da "AURORA" n° 24 (Marzo 1995)

QUESTIONI DELLA SINISTRA

Lettera aperta a Massimo D'Alema: 
post-fascismo o nazionalpopolari

Enrico Landolfi

Signor segretario del Partito Democratico della Sinistra;
si almanacca molto, forse troppo, sulla stampa e negli ambienti politici, sulla moderazione e sullo spirito costruttivo cui Ella improntò i pur saltuari ma non irrilevanti rapporti con l'on. Fini. Non saremo di certo noi -che sempre abbiamo avuto in uggia e in dispetto quel degenerare della coerenza che si è convenuto chiamare coerenza- a dolercene, mancherebbe altro! Sappiamo benissimo che almeno tre argomenti possono essere portati a sostegno del suo comportamento nei confronti del leader di Alleanza Nazionale, un Nero diventato Azzurro per un miracolo di Santa Giovanna d'Arcore. Il primo: un'ovvia esigenza di educazione a livello di normali rapporti umani e di spirito di collaborazione fra due membri del Parlamento della Repubblica che, per quanto divisi possano essere per collocazione partitica e per storie personali, sono pur sempre accomunati dal dovere di servire lo Stato nel processo legislativo e la democrazia nella elaborazione dei confronti politici. Il secondo: la necessità di ridurre la tensione, di abbassare il più possibile il livello dello scontro fra gli schieramenti contrapposti in un momento criticissimo, particolarmente delicato, di ardua transizione da epoca ad epoca, della vita repubblicana. Il terzo: l'opportunità di cogliere lo spunto offerto dal passaggio delle cosiddette «forze nazionali» dal neo-fascismo al post-fascismo per inoltrarsi con decisione sulla strada del superamento della guerra civile, del suo spirito, delle sue conseguenze dopo l'immane conflitto fratricida che ha fatto grondare di sangue mezzo secolo di storia e di vita italiane. Il quarto: la convenienza di discriminare all'interno delle destre, fra il ringhioso maccartismo d'assalto del Cavaliere Azzurro e la pur strumentale, callida attitudine soft del Giovin Signore di Via della Scrofa allo scopo di rendere sempre più evidente l'inesistenza di un «centro» all'interno di un'area come quella del cosiddetto Polo delle Libertà, caratterizzato, in realtà, da un assiemaggio di destre, le più svariate, unite dal vaccheggiamento della «soluzione finale» e, della «pulizia etnica» -in termini elettorali e parlamentaristici oltre che di influenza ideologica, di presenza nelle articolazioni significative dello Stato e della società civile- contro la Sinistra, l'insieme delle sue culture, i suoi partiti storici e quelli di recente formazione.
Ineccepibile, dunque, la guisa in cui Ella, Signor Segretario del PDS, si è mosso sul terreno di quel tanto di relazioni con la destra parlamentare e, in primo luogo, con il loro settore «alleanzista». Le confesso, però, il mio timore -in verità non solo mio- che non soltanto di questo si possa trattare. Paventando, in altri termini, che qualcuno dentro o fuori il Suo partito, un «post-fascistologo», diciamo pure, possa indurLa con più o meno acconci concetti ed altrettante acconce parole, a persuadersi che la risposta da dare al problema della esistenza di un post-fascismo di massa possa e debba essere considerata esclusivamente nell'ottica di una diplomazia dinamica interna alle relazioni interparlamentari, nell'ambito della esigenza di attivazione di un galateo politico fra i gruppi di Montecitorio e di Palazzo Madama, nell'orbita del convincimento che al post-fascismo di massa null'altro possa e debba chiedersi che la caratterizzazione nel senso di una destra democratica o, addirittura, soltanto di un rispetto rigoroso dei meccanismi istituzionali.
Una strategia del genere darebbe, forse, qualche vantaggiosa ma temporanea tranquillità ad una Sinistra incalzata dall'accusa, dal sospetto, dalla insinuazione di una sua connotazione «illiberale» -come dice il cavaliere Azzurro-: di essere null'altro che un comunismo mascherato, ma alla lunga, o solo a medio termine, finirebbe per rivelarsi autosconfiggente e, probabilmente, disastrosa. Infatti nulla più contrasterebbe politicamente l'aggregazione attorno al Giovin Signore di Via della Scrofa, a questo Dino Grandi degli anni Novanta, di quasi cinque milioni e mezzo di voti che nella primavera del '94 hanno fortemente contribuito a consegnare l'Italia alle destre. Probabilmente, Segretario, la scarsa e distratta attenzione prestata dal Suo partito al mondo dei "Neri", ex o attuali che siano -magari in omaggio al discontinuismo occhettiano, che cancellando tutto il passato del PCI ne ha obliterato anche la «questione fascista», cara a Togliatti fin dalla seconda metà degli Anni