da "AURORA" n° 21 (Ottobre - Dicembre 1994)

RECENSIONI

 

Aldo Ferrari

La Terza Roma

Ed. all'insegna del Veltro, Parma '86    pp. 64   £. 10.000

 

«Stalin era un mostro, ma ha avuto il merito di aver preservato la Russia e l'Europa orientale dall'americanismo».
Parole di Gabriel Matzneff, scrittore francese d'origine russa che si autodefinisce «cristiano estetico "À la Leontieff"». L'attualità di Konstantin Leont'ev (il «gigante intellettuale» paventato dall'intellettuale mondialista Yanov già quindici anni fa nel libro su "La nuova destra russa") è ben testimoniata, oltre che da Matzneff da quanti in Russia cercano oggi di attualizzarne il pensiero. Si tratta, ovviamente, di circoli ed ambienti collocabili nell'alveo dell'opposizione, e in particolare, nella corrente neo-bizantina ed eurasiatista.
Il libro dello slavista Aldo Ferrari (traduttore dell'opera principale di Leont'ev per il medesimo editore) offre un'esauriente panoramica del pensiero di questo «gigante intellettuale» che, avversario del nazionalismo e del panslavismo, individuò nell'idea imperiale ereditata da Bisanzio il grande "mito" che potrebbe ridare alla Russia e a tutti i popoli ortodossi una loro funzione nel mondo odierno, facendone gli antagonisti dell'Occidente liberale. Ma Leont'ev, precursore di Nietzsche per via della sua tensione vitale, dell'aspirazione alla potenza e della passione estetica del destino, anticipa Nietzsche anche in quella posizione che questi esprimerà in "Anticristo" nell'elogio di Federico II, con le parole programmatiche «pace e amicizia con l'Islam». Leont'ev infatti, come dice Berdjaev, «era innamorato dei Turchi e dell'Islam (...) Quanto ai Turchi, nutriva per loro un amore estetico, a motivo dei loro costumi patriarcali. L'egemonia ottomana avrebbe impedito ai popoli balcanici di sprofondare irrimediabilmente nell'abisso del progresso democratico. Leont'ev considerava salutare questa egemonia, perché favoriva il mantenimento dell'antica Ortodossia presso i cristiani orientali».
Avversario delle aspirazioni indipendentiste dei patrioti serbi e bulgari, Leont'ev fu dunque il fautore di un fronte comune dei popoli ortodossi e di quelli musulmani, di Russia e Turchia, contro gli imperialismi occidentali. Si comprendono perciò i motivi dell'attuale fortuna di questo pensatore presso coloro che, in Russia, auspicano come necessaria l'unità continentale dell'Eurasia contro l'occidentalismo atlantico.

 


 

Gian Pio Mattogno

La Massoneria e la Rivoluzione francese

Ed. all’insegna del Veltro, Parma ’90   pp. 108    £. 12.000

 

Il problema dell'influenza della massoneria sulla preparazione della Rivoluzione francese ha dato luogo ad accese controversie. Indubbiamente gli ideali dei philosophes libero-pensatori erano anche quelli della massoneria e, poiché la Rivoluzione aspirava ai medesimi ideali (libertà, eguaglianza di diritti, ecc.), essa venne considerata sic et simpliciter opera della massoneria.
Questa tesi venne formulata per la prima volta nel 1791, dall'abate Lefranc. 
Alcuni anni più tardi, l'abate Barruel si sforzò di dimostrare che la Rivoluzione era nata dalla cospirazione dei miscredenti, dei massoni e degli illuministi. Joseph de Maistre scrisse poi un libro intero per replicare a Barruel, introducendo una netta distinzione tra la responsabilità di certi massoni e quella dell'organizzazione in quanto tale.
La versione cospirazionista di Barruel e, in generale, la teoria del complotto massonico, viene oggi respinta anche da molti avversari della massoneria. Per esempio, Augustin Cochin o Bernard Fay, pur ammettendo la responsabilità della massoneria per aver diffuso idee che contribuirono notevolmente alla destabilizzazione della società francese, ritengono tuttavia che i massoni abbiano preparato la rivoluzione non in qualità di iniziati, ma piuttosto come uomini del secolo XVIII disorientati dalle correnti moderniste e sottoposti, insieme con altri, all'indottrinamento da parte degli Enciclopedisti.
Secondo G. P. Mattogno, la massoneria contribuì alla preparazione intellettuale della Rivoluzione francese sia lanciando in Francia il «mito» della rivoluzione vittoriosa con Franklin e Lafayette, sia svolgendo un ruolo determinante nelle agitazioni che portarono alla presa della Bastiglia, sia, anche, partecipando attivamente agli eventi rivoluzionari successivi. Infine l'Autore evidenzia, in uno scritto specifico su "Encyclopédie e Massoneria", la funzione svolta dagli Enciclopedisti nella disgregazione dell'Ancien Régime.
Fratello del forse più noto Carlo, Gian Pio Mattogno ha al suo attivo anche un'ampia ricerca che si è tradotta in un paio di volumi su "La rivoluzione borghese in Italia", nei quali vengono indagati i retroscena del movimento unitario nei vari Stati della penisola italiana dal 1700 ai moti del '31.

