da "AURORA" n° 22 (Gennaio 1995)

PALAZZO E DINTORNI

 

Profili e stili della nuova repubblica:

Publio Fiori

a cura di Omnibus

 

400, circa. È il numero d'interventi, commenti, dichiarazioni e interviste dell'on. Publio. Da quando, quel fatale 10 maggio, il Nostro diviene ministro dei trasporti in quota A.N.
Nella sola settimana che va dal 7 al 13 novembre, ad esempio, le sue esternazioni -concomitanti con i luttuosi eventi atmosferici dell'Italia del Nord- tracimano. 5 lunedì. 8 martedì. 5 tra mercoledì e giovedì. 1 (?) venerdì. 3 sabato e domenica.
Una vera alluvione. Una straripanza e una incontinenza senza limiti, soste od ostacoli.
Fiori è verbalmente presente su tutto. Sovraintende, disquisisce e interloquisce su tutti i rami dello scibile ministeriale.
Non c'è tema d'alta, bassa o media politica, che non lo veda parlamentarmente impegnato. Da protagonista.
O, almeno, lui ci prova. Sempre. Tanto da creare non pochi imbarazzi al suo stesso partito, cui è approdato dopo lungo e travagliato per- corso. Attraverso le fila della P2, e saltando fra onde e flutti da una corrente all'altra della diccì.
Non era da tutti uscirvi illeso, ma lui ce l'ha fatta. A testa alta, laccata e cotonata. Sempre.
Il neo-alleato, infatti è sempre stato coerentemente e rettamente impostato: dapprima presidente dell'ONMI di fascistica memoria; quindi come assessore ai LL.PP. dell'Urbe e, nel 1979 -lo stesso anno di Gianfranco Fini- in veste di deputato nazionale.
Sempre con la medesima, alta e nera capigliatura. Da una carica all'altra, da un regime all'altro.
Avrebbe dunque e comunque il diritto d'andare in pensione, questo vecchio galantuomo. Che, alle spalle possiede un esercizio quindicennale d'avvocatura dello Stato. Per il quale già ha riscosso la liquidazione di 350 milioni (del '79) e maturato un vitalizio di 11 milioni e 400 mila lire mensili, da cumularsi, beninteso, con la pensione parlamentare.
Ma a godere del meritato riposo lui, Publio Tinto, non ci pensa proprio. E intanto parla. Parla, parla, parla.
Sin dalla prima riunione dei ministri della Nuova Repubblica.
Era il 13 maggio '94, e lui se ne esce per primo dalle stanze del Palazzo per annunciare "urbi et orbi" che i sottosegretari avevano da essere, e saranno, un paio in più della precedente legislatura.
Il 16, continua a parlare. Su Alitalia & Ati e sui nuovi assetti della compagnia di bandiera.
Il 22 annuncia trionfante al popolo il ponte sullo stretto di Messina, che -aggiunge pudico- potrebbe portare il suo nome.
Sempre quel 22/5/94 il vulcanico neo-postfascista promette una nuova disciplina in materia d'aeroporti. Ma non basta: incontra il governatore della Banca d'Italia, Fazio, per istruirlo sui destini della BNC. Sulla quale, poi, le esternazioni arrivano a pioggia, torrenziali.
Una prima volta per dire che non bisogna vendere. Una seconda, per affermare che bisogna farlo, ma col Banco S. Paolo. Indi dietro front, e non vuole più quei compratori, ma altri, di diversa "cordata".
Giungiamo così ai giorni nostri. Ed è un giorno di novembre, quando inaspettatamente fiorisce la non-alienazione della Cit, la disastrata compagnia turistica delle FF.SS.
È il giorno successivo, allorché, Tinto Fiori «spara» 100 mila miliardi d'investimenti nel settore trasporti di qui al 2000. Ed è un qualsiasi altro giorno autunnale quand'egli preannuncia la riforma dell'Anav, la definizione gestionale per la Malpensa, l'affidamento finanziario del progetto per il «suo» ponte sullo Stretto.
Fra un "boom" e l'altro, al nostro riesce di farsi sentire sull'abolizione delle tasse automobilistiche, sulle targhe alterne e su quelle personalizzate, affidate alla regia di Zeffirelli.
Né mancano nel frattempo gli ancor più ambiziosi progetti (con relative roboanti dichiarazioni) sull'alta velocità, sulle autostrade telematiche, sul nuovo Testo Unico della navigazione.
D'altronde al nostro non difettano certo le parole, e le parole dove in tema di scioperi e di precettazioni, o gli «inviti» ad usare le maniere forti contro le occupazioni studentesche...
(... Sarà per questo, noi crediamo, che -trasportati da tanto «decisionismo»- alcuni "cavallini", un tempo allo stato brado e recalcitranti agli ordini di scuderia, si mostrano ora sindacalmente ammaestrati e già pronti ad entrare al servizio del nuovo padrone... E quanti sembrano così aver deposto ogni speranza di libertà, riposino pure in pace; se così vogliono. Vorrà dire che augureremo loro: fiori e non opere di bene!)

a cura di Omnibus

 

(in collaborazione col "Corriere dell'Economia", anno IV, n° 36 e con Antonio Macaluso)

 

 

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