da "AURORA" n° 22 (Gennaio 1995)

UOMINI E IDEE

A proposito di Nolte

Giorgio Vitali

Su "l'Italia settimanale" del 26 ottobre è stata pubblicata un'intervista ad Ernest Nolte, molto interessante, che permette, tra l'altro, alcune considerazioni.
Intanto l'estensore dell'articolo ci dice che l'unica colpa attribuita a Nolte è stata quella di aver posto il nazismo su un piano simile a quello del comunismo: due regimi totalitari.
È una colpa che ci sentiamo di confermare.
Uno storico non può giudicare due sistemi politici utilizzando categorie insignificanti com'è quella del «totalitarismo».
Cosa significa questo nome?
Non abbiamo noi vissuto, e non continuiamo a vivere in un sistema mondiale a «totalitarismo democratico» USA-centrico?
Cosa si intende per totalitarismo: l'espressione «esteriore» della mobilitazione delle masse in divisa, che riempiono le piazze?
Non esiste un totalitarismo democratico di individui in pigiama o con le felpe che, in pantofole, guardano la televisione seduti in poltrona?
Non è una mobilitazione delle masse che, invece di essere chiamate naziste e comuniste vengono, giustamente, definite di «vidioti»?
L'ideologia della televisione per cui, come profetizzato da Mac Luhan, il mezzo diventa il messaggio?
Altro aspetto che mi sembra superfluo enfatizzare: il concetto di «Guerra Civile europea». È evidente che noi possiamo chiamare civile una qualsiasi guerra a seconda delle dimensioni dello spazio interno del quale la circoscriviamo.
Con la logica del poi, anche la guerra mondiale è possibile chiamarla guerra civile.
Noi chiamiamo guerra civile americana una guerra che in quanto a dimensioni geografiche non scherzava. Tuttavia non mi sembra che lo scontro fra diverse concezioni del mondo si possa definire guerra civile quando, nella sostanza, e analizzando bene i fatti, il vero scontro è stato fra Europa continentale ed Europa insulare (Gran Bretagna), diventata proprio durante il conflitto, base operativa del ben più vasto impero statunitense, allora in via di consolidamento.
Quanto alla centralità europea, verso la metà del XX secolo l'Europa era già fuori dalle grandi rotte del potere imperiale reale. L'Inghilterra si illudeva di aver ancora qualcosa da dire.
Il fatto che la conclusione del conflitto abbia determinato l'emarginazione europea conferma che l'Europa era già storicamente «fuori», né avrebbe potuto essere diversamente. Vince chi è «già» più potente.
Molto più interessanti le considerazioni su Mussolini. Dice il Nolte che egli considera Mussolini «la personalità più rappresentativa del XX secolo. Non perché fosse il simbolo dell'incontro fra classe proletaria e classe borghese, ma perché era un marxista convinto, almeno fino alla prima guerra mondiale. Mussolini lasciò il marxismo avendo ben individuato i punti deboli del Suo edificio ideologico... Mussolini rappresentò entrambe le forze confluenti nella Guerra Civile europea, incarnò marxismo e fascismo allo stesso tempo. Egli rimase, in certa misura, un uomo della sinistra, almeno potenziale». Su queste considerazioni vorrei innestare anche le mie.
Indubbiamente Mussolini è stata la personalità più rappresentativa, proprio per quella incertezza che trapela dai suoi atti, difficilmente interpretabili alla luce di idee precostituite, formali, storicamente ed ideologicamente monche, come quelle imposte dopo la guerra.
E ciò che attira gli studiosi, incuriosisce gli storici, che riempie la bibliografia. Destino naturale degli «uomini rappresentativi» che, proprio per la loro rappresentatività ed identificazione coi tempi da loro vissuti ed incarnati, diventano i «grandi uomini della storia».
Se paragoniamo, infatti, la bibliografia su Mussolini, vivisezionato da ogni possibile angolazione della personalità, e quella dei personaggi suoi Contemporanei, ci accorgiamo subito che esiste un abisso!
Il fatto che Nolte riconosca l'appartenenza di Mussolini alla «Sinistra», solo potenzialmente, non depone a favore del suo acume. Appare evidente che questo è un giudizio al quale sottendono gravi lacune culturali; l'impossibilità di concepire una Sinistra non contaminata dalle promesse marxiste. Che muove da parametri storici prefissati e da una cultura imposta nel dopoguerra, altre voci, oltre Marx e i suoi epigoni, non sono state prese in considerazione per definire e tracciare una Sinistra in contrapposizione alla Destra. Inoltre, personaggi come Mazzini e come lo stesso Bakunin che avendo a lungo soggiornato in Italia, aveva lasciato molti più segni qui che altrove, subiscono l'ostracismo imposto contro i nemici del marxismo fin dalla prima metà dell'Ottocento; ed inoltre tutto ciò che è italiano ha avuto ben scarsa eco nel mondo, tanto per la poca preoccupazione della nostra classe dirigente di esportare italianità quanto per l'altrettanto poca propensione degli altri popoli ad accettare ciò che vien da fuori, segnatamente dall'Italia. Aggiungiamo a ciò il forte «sradicamento» che subiscono in breve tempo i nostri emigrati.
Ci capita di considerare, leggendo commenti di studiosi stranieri sulla nostra storia, specie di questo ultimo secolo, quanto sia poco conosciuta l'evoluzione del pensiero politico italiano dell'Ottocento è quanto questo non permetta loro di «comprendere» le ragioni e la realtà profonda del fascismo e del comportamento di Mussolini, fino alla RSI.