 


 

Gianfranco Peroncini

La guerra di Suez

Ed. all'insegna del Veltro, Parma '86    pp. 48    £. 10.000

Nel 1956, mentre l'attenzione del mondo era attratta dalla rivolta ungherese, Israele attaccava l'Egitto. 
I sionisti avevano concertato in segreto con i governi di Parigi e di Londra che da questi ultimi sarebbe stato lanciato un ultimatum alle parti in lotta, di modo che il cessate il fuoco avrebbe avvantaggiato gli aggressori. Francia e Inghilterra intimarono dunque all'aggredito e all'aggressore di ritirarsi a sedici chilometri dal Canale di Suez, onde consentire l'insediamento di truppe franco-britanniche a Porto Said, a Ismailia e a Suez; diversamente, queste città egiziane sarebbero state occupate con la forza.
Ad ogni buon conto, le popolazioni civili dell'Egitto furono sottoposte a bombardamenti terroristici. «Dobbiamo bombardarvi, dovunque vi troviate...» diceva un volantino britannico, minacciando agli Arabi spaventose carneficine. Per quanto declassata al rango di potenza di second'ordine, l'Inghilterra non aveva perduto le vecchie abitudini.
Nasser esortò gli Egiziani a sopportare coraggiosamente i bombardamenti e fece distribuire le armi alla popolazione del Delta, nella prospettiva di una resistenza popolare contro gli aggressori. Il 5 e il 6 novembre, nella zona del Canale furono lanciate truppe paracadutate, le quali solo a fatica riuscirono ad occupare Porto Said, strenuamente difesa dalla popolazione. Erano altri tempi, e l'URSS inviò un ultimatum ai tre governi aggressori, mentre Siria ed Arabia Saudita decretavano nei loro confronti il blocco delle forniture di petrolio e l'India minacciava di ritirarsi dal Commonwealth. 
L'aggressione cessò.
Ben Gurion decorò il presidente del Consiglio francese Guy Mollet e due ministri del suo governo con una medaglia sulla quale era inciso il motto biblico: «La tua destra è il mio sostegno».

 


 

Piero Calò

L'Islam e l'eredità bizantina

Ed. all'insegna del Veltro, Parma '90    pp. 70    £. 10.000

Il grande storico romeno Nicolae Iorga sosteneva che con la conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani la civiltà bizantina non moriva, ma si trasformava. Da una prima fase, durata fino al 1453, Bisanzio passava ad una fase successiva: "Byzance après Byzance" intitolava Iorga un suo celebre studio sulla forma ottomana assunta dalla civiltà bizantina, "Basileis di stirpe ottomana" erano dunque i nuovi signori della capitale dell'Impero Romano d'Oriente; simile agli «imperatori della vera Roma» era il Conquistatore turco della Città.
Piero Calò non ha letto l'introvabile libro di Iorga (ristampato solo nel '92, in Francia, grazie al diplomatico romeno Alexandru Paleologu) ma è giunto alle medesime conclusioni, al termine di una ricerca che procede d'altronde su binari molto diversi da quelli percorsi dallo storico rumeno.
Con argomentazioni inedite e richiami storici originali, Calò mostra come l'Impero Ottomano abbia raccolto il lascito culturale di Bisanzio e lo abbia integrato nel contesto della civiltà islamica. La consapevolezza di una tale successione, d'altronde, risulta evidente dalle dichiarazioni e dagli atti emblematici degli stessi sultani della Casa di Osman: aspetti, questi, che rimangono ignorati laddove prevale il trito e ritrito schemino che riduce tutto al concetto della «dominazione turca».
In realtà, l'Impero che la dinastia ottomana aveva instaurato su un «grande spazio» esteso su tre continenti, aveva in qualche modo raccolto l'eredità di Roma. Ancora nel 1538 Solimano il Magnifico esprimeva la consapevolezza di tale trasmissione, scrivendo in una sua poesia: «Sono scià dell'Iran, imperatore dei Romani, sultano dell'Egitto».

 

 

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