Trenta e al Berlinguer della FGCI-, debbono averLa indotta alla erronea credenza che tutti i suffragi, dal primo all'ultimo, siano espressione di perversi, incurabili, malintenzionati vagheggiamenti reazionari. Se così non è stato, si affretti, per carità, a dare soluzione di continuità a tale convincimento. Non dubiti: chi direttamente o indirettamente conosce in qualche modo e misura l'ambiente già missino ben sa che in esso convivono anime profondamente diverse che vanno da quella che si ispira al revival del catto-tradizionalismo controrivoluzionario di De Maistre o di Solaro, della Margherita e del Principe di Canosa fino a quella nazionalpopolare che dai più svariati referenti culturali e collegamenti storici -non esclusa la Socializzazione del "Manifesto di Verona" della RSI, naturalmente- si spinge fino a lambire ed anzi, talvolta, ad inoltrarsi nel pensiero di Antonio Gramsci in modo per nulla improprio e strumentale.
Perché mai, Onorevole, quella che non esito a definire la sinistra del post-fascismo ha sostenuto i candidati del «Polo» senza neppure tentare di distinguersi dalla componente conservatrice, filo-capitalista, maccartista che pratica un cosiddetto «antifascismo» al solo scopo di cambiare di spalla al proprio fucile per meglio sparare contro le forze storiche del movimento operaio? Ma è semplice: non c'era nulla da tentare in assenza di un briciolo di alternativa e in presenza di una sinistra cieca, folle, incapace di un'analisi di qualche serietà, di un approfondimento, di una qualche consistenza in una situazione eccezionale, di transizione, caratterizzata da una novità la cui importanza è sfuggita meno che, purtroppo, a Berlusconi: il passaggio della Fiamma Tricolore dalle sponde del neo-fascismo a quelle del post-fascismo. È così, mentre il Telecavaliere si affrettava ad agganciare al suo carro il partito di Fini, il Suo predecessore al Soglio di Botteghe Oscure sparava nel mucchio senza discriminare fra reazionari e nazionalpopolari, finendo col ricompattarli nel voto e col fare il gioco dei fautori della instaurazione di un regime di destra.
Sono perfettamente convinto che un leader come Lei, sicuramente pacato e riflessivo come non fu, non è e mai sarà Achille Occhetto -personaggio sicuramente molto dotato e dai non irrilevanti meriti, ma troppo passionale, aggressivo e di propensioni settarie-, non cadrà nelle stesse erranze. Ma il problema, a questo punto, è di correggere le lacune di analisi e le debolezze di linea del neo-vicepresidente della Internazionale Socialista -a proposito: auguri di buon lavoro e di ogni successo- senza cadere nell'eccesso opposto, ossia versando troppa acqua nel vecchio vino rosso e affidandosi oltre misura alle sottili, vaporose, raffinate arti della diplomazia di vertice. Intendiamo con ciò dire -ed eccoci così giunti al punto- che non è dato di ulteriormente indugiare su di un compito indilazionabile per un partito come il PDS ormai accreditato come la massima formazione della Sinistra italiana: l'instaurazione, alla base, di un dialogo, di un confronto, di un rapporto non episodico ma, anzi, permanente, profondo, possibilmente sinergico, con il «popolo» post-fascista la cui maggioranza è, certo, in Alleanza Nazionale ma in essa non si esaurisce, come si evince dalla pubblicazione di riviste quali "Aurora" e "Tabula Rasa" e, magari, altre a noi sconosciute. Giudichiamo talmente necessari questi contatti da pregarLa, Signor Segretario, di ritenerli degni di un primato rispetto alle pur inevitabili ed utili relazioni con i vertici parlamentari e politici della Destra.
Insomma, il maggior numero possibile di aderenti non solo della Quercia ma di tutta la Sinistra potrebbe fare, dovrebbe fare, suppergiù, ciò che il sottoscritto, pur nella modestia estrema delle sue tutt'altro che eccelse doti individuali, da una vita va facendo in modo militante, ivi compresa un'attività pubblicistica ad hoc come, ad esempio, la collaborazione alle testè indicate riviste che, sia detto per inciso, è quanto di più intellettualmente e spiritualmente piacevole è dato immaginare anche per l'assoluta libertà di espressione di cui viene gratificato nonché per la simpatica trasgressività delle tematiche che gli è dato svolgere.
