da "AURORA" n° 24 (Marzo 1995)

UOMINI E IDEE

Berto Ricci: l'eretico del regime fascista

Bruno Rassu

Chi era Berto Ricci?... Perché oggi si riscopre questo «fascista di sinistra»?
È nel 1984, a Roma in un convegno culturale di "Proposta Italia" che trovo pubblicato, per la prima volta e con la prefazione di Indro Montanelli, una antologia di scritti di Berto Ricci: "Lo scrittore italiano". Quando mi trovai quel libro fra le mani, mi rivolsi al caro, fraterno amico Niccolai e gli chiesi una dedica (Lui era il degno erede, morale e politico, del Ricci negli anni 80), che voglio trascrivere: «Al carissimo Bruno, questo libro di Berto Ricci, una coscienza senza sonno, una testimonianza di parole vissute; in un giorno in cui come comunità politica, siamo riuniti proprio per testimoniare che la fedeltà sta nell'affermare, prima di ogni altra cosa, le idee in cui si crede».
La vita di Berto Ricci, l'esempio che diede di coerenza con le sue idee, si contrappongono al «gerarchismo» imperante di quei tempi. L'espressione più sintetica del pensiero di Ricci la troviamo in un suo scritto del 1938, quando raccolse le lettere di Dino Garrone, suo giovane amico morto nel '31: «Dire che credeva nell'Italia è poco perché era di quegli uomini che sono Italia: ...l'Italia dura, taciturna, sdegnosa che portava la sua anima in salvo soffrendo delle contraffazioni, dei manifesti, dei ciarlatani, dei buffoni, dei letterati, dei commendatori, l'Italia che ci fa spesso bestemmiare perché la vorremmo più rigida, più attenta, più macra, vicina alla perfezione dei santi». Così scrivendo fece anche il ritratto di sé stesso e ad esso rimase fedele sino alla fine della sua vita.
Nato a Firenze, di famiglia fiorentina, il 21 maggio 1905, professore di matematica, poeta, morì combattendo contro gli inglesi a Bir Gandula, Cirenaica, il 2 febbraio 1941. Berto Ricci, che era arrivato al fascismo nel '30 dopo un passato di anarchico militante, fu forse l'esponente più scomodo tra i giovani intellettuali fascisti del suo tempo. La sua iscrizione al Partito Nazionale Fascista, datata 1932, viene respinta da Alessandro Pavolini, in quel momento Segretario della Federazione fiorentina. Gli si chiede perché non si era iscritto prima: «Perché ero di idee contrarie». Berto Ricci diede il meglio di sé nel suo "Universale", la rivista da lui fondata nel '31, punto di riferimento di una minoranza di giovani intellettuali che guardava esclusivamente Mussolini per proporre le idee di «una nuova società» prospettata nel primo fascismo e mai realizzata dal regime. Vedremo poi, in futuro, nei "18 Punti di Verona" della RSI, riprendere i fondamenti di queste idee di «sinistra» (dal fondatore del comunismo italiano Nicolino Bombacci e dallo stesso Mussolini nella "Legge sulla Socializzazione").
L'"Universale", scritto in gran parte dal Ricci stesso che l'animava coi suoi "Avvisi", coi suoi "Grassetti" di fondo, succosi, snelli, spesso aggressivi e fustiganti, piacque subito a Mussolini, che invitò Berto Ricci ed i suoi collaboratori a mandare articoli al "Popolo d'Italia" per rinfrescarlo di quell'aria che circolava liberamente nella rivista. Ma quell'«aria» così frizzante non passò inosservata e tanti «papaveri» del tempo, simili a quelli di oggi, la consideravano troppo spregiudicata.
Vi leggo un esempio di quell'«aria»: 
«Non sta agli uomini di Mussolini essere nazionalisti, come lo sono i «Galli» degenerati: né si può fondare e spargere una civiltà se non si è universali. Le riffe, le picche, le avversioni cieche, i risentimenti patriottici, sono sintomi di inferiorità e non di forza (...)». 
Spero di avere dato una idea del progetto politico e della personalità di una delle più lucide coscienze di quella generazione: quando morì mitragliato dal cielo in Cirenaica, Berto Ricci, aveva 35 anni, era un volontario di guerra in Camicia Nera. Poco prima di avviarsi al fronte e al suo destino di Italiano scrisse ad un amico: «Dopo la vittoria, se Dio ci aiuta, penseremo agli inglesi di dentro!».
Uno scritto di Berto Ricci del 3 aprile '38 (l'anno delle leggi "In difesa della Razza") testimonia il pensiero dello scrittore fiorentino riguardo la Germania: 
«Rispetto e simpatia per la nazione tedesca... avversione assoluta all'ideologia razzista e specialmente a qualunque sua introduzione in Italia»; 
inoltre sull'importanza del pensare con la propria testa: 
«Affogare nel ridicolo chi vede nella discussione il diavolo; chi non capisce la funzione dell'eresia; chi confonde unità ed uniformità... muoversi saper sbagliare. Sapere interessare il popolo all'intelligenza... libertà da conquistare, da guadagnare, da sudare... una libertà come valore eterno, incancellabile, fondamentale». 
Sulla giustizia sociale: 
«Un socialismo di Stato anche attuato completamente e cioè una politica di "assistenza" sarebbe semplicemente semplice demagogia... bisogna ricreare l'antitesi Fascismo-Capitalismo... finché non si organizza su nuove basi la produzione e non solo la ripartizione, si resta nel sistema borghese ...».
Ritrovo nel rigore morale e nel progetto politico di Berto Ricci il pensiero, le indicazioni e le sofferte analisi dell'indimenticabile Beppe Niccolai. 
Voglio chiudere questo mio scritto con la frase qui riportata di Ricci: 
«Non rinunciare mai alle idee, ma saper rinunciare sempre all'affermazione esteriore delle persone».
Purtroppo la realtà politica del presente ci dimostra ancora una volta l'involuzione a destra del post-fascismo; quell'«aria» innovatrice e sociale esce sconfitta dal «congresso» di Fiuggi riproponendo gli errori del «ventennio» e negando, ancora una volta, l'esempio ed il messaggio di Ricci e dell'ultimo Mussolini.

Bruno Rassu

 

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