da "AURORA" n° 25 (Aprile 1995)

IL DIBATTITO

 

La maschera ed il nulla:

dal falso a posteriori (antifascismo e resistenza)
alla democrazia inesistente

Giorgio Vitali


 

Virtù liberalcapitalista


Un recente studio, condotto dall'università di Berkeley, rileva un dato significativo delle virtù del modello anglosassone al quale, quasi all'unanimità, dicono di ispirarsi i politici della Seconda Repubblica: da Berlusconi a D'Alema, da Segni a Fini, Da Casini a Ripa Di Meana.
In California, il mitico Stato degli USA, due milioni di bambini soffrono cronicamente la fame, tre milioni la soffrono periodicamente e altri tre milioni e quattrocentomila, rischiano di soffrirla in futuro.
Il 24,4 per cento (la media USA è del 18%) della popolazione californiana al di sotto dei 18 anni soffre di malattie derivanti da scarsa nutrizione ed entro il 2000 il numero è destinato a crescere ad oltre il 40%. Gli effetti della fame sui minori sono ben conosciutiti dalla scienza medica: mal di testa, mal di pancia, nausea, giramenti di testa, letargia, che poi sfociano in malattie irreversibili come l'anemia infantile e in danni permanenti al sistema nervoso centrale.
Nello studio si afferma: «I politici hanno di fronte la scelta fra prevenire e alleviare la fame adesso o pagare un prezzo più alto nel futuro. Dare la sicurezza del cibo è il primo passo della lotta contro la povertà, perché nulla è più fondamentale dei bisogni delle persone che cominciano e finiscono la loro giornata a stomaco vuoto».
Chissà cosa pensano in proposito i clintoniani di casa nostra e gli esegeti del libero mercato mondiale?