Naturalmente per rivelarsi davvero feconda l'operazione non dovrebbe risolversi in una pura e semplice «offensiva del sorriso» ma, nell'ambito di uno spartito della pari dignità, tutti ci dovremmo mettere in gioco, per così esprimermi. Quindi, niente «perdonismi»; niente tabù inaccessibili per la ragione e per la discussione più libera, aperta e spregiudicata; niente moralismi aggressivi, autoritari, discriminatori; niente tentativi di «rieducazione» politica collocabili nell'orbita dei Sant'Uffizi che anche quando si ammantano di antifascismo vero o presunto in realtà altro non sono che infrenamenti all'impulso libertario, alla laicità della ricerca storica o ideologica che sia, alla civiltà dell'esame, alla autenticità dell'esternare. Vogliono questi giovani, meno giovani, anziani, vecchi reduci delle imprese guerriere del Littorio di più di mezzo secolo fa, del Fronte della Gioventù, di Alleanza Nazionale, del nuovo MSI rautiano, del Movimento Antagonista - Sinistra Nazionale, dei nuclei niccolaiani raccolti attorno a "Tabula Rasa" di Antonio Carli e ad "Aurora" di Luigi Costa, misurarsi costruttivamente con i lavoratori, gli intellettuali, i militanti, gli attivisti, i dirigenti dello schieramento progressista su temi magari anche delicati, «scottanti», «pericolosi» come la Repubblica Sociale Italiana, la Socializzazione, i 18 punti del "Manifesto di Verona", la guerra civile '43/'45 in Italia, la figura storica di Benito Mussolini, la Resistenza, il significato del 25 aprile, la pacificazione nazionale. Ebbene si aderisca pure a questo desiderio, mettendo però la sola condizione che non ci si perda e non si perda tempo in chiacchiere ed astrattezze, in vagheggiamenti campati in aria e in discorsi puramente e semplicemente reducistici, ma dalle tematiche storiche e ideologiche si scenda ai problemi del presente, alle questioni che ci assillano, alla prima e più pressante di esse: evitare che l'Italia finisca nelle grinfie del blocco conservatore-maccartista fondato sull'alleanza fra la parte più belligerante, aggressiva, reazionaria, ultra-liberista e non-liberale della destra economica e il ...fascismo «antifascista» dei vari Fini, Tatarella, La Russa, Maceratini e compagnia cantante, costituito e messo frettolosamente in azione allo scopo duplice di bloccare l'ascesa della Sinistra nella doppia versione liberaldemocratica e di classe alle elezioni della primavera 1994 e, quindi, preparare con tutta calma e con gli strumenti del potere a disposizione la «soluzione finale» per l'insieme della coalizione progressista.
Signor Segretario, non mi sto inventando nulla, non sono un «nuovista» magari alla rovescia e neppure un fantino delle nuvole, non sto galoppando con la fantasia. Tanti e tanti anni fa, felicemente regnanti Palmiro Togliatti al vertice del PCI ed Enrico Berlinguer al summit della FGCI le comunicazioni tra «rossi» e «neri», ambedue in servizio permanente effettivo, si appalesavano rigogliose e produttive, tanto vero che a Roma vide la luce una pubblicazione, "Il Pensiero Nazionale", diretto da un giornalista e scrittore sardo reduce da Salò, Stanis Ruinas, che recava in testata la dicitura "Quindicinale degli ex-fascisti di sinistra", in mezzo ai quali spiccavano figure di rilievo della RSI come quattro federali fra i più «compromessi» e, addirittura, il sottosegretario alla Marina della Repubblica Sociale ammiraglio Ferruccio Ferrini, officiato da Botteghe Oscure per un posto nella lista di Torino del Fronte Democratico Popolare. Correva l'anno di grazia 1948 e già una ausiliaria della Xª Flottiglia MAS, Alda Chiaffrino, era stata eletta in un consiglio comunale importante sempre in una lista socialcomunista come esponente del movimento "Pensiero Nazionale". Questo raggruppamento era caratterizzato da ampia autonomia ideologica e di analisi storica pur nel quadro di rapporti di solidarietà con i partiti del movimento operaio. Ma questo del «Nazip», così spregiativamente veniva chiamato dai membri della destra fascista, non fu che uno dei tanti aspetti della fraternizzazione in chiave nazionalpopolare fra «rossi» e «neri». Su di essa si potrebbe scrivere un volume di varie centinaia di pagine.
Bene, Segretario, perché non torniamo ... alle origini? Perché non fa scrivere i «suoi», anzi i «nostri» sulle già citate riviste dell'avanguardia post-fascista e, al contempo, non apre le pagine de "L'Unità", di "Critica Marxista", delle altre pubblicazioni d'area a chi si è opposto, si oppone, si opporrà alla politica reazionaria e al «democratismo» di princisbecco di Gianfranco Fininvest? Possibile mai che si debba ancora constatare l'esistenza di una base di massa per un intellettuale molto vicino a Fini, Fausto Gianfranceschi, il quale nel resoconto del suo intervento di Fiuggi su "Il Secolo d'Italia" fa sapere che, a suo giudizio, «la cultura di sinistra non è una cultura, ma una sottocultura, anche perché è profondamente antinazionale»?

Enrico Landolfi

 

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