da "AURORA" n° 24 (Marzo 1995)

ECONOMIA E SOCIETÀ

Socializzatori autentici e miglioristi fasulli

Giovanni Mariani

La grave crisi economico-monetaria in cui si dibatte l'Italia può essere appieno compresa solo se la si inserisce nel più vasto quadro delle difficoltà in cui si dibatte l'intero sistema capitalistico occidentale. Una conferma delle nostre precedenti analisi che individuava nell'impasse del modello economico anglosassone (al quale il nostro Paese è legato mani e piedi), e nella sua eccessiva finanziarizzazione, che espone le valute dei paesi occidentali a speculazioni sempre più incontrollabili, svincolate dai dati oggettivi dell'economia reale e dai fattori di produzione, il tarlo che lentamente corrode l'intero sistema.
L'acuirsi dei contrasti interni al capitalismo apre ampi spazi d'azione ad un fronte economico antagonista in grado di prospettare un diverso modello di sviluppo incardinato sulla centralità degli elementi che alla produzione concorrono, liberato dai ricatti delle consorterie finanziarie, che attraverso lo stretto controllo del mercato delle valute, sono in grado di determinare e controllare i flussi di beni e servizi che al di là e, spesso, contro di essa vengono prodotti.
In questo senso ci appaiono centrati i convegni di Milano e Perugia organizzati dalla Sinistra Nazionale -con la collaborazione autorevolissima del prof. Manlio Sargenti- sulla Socializzazione col preciso scopo di farne l'asse su cui incardinare un modello economico antagonista.
Come abbiamo più volte rilevato in queste pagine, la Socializzazione non è per noi solamente lo strumento economico più incisivo, da contrapporre ad un altro -quello capitalistico- largamente deficitario quanto, innanzi tutto, una concezione comunitaria della vita nazionale; quindi economica e politica che salvaguardando gli interessi dell'iniziativa e della proprietà dei singoli imponga, all'interno dei processi decisionali del sistema produttivo, la partecipazione di tutti i soggetti che in varia misura ad esso concorrono.
Ed è bene che i militanti della Sinistra Nazionale prendano coscienza fin d'ora che la realizzazione di questo progetto passa anche attraverso la difesa della Costituzione repubblicana di fronte all'attacco virulento della destra tecnocratica e reazionaria di Fini e Berlusconi. Recita l'art. 46 della Costituzione «(...) Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende». E l'articolo seguente, il 47, è un vero e proprio pilastro della partecipazione «(...) La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, disciplina e coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà diretta coltivatrice, e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi».
In sintesi una vera e propria garanzia alla partecipazione proprietaria nel mondo della produzione. Evitiamo quindi di unirci al coro dei critici della Costituzione, che spesso non l'hanno mai letta, ricordando che lo stesso art. 1 sancisce che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e quindi afferma già nella sua enunciazione una concezione sociale che pone il lavoro al rango di soggetto attivo della vita del paese, sia economica che politica. Ci pare persino superfluo rilevare l'assonanza di questi articoli della Costituzione repubblicana con i "Diciotto Punti di Verona" e con le tesi dello Stato nazionale del lavoro.
Il fatto che la nostra carta costituzionale non sia stata applicata in tutte le sue parti in questo dopoguerra non né inficia la validità delle enunciazioni. Da qui la necessità, chiedendone la totale applicazione, di difenderne, al contempo, i contenuti partecipativi che la sinistra e la destra istituzionale filo-liberiste vorrebbero cancellare.
Appare evidente che i centri di potere finanziario, ai quali si sono, da tempo, prostrati Occhetto e D'Alema, Segni e Buttiglione, Fini e Berlusconi, che intendono riscrivere le regole fondamentali dello Stato in funzione dei loro interessi, intendono cassare ogni riferimento a forme di partecipazione e di solidarietà sociale, annullando ogni possibilità di intervento e controllo dello Stato nell'economia nazionale (lo Stato leggero che accomuna il progetto di Prodi a quello di Berlusconi), il che vuol dire, in parole povere, limitarsi a controllare che il funzionamento del mercato avvenga all'interno e nel rispetto di pochissime regole. «Regole» che sarebbero, nel prossimo futuro, stabilite dal «mercato stesso» e nelle quali non vi sarebbe spazio alcuno per i presupposti morali ed etici che presiedono ad uno sviluppo economico attento al sociale.
Non ci pare questa una battaglia di retroguardia! Né intendiamo in alcun modo stravolgere i principi della Socializzazione annacquandola. Siamo anzi persuasi che essa vada riproposta in tutta la sua integrità, in quanto ogni cedimento sarebbe funzionale al perpetuarsi della truffa che il grande capitale finanziario attua nei confronti dei ceti produttivi. Sentiamo da più parti evocare, spesso a sproposito, l'azionariato popolare e la compartecipazione dei lavoratori, in realtà si tratta di porre in essere unicamente meccanismi finalizzati ad ottenere dalle maestranze il massimo del rendimento e dell'efficienza attraverso quello che gli economisti anglosassoni definiscono «chain sharing»; ossia, un dispositivo di ridistribuzione degli utili che tenga conto dei risultati quantitativi e qualitativi delle singole realtà produttive.
Di primo acchito potrebbe essere scambiato per compartecipazione, come vorrebbero farci credere gli esegeti della destra ultra-liberista, ma nella realtà le cose sono molto diverse. Innanzitutto, dobbiamo rilevare che questo sistema esclude per principio i lavoratori da ogni corresponsabilità gestionale e decisionale, relegandoli sempre ai margini del processo produttivo; il classico «piatto di lenticchie» concesso in momenti di crisi, con lo compiacenza degli apparati sindacali a loro volta interessati a conservare il primato di rappresentanza anche ingannando i lavoratori. Si tratta di «concessioni» che poco hanno a che vedere con la Socializzazione (in quanto la Compartecipazione viene integrata dalla cogestione decisionale) e con gli articoli della Costituzione repubblicana innanzi citati. Vi sono diversi esempi di «chain sharing» in Giappone, Germania e negli stessi Stati Uniti. Talvolta con esiti, tutto sommato, positivi ma che nella sostanza non vanno al di la di regalie e nulla più, anche quando diventano un fatto rilevante nelle buste paga di tecnici e operai.

