da "AURORA" n° 21 (Ottobre - Dicembre 1994)

LA POLEMICA

L'imbecillità al potere

Vito Errico

Era il tocco che mancava, la pennellata ultimativa ad un fosco quadro dipinto di reazione, di attacchi alle classi deboli, di mene padronali. 
No, quei pugni vibrati a Montecitorio non costituiscono uno dei tanti accapigliamenti dell'aula parlamentare. Non sono un incidente di percorso, una «cavalleria rusticana», non si tratta di «Parlamento agitato» meglio che «mortificato».
È ben altro. È l'imbecillità che si fa potere, è un potere che tenta di farsi regime. È il regime che perde le staffe, incapace di fronteggiare le robuste spallate che provengono dai settori disillusi della società. È la chiara rappresentazione d'un potere imbecille.
Noi non apparteniamo alle «anime belle», dedite a scandalizzarsi per i pugni che volano. Nella nostra vita le abbiamo date e le abbiamo prese e, senza sentirci sviliti, affermiamo che forse il «preso» è sicuramente più cospicuo del «dato». Ma la differenza sta nel «perché» si fanno certe cose. La violenza può pure essere la levatrice della Storia e questa può hegelianamente spiegarsi come il più grande banco di macelleria. Quando alla base di essa vi è il credo nel destino dei popoli, insiste la convinzione di teorie forti e nobilitanti, sussiste il principio della volontà in funzione della promozione sociale, la violenza può pure essere giustificata come «atto supremo», mezzo necessario, seppure doloroso, da usarsi a usbergo della «parte» per salvare il «tutto». La natura umana è quella che è, né riusciranno a modificarla universalismi e internazionalismi, franati miseramente al cospetto delle verifiche della storia.
Ma che bisogno c'era, quella mattina, d'irrigidire i muscoli e abbandonarsi ad una bagarre da osteria? Nessuno, né può pretendersi che ciò venga spiegato razionalmente da chi, al posto del cervello pensante, ha dimostrato d'avere soltanto un volgare ammasso aggrovigliato di neuroni.
È la morte della politica, è il rovinio completo d'una nazione. Si guardino allo specchio, tutti coloro che hanno riempito le aule parlamentari di simile feccia e compiano l'unico atto di coraggio della propria vita: si sputino in faccia! 
Perché il fatto è un punto d'approdo d'una lunga rotta, svoltasi nel tempo. Quel mondo che ha indossato il saio della presentabilità, che ha voluto nascondere sotto un abito elegante l'afrore dei corpi non avvezzi alla detersione, noi lo conosciamo bene. Col passare degli anni in quell'ambiente malfamato e ipocrita s'è attivato un processo di «pulizia etica» ch'è arrivato alla sentenza. Deturpato dall'epurazione delle intelligenze, è rimasta la zavorra ossidata. 
Ora il crogiolo fonde con tutte le sue scorie e scoppia. Chi è che pensa da quelle bande? 
Restano solo i muscoli, come per i pugili suonati. È grave, quello che è avvenuto, non per il fatto in sé, ripetiamo, ma per il grado di pericolosità che i soggetti artefici rappresentano.
Quando non si è in grado di capire nemmeno l'essenza d'una provocazione palese, si diventa pericolosi, più che per sé, per i destini della nazione che si hanno in mano. Quando non si comprendono i ruoli che si svolgono ed essendo al potere ci si crede ancora all'opposizione, si spalancano le porte dell'inferno dei manicomi. 
La politica è un gioco sottile d'intelligenza prima d'essere altro, ma qui l'intelligenza è andata in vacanza. Ed è l'ultima, in ordine di tempo.
Che altro ci aspetta di vedere? Ecco perché è necessario dare una spallata e uccidere l'ovulo appena fecondato. Bisogna fare abortire questa Italia che sta allevando in grembo un uovo di serpente. 
Se non temessimo di cadere nel ridicolo della farsa storica, ci verrebbe da chiedere: chi sarà il nuovo Matteotti? Perché di questo passo va a finire che scorre il sangue. Gli ingredienti ci sono tutti e ogni potere, quando traballa, si fa vampiro. Ha bisogno di sangue per stabilizzarsi e continuare a vivere.

