerando nel consociativismo e nel clientelismo). Questo è stato possibile non grazie alla generosità del ceto finanziario-imprenditoriale, ma in virtù di un compromesso raggiunto tra le diverse componenti dell'antifascismo; una delle quali, l'azionismo, era la diretta emanazione degli interessi dell'alta borghesia. Quindi va rilevato, e non sottaciuto come qualcuno pretenderebbe, lo stretto rapporto che intercorre tra parte consistente della Sinistra istituzionale, segnatamente il Polo progressista, e il «capitalismo dal volto umano», un rapporto che nella fase di passaggio dalla sedicente Prima Repubblica alla Seconda ha assunto un carattere simbiotico. Solo in questa ottica va letta l'analisi di «Consenso virtuale e poteri forti», ossia, come un tentativo di mettere a nudo la contraddizione insita nel rapporto «collaborazionista» che intercorre tra Sinistra e «capitalismo ecumenico», e non certo per rilevare una diversità «intima» tra le due maschere del Nemico capitalista; diversità che non esiste.
Va anche detto, per completezza, che questo discorso può unicamente riferirsi alle burocrazie partitiche della Sinistra e che, a mio avviso, non coinvolge la base popolare del PDS che rimane in gran parte non inquinata e moralmente non compromessa.
c) In sintesi, il liberismo anarchico dei "Chicago Boys" va visto come un'irruzione, improvvida e intempestiva, nella scena politica italiana di un aspetto particolare del capitalismo internazionale che ha tutte le caratteristiche del "colonialismo di rapina" ottocentesco e che quindi in una società industrializzata e fortemente consumista è improponibile. Ci pare che Moricca colga bene il problema, quando sostiene che l'anarco-capitalismo è l'essenza stessa del capitalismo. Ma è proprio in ragione di questa sua "arcaicità" che questo particolare aspetto del capitalismo risulta inapplicabile in un paese occidentale. Specie se questo paese ha una rilevanza strategica che va ben oltre la caduta o la sopravvivenza del governo Berlusconi, come giustamente rileva Moricca, quando indica la Penisola quale "santuario" deputato a tenere sotto stretta osservazione le turbolenze islamiche del Nord Africa. Il rischio dell'applicazione di un liberismo "primitivo" sarebbe (e la vicenda della Legge Finanziaria -con la spontanea mobilitazione di grandi masse che ne è seguita- ci pare un esempio significativo) una rivolta violenta che metterebbe in forse non solo l'assetto politico-economico dell'Italia, oggi saldamente in mano all'Alta finanza, ma essere foriera di imprevedibili sviluppi, tali da mettere in forse l'attuale e totale allineamento del nostro Paese alla strategia del Nuovo Ordine Mondiale.
In quanto all'ipotesi del «capitalismo nazionale», nella forma dell'economia socializzata, credo ben poco vi sia da eccepire, anche se mi pare improbabile che in futuro il capitalismo internazionale possa fare qualche concessione in senso «nazionale». Sono dell'opinione (e i segnali in questo senso mi sembrano inequivocabili), che tutta la strategia mondialista sia in questa fase incentrata nella spoliazione definitiva delle residue Tradizioni, Valori ed Identità dei popoli.
Qualsiasi concessione in senso opposto sarebbe d'altro canto gravida di incontrollabili conseguenze che sorgerebbero dal profondo dell'anima delle Nazioni. Tant'è che il capitalismo (senza eccezioni!) rivolge attenzioni particolari verso ogni fermento che lasci intravedere un risveglio della coscienza nazionale; tutte le risorse persuasive, massmediali e non, sono prontamente mobilitate ogni qualvolta che qualche labile segnale rivendicante l'identità nazionalpopolare si manifesta.
Quello che invece ci si può aspettare per il prossimo futuro è una "statizzazione" dell'economia capitalista, cioè la delega (sempre parziale) a forme di potere decentrato, politicamente "amorfo", ossia, strutturato su «tecnocrazie burocratiche» spogliate di ogni identità, prive di collegamenti sociali, appositamente preparate ad interpretare ed eseguire gli input dell'Alta finanza, e magari capaci di meglio adattarli alle realtà locali.
Altra cosa sarebbe, e altri rischi comporterebbe, una qualsiasi forma di indipendenza nazionale, sia pure poggiata su un asse politico di «conclamata fedeltà» atlantista qual'è, ad esempio, quello Fini-Berlusconi. Nel senso che le affermazioni elettorali ottenute per lo più con l'inganno e la persuasione massmediale (quindi non suscitate dal prestigio e il carisma di un Capo o incardinate su un articolato progetto politico-economico largamente condiviso dalle masse popolari) possono avere durata e consistenza mutevoli, non tali, comunque, da essere sicuro pilastro di una costruzione supernazionale e in cui un feticcio evanescente e inafferrabile come il sedicente Mercato, impone le condizioni del vivere, non solo materiale, delle comunità nazionali. A patto, ovviamente, di non prospettare a compensazione delle suddette deficienze, una qualche forma di «Stato di polizia» per il quale, mi pare, manchino tutte le condizioni oggettive.