L'esempio della Ford che negli scorsi anni puntò tutto sulla «forza lavoro», attraverso un deciso programma di coinvolgimento del personale nelle migliorie aziendali, volto all'ammodernamento degli impianti, è un passo avanti rispetto al passato, e va ben oltre le logiche ottocentesche che in gran parte regolano i vari segmenti industriali italiani, ma non è sufficiente per creare quella alternativa sociale ed economica al sistema occidentale in grado di restituire al lavoro la centralità che gli è naturale.
Coinvolgere le maestranze nell'acquisto di porte e lavandini può insaporire il «piatto di lenticchie», ma è cosa ben diversa dall'inserimento dei dipendenti nei Consigli d'Amministrazione. E se la delibera del CIPI del 30/12/92, in materia di dismissioni, ben interpretando gli articoli 1 e 2 del Disegno di Legge per il sostegno del mercato mobiliare, prevede che, all'atto della vendita di Aziende pubbliche, una quota partecipativa vada riservata ai dipendenti a condizioni di favore (si tratterebbe di sconti sul prezzo stesso; pagamenti dilazionati e trattenute fiscali agevolate), è una scelta confortante, tutto il criminale processo di privatizzazione del patrimonio pubblico non ha, nelle scelte operative, tenuto conto di questa giusta indicazione.
Segnali simili vengono anche da altri Paesi europei: oltre alla tedesca Mitbesimmung anche in Inghilterra esistono incentivazioni per l'acquisto da parte dei lavoratori, di azioni delle aziende pubbliche del tipo «paghi uno, compri due», e in Francia in non poche realtà produttive i lavoratori dipendenti sono arrivati a possedere fino al 20% del capitale azionario. Questo è rimarchevole se paragonato alle logiche retrive del capitalismo italiano ma, come si sosteneva, ben lontano da ciò che può essere definito Socializzazione. Si tratta di concessioni, forme di «migliorismo», in alcuni casi di vere e proprie elemosine alle quali il Capitalismo è costretto, che non mutano gli assetti di potere economico-politico anche quando concedono il quindici o il venti per cento delle azioni alle maestranze, che con simili quote non possono in alcun modo condizionare la gestione aziendale.
All'alba del Terzo Millennio i lavoratori rimangono ai margini del processo produttivo, protagonisti passivi della gestione aziendale. A nulla serve che i governi continuino a cianciare di azionariato popolare se proseguono nella strada del privatizzare le aziende vitali per l'economia nazionale. In realtà tutto viene concentrato nelle mani di pochi compiacenti delegati delle grandi finanziarie che sono poi le vere sanguisughe dell'economia reale.
Le tentazioni «miglioriste» di stampo tedesco, giapponese e statunitense non possono essere prese in considerazione da chi, come noi della Sinistra Nazionale, si propone di scardinare il sistema capitalista dalle fondamenta e non limitarsi a migliorarlo un po' qua e la, in virtù di concessioni sporadiche, locali e settoriali. La nostra concezione della Socializzazione (seppure adeguata alle esigenze della modernità) nulla intende concedere alla suggestione demagogica per di più scollegata dai rudimenti più elementari dell'economia. Dobbiamo essere in grado di garantire serietà e competenza tecnico-economica; denunciando con vigore l'accomunamento urlato, di slogans, della socializzazione con il Corporativismo, utilizzato da chi in palese malafede -alla pari di certi farneticanti trotskisti- privo di idee e programmi, riempie il suo vuoto progettuale con la sola suggestione delle parole. Quindi netto distinguo tra quanti con serietà, organicità e competenza di «socializzatori autentici» portano avanti, tra mille difficoltà, il loro progetto politico e coloro che utilizzano la Socializzazione per coprire la voragine della loro nullità.
Superare la fase dell'anticapitalismo fine a sé stesso è essenziale per i militanti della Sinistra Nazionale e per i lettori di "Aurora"; la ciarlataneria sociale non paga. Occorre dare risposte propositive e competenti ai problemi della economia moderna. Questo non è certo un compito per indecisi e ambigui, per quanti continuano a tenere i piedi in più scarpe e che spesso fingono di non comprendere le posizioni ancorchè nitidamente espresse, incapaci come sono di autonomia psicologica e politica. Le risposte devono essere necessariamente forti e precise e non va concesso alcun spazio ai funamboli che si lasciano invischiare nelle ambigue rifondazioni in camicia nera, dimostrando una inaffidabilità di fondo; quella, per essere chiari, di chi per opportunismo carrieristico ha barattato i grandi ideali di giustizia sociale, di cui a parole si faceva portatore, con lo scranno ben remunerato. 
Vi sono momenti nella vita di una comunità politica che l'essere intransigenti non è una scelta personale, ma un dovere collettivo.

Giovanni Mariani

 

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