da "AURORA" n° 25 (Aprile 1995)

COMBATTENTI

 

Federazione Nazionale Combattenti Repubblica Sociale Italiana

 

Foglio di orientamento n° 1/1995


1) La guerra

Le democrazie plutocratiche non potevano tollerare la presenza di una giovane forza politica che, postulando l'abolizione della base aurea della moneta, l'abbattimento del capitalismo, l'istituzione della socializzazione in ogni attività economico-sociale e la equa distribuzione dei beni della Terra fra tutti i popoli, minacciava di irrompere nel mondo con l'energia delle eresie palingenetiche.
Bisognava, dunque, bloccare tale nuova forma di Stato di popolo, basato sulla naturale diseguaglianza degli uomini, affratellati però nel dinamismo di un risorto spirito legionario teso ad eliminare la supremazia della conservazione e dell'egoismo. Da Occidente e da Oriente conversero sull'Europa gli eserciti strapotenti del capitalismo e del bolscevismo. Fu lo scontro epico fra due civiltà: spirituale, sociale e partecipativa l'una, conservatrice e retriva l'altra.
Non sempre e non del tutto gli appartenenti alla prima compresero il significato della posta in gioco e, tuttavia, seppero battersi disperatamente per oltre 5 anni e in fine, soccombere cantando i loro tragici canti d'amore e di morte.
Ma le ottuse turbe bolsceviche non hanno ancora compreso il tradimento di Stalin e i danni prodotti dall'imperialismo sovietico.
Oggi, le sempre più accentuate discordie nazionali e internazionali, ci offrono la palmare riprova del fatto che l'evento più importante del XX secolo -la guerra del sangue contro l'oro- ha subìto soltanto una battuta d'arresto: miliardi di uomini, affamati e sfruttati, bussano alla porta della storia e non reclamano una pace purchessia, bensì lavoro, pane e partecipazione paritaria a tutti i livelli.
Nel Genesi -non dimentichiamolo- il buon Dio dà all'uomo l'uso, non la proprietà dei beni terreni.
Al Cottolengo, dunque, quanti ancora credano (o fingano di credere) che gli Americani, per ben due volte in questo secolo, siano venuti a liberare l'Europa.
Ai giovani europei il compito di riprendere quel canto.
E sia un canto solo d'amore.

2) La nostra appartenenza

Il prendere parte, nell'accezione che ne dà lo squallido mondo dei partiti politici, non ci riguarda. Il nostro è un sentirci parte integrante e fattiva di un movimento che, partendo dalla Nazione, s'immette nella umanità per conferirle -nel contesto della naturale diseguaglianza individuale- l'impronta di una benefica fratellanza collettiva. Di contro al globalismo, riaffermiamo dunque la centralità e l'universalità della Patria, poiché gli esseri umani e le altre forme viventi muovono dal semplice al complesso, non viceversa.
La nostra appartenenza-identità ci colloca pertanto in un orizzonte di valori i quali, permeando la nostra dimensione esistenziale, non ci rendono soltanto partecipi, ma ci innalzano ad incarnare la realtà stessa della Patria e dell'Idea, che vive in noi in modo intrinseco e coessenziale. Soltanto da una così fatta appartenenza-identificazione, che attingemmo dalla romanità repubblicana, è possibile dirsi universali.
È stato affermato che: «Il fascismo nasce come eresia nazionale del socialismo e si conclude come eresia sociale del nazionalismo». Tale è l'analisi di ambienti rimasti impantanati -fra la sponda della rivoluzione e quella della conservazione- in mezzo al guado del fiume della storia. Se nella prima parte della riflessione c'è qualcosa di vero, la seconda è integralmente falsa e evidenzia, oltre all'ansia servile di dichiarare morto quel che intimamente s'avvede vivo e vitale, un pessimismo di maniera del tutto funzionale alla volontà di inserimento nelle strutture del potere mondialista.
Trattasi di elucubrazioni infeconde e paralizzanti di quanti, avendo a suo tempo inalberato l'equivoco vessillo del «non rinnegare, non restaurare», hanno via via rinnegato quel che di valido e di autentico c'è nel fascismo e restaurato quel che di spurio e di caduco marginalmente vi permaneva.
Sostanzialmente privi di prospettive autonome, costoro pagano oggi il biglietto di entrata per la porta di servizio di uno pseudo-potere legato ad interessi plutocratici internazionali, in palese antitesi a quelli del popolo italiano e di tanta parte dell'umanità affamata e oppressa.
Nutritisi sciacallescamente per 50 anni dell'ingenuo sentimentalismo fascista, ora che questo -per ovvie, ragioni anagrafiche- è in ribasso, retrodatano la morte del fascismo al '45.
Con la fierezza che ci deriva dalla nostra ineccepibile condotta militare, civile e politica, rivendichiamo l'appartenenza alla RSI e la identità politica che ne consegue.
Nessuno, se non noi stessi, ha il diritto di parlare a nome dei Combattenti della RSI.