Noi nel '69 eravamo concretezza vivente. I fatti li ricordiamo netti nella loro esplicazione cronologica. Si cominciò dalla protesta per gli adeguamenti pensionistici e si finì a rivoltellate. La «teoria degli opposti estremismi» servì al potere per consolidarsi. Noi, da una parte, e quelli dall'altra non fummo altro che utili idioti, la sempiterna «carne da cannone», buona da bruciare per ogni uso. 
Non si sostenga la diversità dei tempi. Ogni tempo è uguale al predecessore. È l'imponderabile storico, la «irrazionalità delle folle» che fanno sì che tutto si ripeta. È per questo che non è peregrino chiedersi: Qual'è la «cultura» di «questo» Potere? È quella nata negli anni di piombo. La massoneria piduista, rinforzata da una sentenza di corte, è uscita dal «sonno» della segretezza e s'è insediata al governo. I vecchi spioni dei bracci armati, che servono fedelmente ogni potere, si fanno fecondi di progettualità e prolifici di gestualità. È in atto un'operazione di osmosi fra i settori reazionari della nazione mentre Kossiga torna a sognare Palazzo Chigi.
A quando una nuova «maggioranza silenziosa» che vomiti la solita infarcitura di retorica roboante (l'Istria, l'Alto Adige, il pareggio di bilancio, l'ordine)? 
Quando si incomincerà ad «internare» gli omosessuali, gli zingari, gli ebrei, gli islamici (questo è il nuovo nemico), le prostitute?
Quando si incomincerà ad indicare l'avversario come «diverso» per meglio delinearlo come nemico e serrargli i ceppi ai polsi?
Quando si incomincerà a sparare sui turchi e gli albanesi, gli africani e gli asiatici, i meticci e i creoli?
S'è già cominciato, ci pare. Basta ascoltare certi discorsi e sfogliare "L'Italia settimanale". Basta vedere il tentativo di liberare Barabba e crocifiggere qualche povero cristo. 
E perché meravigliarsi? Al Ministro della Difesa piace Pinochet, il presidente del Consiglio invidia il «decisionismo» di Eltsin. E l'uomo di via della Scrofa è il «figlioccio» dello speditore di telegrammi augurali al generale cileno che costellò la Tierra de Fuego di desaparacidos
Chi crede che i figliocci e i cavalieri siano due cose distinte, dimostra di non intelligere. Essi sono i nodi che legano gli spezzoni della reazione più cruda che in nome d'un populismo d'accatto ha ucciso il patriottismo col veleno del nazionalismo, della conservazione più tetra che taglia le pensioni e coccola l'evasione, preclude il diritto allo studio alle classi deboli della società in nome del censo, uccide la socialità e, si appalesa vieppiù quale scherano del padronato, chiude la questione meridionale relegando il Sud d'Italia al ruolo di nord dell'Africa, solito contenitore da cui attingere braccia che saranno nuovamente barattate in cambio di navi di carbone.
È la destra, la solita destra, la destra che la storia ha sempre conosciuto, fatta di tasse sul macinato e cannonate alla Bava Beccaris. O cade subito o tornerà trionfare lo stringato apoftegma giolittiano: «Il borghese si rispetta, l'operaio si tollera; il contadino si picchia». E siccome di contadini ce n'è punto, cade la tolleranza e rimangono botte e rispetto.
Farli cadere; questa è la consegna. 
In tutti i modi, con tutti i mezzi, con tutte le argomentazioni. Farli cadere! Con le buone o con le cattive. E se non ci si riuscisse, ci rimarrebbe Mino Maccari: «Quando l'imbecillità stravince, essere sconfitti è un onore».

Vito Errico

 

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