Personalmente sono convinto -ma credo che il mio pensiero sia largamente condiviso dai militanti della Sinistra Nazionale, Moricca compreso- che gli spazi di manovra per un'entità antagonista siano destinati progressivamente a dilatarsi. Importante in questa situazione di «terremoto permanente» è mantenere inalterate le proprie posizioni politiche, non nel senso della staticità della proposta e della dialettica politica (è necessario anzi moltiplicare le occasioni di dialogo con gli altri soggetti politici), ma in quello della radicalità dell'istanza strategica della Sinistra Nazionale, ossia, senza in nulla recedere da quella Weltanschauung in cui i punti «cardinali» e «teologali» sono definiti e indiscutibili. In questa ottica, non si può che rimarcare quanto abbiamo (nel senso della linearità «di fondo» a cui si sono costantemente, negli anni, attenuti i collaboratori, «storici» e non, di "Aurora") sempre sostenuto; non è possibile dare all'antagonismo nessun sbocco positivo e rilevante se non si ha la precisa coscienza e conoscenza (come giustamente ribadisce Moricca) di quante e quali forze siano in campo, e quali siano le tattiche del nemico, dato per scontato che se ne sia colto con precisione, e appieno compreso, il suo progetto strategico.
Un'altra indicazione che altrettanto chiaramente e costantemente abbiamo espresso in questi anni è la subordinazione di ogni strategia geopolitica alle realtà nazionali, non solo perché consideriamo illusorio attribuire valenze risolutive ai "conati" antimondialisti che qua e là si manifestano e che, a nostro contestabile parere, non sono in grado di rallentare, e tantomeno di bloccare, la progressione del Nemico, ma per altre e ben più notevoli ragioni:
a) unicamente le singole Comunità nazionali hanno dimostrato una certa capacità di contenimento della strategia mondialista. Questo perché ad ogni Popolo, ad onta dell'apparente fragilità, nulla e nessuno è capace di ottundere, completamente il sentimento profondo dell'appartenenza determinato da un comune sentire, da un comune vissuto che ogni singolo individuo, al di là della sua stessa volontà, ha ben radicato nei substrati più profondi e impermeabili della sua psicologia. E non ci riferiamo solo ai valori, alla lingua, alla cultura, in una parola alla civiltà, ma soprattutto a quella «razza dell'anima» che resiste e persiste nei popoli e che ad intervalli incostanti riemerge assumendo forme storiche diverse, ma sempre risolutive.
b) Questa «capacità di sopravvivenza» dello Spirito dei Popoli va integrata da un modello sociale antagonista che ha la funzione, per così dire, di coagulare le energie e che risponde altresì all'imprescindibile esigenza di giustizia sociale che è storicamente -non si scandalizzino gli esegeti della Rivoluzione Conservatrice- parte non secondaria della memoria dei popoli. Solo se il sacrosanto anelito ad una maggiore giustizia sociale si salda col Valore dell'identità nazionale quindi della Comunità Popolare, intesa come entità superiore alle istanze individuali, si possono creare le condizioni essenziali per operare un tentativo in direzione del recupero della libertà economica quindi della sovranità politica. Da qui la convinzione che il futuro «antagonista» al capitalismo internazionale non possa che essere cosa diversa da un soggetto politico capace di sintetizzare, in un insieme armonico, il «nazionale» e il «sociale».
c) In conclusione, si deve tenere ben presente che i termini dello scontro tra progetto mondialista e resistenze nazionalpopolari hanno molteplici aspetti «tattici». Per dirla in termini militari l'azione del capitalismo internazionale è stata sempre perdente, nello scontro politico come nel conflitto armato, quando è stato costretto a misurarsi in conflitti di bassa intensità, ossia, non ha potuto, come le circostanze gli hanno consentito in larga parte degli interventi, diretti o indiretti, nel Continente americano, di effettuare la cosiddetta Blitz Krieg (conflitto politico o militare di breve durata ed alta intensità), ma si è dovuto confrontare con scontri di bassa intensità (: dal punto di vista militare Vietnam, Cambogia, Libano, Somalia. Dal punto di vista politico Cuba, Libia ect.). Con questo vogliamo dire che solo la Nazione, nella sua eccezione alta di Comunità, possiede la coesione necessaria per operare nei conflitti di «bassa intensità», che per loro natura sono essenzialmente scontri «totali».
Questa nostra esposizione, mi sembra giusto dirlo, non ha nessun intento polemico con quanti credono che le strade da percorrere siano diverse e che considerano le Comunità nazionali unicamente come parte di un più vasto quadro geopolitico. Non ci pare né giusto né produttivo sottovalutare o disconoscere i meriti di quanti hanno comunque contribuito in modo determinante alla individuazione e alla conoscenza del Nemico. Questo detto, rimaniamo dell'opinione che la costruzione geopolitica possa rientrare nella prospettiva strategica del risveglio dei Popoli che però solo il Socialismo e la Nazione sono in grado di determinare.

Luigi Costa

 

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