3) La pacificazione

La pacificazione, ad onta della volontà discriminatoria dei partiti, è stata sempre nell'animo di ogni buon italiano; essa ci ha permesso di compiere serenamente i nostri doveri di cittadini, salvo quello di votare l'espressione delle nostre idee essendo vietata per legge: «Chi si astiene dal voto o vota scheda bianca, vota Moranino»; tale fu la trovata del missismo acefalo e antifascista. La verità è un'altra: il «sistema» (del quale il MSI fa parte) ha consentito ai missisti di fare i missisti, non agli Italiani di essere fascisti.
È vero, siamo gli scampati di una guerra che ci vide, in quanto assertori della più radicale negazione dell'ordine capitalistico e bolscevico, sconfitti e perseguitati come «nemico assoluto». Impura mescolanza di servile ferocia e fanatismo dogmatico, questa infame formula nasce dall'odio per ogni superiorità etica, vive nel livore per ogni generosa eresia, per ogni amore autenticamente oblativo e, finalmente, si dissolve nella sterminata mestizia del nulla.
In forza di siffatta concezione dell'inimicizia assoluta, l'Europa fu ridotta in un cumulo di macerie e mortificata dallo status di sovranità limitata e da quello dell'occupazione militare ancora in atto.
Per leggi liberticide, presso nessun popolo europeo è lecito fare professione di fascismo e l'aggettivo che ne deriva viene assunto come un insulto. Di contro a siffatte aberranti condizioni, rispondemmo sempre con atti di amore per la Patria e per il popolo, traditi nelle loro più sacre tradizioni e abbruttiti nella corruzione e nel consumismo.
Il riferimento al popolo non deve tuttavia trarre in inganno: in esso non è inclusa di certo la scomposta massa proposta da "Combat Film", né tutti quelli che, per mezzo secolo, sono stati attivisti della NATO o del Patto di Varsavia. Esso è bensì devotamente rivolto alle ben più dignitose e numerose famiglie italiane che, in quei tristi giorni, -appartate- piangevano di rabbia e di dolore per la Patria sconfitta e per l'incerto destino dei congiunti ancora in armi a difesa dell'Onore d'Italia, nonché a quanti sono stati sempre pronti a difendere la Nazione, sia dalla improbabile invasione sovietica che dalla subordinazione-assimilazione della pseudo-cultura dell'ex-nemico, sedicente alleato. A quell'amore e a quella tenuta virile abbiamo educato i figli e quanti vollero esserci accanto nella nostra non rassegnata diaspora, poiché la nostra coscienza morale e la nostra stessa sostanza umana, non ci hanno mai consentito neppure di pensare ai nemici secondo la turpe logica del «nemico assoluto» e di «uomini e no».
Fummo e siamo semplicemente l'esempio di un popolo che non si arrende senza combattere fino all'estremo delle sue forze.
Consideriamo pertanto un'ulteriore espressione di quell'amore il rigettare -anche oggi- come indegna di uomini liberi, una pacificazione propiziata da quell'antifascismo che, dopo 50 anni di pace, per inettitudine e corruzione, ha portato al fallimento lo Stato e alla disgregazione il popolo.
Aderirvi significherebbe rinuncia ai valori perenni della Nazione ed estraneazione dalla nostra cultura civile e politica, per sacrificarla sull'altare eretto dalla proterva insensibilità morale di quelli che si apprestano a festeggiare il 50 anniversario dell'invasione straniera e della sconfitta della Patria.
La verità vera è che la Costituzione italiana è antifascista perché tale la volle il trattato di pace imposto dal nemico; che quella austriaca, per analogo trattato, prevede che gli Austriaci non possono realizzare la sempre agognata incorporazione nel popolo germanico il quale, a sua volta, è costretto a reprimere al suo interno ogni possibile forma di fascismo.
La Costituzione nipponica, invece, fu letteralmente dettata dal generale americano Mac Arthur.
È vero altresì, che le truppe nordafricane del Gen. Jouin godevano del barbarico diritto di «preda e stupro» nelle zone da loro occupate e che le unità mongole, tartare e siberiane dell'Armata rossa non facevano prigionieri.
Poi vennero Berlino, la Corea, Budapest, il Viet Nam, l'America Latina, Praga, l'Afghanistan, la Cecenia.
Questa è la libertà antifascista e la «libera» autodeterminazione dei popoli imposta al mondo dall'antifascismo.
Ma chi erano le vittime e chi i persecutori?
Cadendo per «debellatio» totale, la RSI ci risparmiò la vergogna della resa senza condizioni; resa che non conosceremo oggi: ce lo impongono i nostri Caduti e le loro famiglie dileggiate.