Spesso poi, per nostro scorno, ci troviamo di fronte a «pseudo-storici italiani» di relativa giovane età che, essendosi formati su testi anglosassoni, hanno da questi mutuato l'interpretazione di parole e concetti e sono fatalmente portati ad interpretarle con lo stesso significato con cui vengono utilizzate nel mondo anglofono. La confusione che deriva da questa colonizzazione culturale è evidentissima.
Per tornare al problema di fondo, ciò che maggiormente fa sentire la sua mancanza è proprio la comprensione del progetto politico e rivoluzionario mazziniano in antitesi a quello marxiano.
Ciò rende incomprensibili i "18 punti di Verona" e fanno dichiarare (anche in buona fede) agli studiosi contrari al fascismo che la Socializzazione della RSI era «un espediente politico». A smentire questa errata interpretazione non bastano certamente le affermazioni di Nicola Bombacci il quale, da ex-comunista, ma anche da buon romagnolo che conosceva a fondo il pensiero mazziniano, andava ripetendo in tutti suoi comizi che la RSI era la Repubblica di Mazzini.
Ma basterebbe a questo punto ripercorrere tutta la storia del Risorgimento, visto dalla parte della «Rivoluzione», seguire tutta l'azione del Mazzini, ma anche e soprattutto capire la caratterizzazione psicologica dei «Garibaldini», la loro presenza «volontaria» in ogni manifestazione bellica europea, nonché l'interventismo, per comprendere esattamente quale sia la vera «matrice» del fascismo, che non può assolutamente identificarsi col marxismo, in tutte le sue sfaccettature. Bene hanno scritto alcuni commentatori che Mussolini non è mai stato marxista, né avrebbe potuto esserlo.
A conferma basterebbe leggere i suoi articoli del periodo socialista. In tal senso l'accostamento a Nietzsche come concausa culturale dello «spostamento» di Mussolini è un altro errore.
Partendo da una visione «etica» della Rivoluzione, come quella insita nella concezione mazziniana che, oltretutto, parla di «Doveri» laddove Marx parla di «Diritti», l'apporto di Nietzsche è assolutamente pleonastico, senza con ciò volerne negare l'importanza per la comprensione degli eventi che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare il pensiero politico e l'azione europea.
Compresa l'azione di Mussolini.
Per quanto riguarda il parallelo con Hitler, trovo ragionevole la differenza che Nolte stabilisce tra i due movimenti. Personalmente non ho mai ritenuto appropriata la dizione "Fascismo" affibbiata indifferentemente ai molteplici movimenti nati spontaneamente in Europa tra le due guerre. Vi sono troppe differenze fra di loro perché possano essere condotti ad una matrice veramente comune, anche se la comune e sostanziale «alterità» rispetto alle democrazie borghesi ne determinarono l'alleanza prima e durante il conflitto. Nel nazismo emergono elementi talmente peculiari, come il richiamo alla tradizione nordica, all'esoterismo, al razzismo antisemita che lo rendono di fatto non assimilabile al fascismo, anche se nello stesso fascismo si possono riscontrare elementi derivanti dalla tradizione che però sono diversi da quelli dei popoli nordici. Il richiamo al mito di Roma, che nasce nel Risorgimento ad opera del Mazzini, è molto più peculiare al fascismo (ed è stato vissuto da moltissimi fascisti proprio in antitesi al mito tedesco) che non il tradizionalismo nordico-ariano, sia pure reinterpretato da Evola (sarebbe interessante poter documentare quanto nella «Resistenza» abbia agito la propaganda antitedesca che il fascismo aveva sviluppato, anche nell'insegnamento scolastico durante tutto il ventennio).
Se ci si ostina a voler attribuire tanto al fascismo quanto al nazismo alcune definizioni che nascono dalle stantie categorie di destra e sinistra, si finisce solamente col confondere le acque. È evidente che tanto il fascismo quanto il nazismo rappresentano nuove forme dell'espressione politica che, per molte ragioni, anche contingenti, non possono essere assimilate alle democrazie borghesi e parlamentari le quali, sia pure con manifestazioni diverse, caratterizzano il mondo anglosassone. Se oggi noi subiamo queste modalità rappresentative della volontà popolare ciò non si deve al fatto che esse sono le migliori possibili (tra l'altro non ne vedo neppure una concatenazione necessaria al capitalismo bensì al potere finanziario), ma semplicemente perché stiamo subendo da circa un secolo l'egemonia statunitense. Se la stragrande maggioranza della «intellighentia» nostrana non se ne accorge, o finge di non accorgersene, non per questo la realtà cambia.
È vero, al contrario, che in ogni epoca le classi dirigenti dei paesi inseriti all'interno di un «impero» hanno sempre fatto di tutto per far credere che i cittadini che essi «rappresentavano» presso l'imperatore fossero «liberi».
Altra considerazione di Nolte che sento il dovere di sottolineare è che risulta abbastanza difficile poter dimostrare che in Italia esistesse una «dittatura» di Mussolini, quando di «fatto» vi comandava anche la «dinastia», con tutte le sue implicazioni massoniche e i suoi legami «dinastici» internazionali, e quando di «fatto» vi regnava anche il Papa, con identiche, anzi superiori, potenzialità nazionali e internazionali, che noi abbiamo viste operative tanto durante la guerra quanto nel lungo dopoguerra, almeno fino ai nostri giorni.

Giorgio Vitali

 

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