4) La situazione attuale

La caduta dei muri ha determinato anche in Italia la possibilità di riprendere un discorso col popolo che lavora, produce e soffre sotto l'oppressione capitalista.
Un discorso chiaro, diretto senza nostalgie. Gli equivoci sono nati da quando ha preso corpo la blasfema equazione «fascismo = destra». Infatti, sebbene sia scontato che collocare a destra il fascismo significa decretarne la morte, il fraintendimento massonico continua nella sua nefasta opera. Tuttavia, il fascismo è l'unico movimento politico che abbia -seppur con indecisioni e ritardi- seriamente tentato di abbattere il capitalismo e di porre il lavoro a solo protagonista delle attività economico-sociali, così relegando il capitale alla funzione di mero strumento.
È l'uomo che progetta, costruisce e usa il mezzo, non viceversa.
La socializzazione (non solo quella delle imprese), come centro propulsore ed armonizzatore della partecipazione dei cittadini a tutti i livelli decisionali, costituisce l'aspirazione più antica e più nobile della nostra Gente. Pisacane e Mazzini la teorizzarono e gli uomini migliori del Risorgimento, pur nell'assillo per l'unità della Patria, ne fecero una bandiera. Abbandonata sciaguratamente dalla sinistra per aderire all'internazionalismo marxista, essa fu ripresa dai sindacalisti rivoluzionari, confluiti poi nei Fasci di Combattimento. Il 23 marzo '18, Mussolini fu esplicito: «Noi vogliamo abituare le classi lavoratrici alla capacità direttiva delle Aziende. Noi accettiamo le rivendicazioni del sindacalismo nazionale dal punto di vista economico».
Nondimeno, nel '22 iniziò il non felice periodo dei ripensamenti e dei compromessi che durò fino alla guerra. La RSI la scriverà sulle proprie insegne e la farà entrare definitivamente nella storia, attraverso un fascismo pluralistico (raggruppamento socialista e Crociata Italia) e partecipativo: un fascismo che non impone, ma che propone.
Attualmente, se è vero che il risveglio delle più mature categorie professionali e sociali fa bene sperare per il rilancio di un vasto programma partecipativo, è altrettanto vero che, da parte dei detentori del capitale, con la riproposizione del liberismo e l'attuazione delle privatizzazioni, si dà luogo ad un forte arroccamento su posizioni contrarie ad ogni forma di autentica partecipazione. La socializzazione, per altro, ci consentirebbe di non dover più pavidamente scrutare nei vertici delle grandi imprese o in certe capitali straniere per intravedere il nostro destino, ma di costruircelo con le nostre mani. A quella costruzione dobbiamo tendere con tutte le forze, oggi più che mai.
Però si badi, l'affermazione di una nuova etica del lavoro incentrata sulla responsabilità e sulle capacita personali, attuata in uno «Stato di lavoro» senza classi e senza privilegi ma fondato sul principio delle pari condizioni di partenza per tutti, non si realizzerà senza aver a lungo e duramente combattuto. 

Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Il Comitato Direttivo

 

 

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