Da un articolo di Nicola Cospito su "Linea" del Gennaio '95, riporto una frase che ha fatto scalpore in certi ambienti che si sono opposti alla nascita di Alleanza Nazionale: «È infatti giusto chiedere alla Destra italiana di affermare senza reticenze che l'antifascismo fu il momento storicamente per il ritorno del valori democratici che il fascismo aveva conculcato». Così Cospito prosegue: «Questo, cari amici, non significa accettare il metodo della democrazia, come pure il MSI ha chiaramente fatto dal momento della sua fondazione, bensì accettare e condividere della liberaldemocrazia gli scopi, gli ideali, la concezione del mondo».
Questa mi sembra la scoperta dell'acqua calda. E poiché noi, oggi in Italia, stiamo vivendo un'epoca di frantumazione della Storia, di coriandolizzazione della Storia, una sorta di parentesi, in una società di sopravvissuti che si autocommemorano, è bene ogni tanto chiarirsi le idee.
Dall'interessante volume antimussoliniano: "Mussolini il massimalista" di Luciano Dalla Tana (ed. Guanda, seconda edizione, marzo 1964) trascriviamo alcuni brani tratti da "Il tramonto dello Stato pontificio" di Domenico De Marco, Einaudi 1949:
«Quello che distingueva lo Stato Romano, non solo dai rimanenti Stati della Penisola, ma da tutti gli Stati d'Europa, era il suo governo sacerdotale. Il Clero vi era assai potente per ricchezza e numero. Gli ecclesiastici -informa un contemporaneo- possiedono le più belle terre (anche nel 1995! N.d.R.) e sono, in generale, esonerati dalle imposte; ad essi sono riservati i posti migliori dello Stato; infine sono essi che inghiottono la maggior parte del reddito».
Il Calindri, che dedicò allo Stato Romano un saggio storico-statistico, afferma che nello Stato Pontificio, su una popolazione di 2.595.329 abitanti nel 1829, ben 406.812 erano accattoni, ciarlatani, inabili, vagabondi, zingari etc...; 53.482 erano ecclesiastici e 1.176.178 erano dediti all'agricoltura ed alla pastorizia (professioni anche oggi prese a riferimento da parte della cultura imprenditoriale democristiana, N.d.R.).
Lo Stato era giudicato ingiusto e prevaricatore e le sue istituzioni non favorivano in alcun modo la concezione che oggi definiamo "Stato di diritto". «Il favoritismo e il nepotismo erano assurti a regola di governo, senza controllo alcuno» (ma guarda che coincidenze! N.d.R.).
«Il Ministero delle Finanze, informa un contemporaneo, C. A. De Vecchi, non aveva registri; la statistica degli impieghi era stata lacerata sin dal 1815. (...) Molti si godevano paghe mensili senza prestare servizio alcuno, solo presentando al cassiere generale la lettera di un alto dignitario in favore; e mille scudi si davano ad un uomo, il cui merito era l'aver affisso, sulla parete delle Basiliche, la scomunica contro l'Imperatore Napoleone, e parecchi cittadini erano titolari di tre, quattro o sei impieghi lucrosi senza disimpegnarne alcuno; pensioni si pagavano a vedove rimaritate, ed altro ancora ad impiegati morti già da un secolo, ma che si tenevano vivi con solenne scaltrezza ne' reami degli abiatici e dei pronipoti. O veduto, persino, ne' dicasteri, giovani di trent'anni aspiranti già alla pensione di ritiro, perché nominati all'impiego di minutante, di segretario, di contabile, al dì del matrimonio dell'avvenente loro madre...»
Ho ritenuto interessante riproporre queste righe per dare uno spaccato tanto dello Stato Pontificio laziale del 1820, quanto dello Stato Pontificio italiano dal 1944 ad oggi.
I metodi e la mentalità sono le stesse. Gli italiani sono gli stessi, ed il tentativo rivoluzionario mussoliniano si è infranto contro questo tessuto sociale grandemente compromesso, anche se gli italiani, in nuce, hanno le potenzialità per un grande riscatto. Ma come ho scritto prima, occorre uscire dall'equivoco.
È facile, se soltanto si analizza la storia d'Italia, situare la funzione e il ruolo del MSI (movimento post-fascista e non neo-fascista), fin dalla sua nascita.
Questo partito, nato apparentemente nella clandestinità, ha sempre svolto una funzione politica ben determinata, fin da quando, assicuratisi gli Angloamericani della scomparsa fisica della stragrande maggioranza dei fascisti-rivoluzionari, che avevano costituito l'ossatura politica e popolare della RSI ad opera delle bande armate antifasciste nel dopoguerra, gli stessi cercarono e trovarono l'accordo con quel fascismo residuale per il quale la motivazione principale era costituita dall'anticomunismo. Anticomunismo accentuato dalle stragi compiute per lo più da elementi comunisti.
Questo anticomunismo, che aveva caratterizzato il fascismo-regime e i ceti borghesi, ma non certamente la politica di Mussolini (interna ed estera), con un'abile operazione veniva di fatto identificato con i temi nazionalistici.
Alla base di questa operazione vi era l'internazionalismo marxista che «negava la Nazione».
Nel discorso alla Camera del 21 giugno 1921, Mussolini sostenne, rivolto ai comunisti: «Neghiamo che esistano due classi, perché ne esistono molte di più; neghiamo che si possa spiegare tutta la storia umana col determinismo economico. Neghiamo il vostro internazionalismo, perché è una merce di lusso che solo nelle alte classi può essere praticato, mentre il popolo è disperatamente legato alla sua terra nativa»; e Mussolini aggiungeva: «Conosco i comunisti, li conosco perché parte di loro sono i miei figli ... intendiamoci ... spirituali!».
L'1 dicembre 1921, sempre alla Camera, affermava: «... anche perché io riconosco che fra noi e i comunisti non ci sono affinità politiche, ma ci sono affinità intellettuali».
Inutile qui soffermarsi sulla politica di Mussolini, prima e durante il Secondo Conflitto mondiale; azione politica che diventa sempre più chiara dalla pubblicazione di nuovi documenti, e che spiega molto degli ultimi due anni di guerra.
Comunque lo strabismo dei missisti ha sempre identificato con l'URSS il nemico della Patria, accattando di buon grado la tutela del padrone statunitense. A nulla serviva rilevare, e tentare di far capire, ad esempio, che le stragi di fascisti erano avvenute in territori occupati dagli Angloamericani e non dai Russi; che l'impiccagione pubblica di Solaro, operaio della FIAT e federale di Torino, era avvenuta il 2 maggio 1945, in una città controllata dagli Alleati; che, nel confine orientale, i comunisti jugoslavi trucidavano i fascisti in quanto italiani e i preti in quanto cattolici, non in virtù di uno specifico progetto antifascista del comunismo, ma nella logica della «pulizia etnica» che oggi, con gli stessi metodi, viene praticata in Croazia e Bosnia Erzegovina dalle milizie serbe.
La semplice constatazione che gli "Accordi di Yalta" erano perfettamente funzionanti e che gli Angloamericani mai e poi mai avrebbero permesso all'URSS di interferire nei loro traffici nel Mediterraneo ove si andava sviluppando lo Stato d'Israele, non era sufficiente ad aprire gli occhi ai più.
Fenomeni traumatici, come la repressione ungherese, servivano per scaricare tensioni anticomuniste e non per stimolare la riflessione che lo stesso trattamento sarebbe stato riservato all'Italia qualora essa avesse avuto l'ardire di ribellarsi alle imposizioni USA e ai lacci imposti dagli Inglesi nel Mediterraneo.
Troppe vicende inspiegabili ed inspiegate dell'ultimo mezzo secolo dimostrano quanto l'Italia fosse importante non come «alleato» ma come pedina, come «espressione geografica», della geopolitica altrui.
Il destino di molti di coloro che hanno tentato di far politica al di fuori degli schemi prefissati: destra-sinistra, occidente-oriente, liberalismo-comunismo e non ultimo Aldo Moro, sta chiaramente a dimostrare a quanti sono capaci di riflettere, che libertà di manovra in politica interna ed estera non c'è mai stata. Stupisce, pertanto che, nell'analisi delle posizioni di AN non si pongano in evidenza queste premesse.
A tal proposito si deve richiamare l'attenzione su alcuni avvenimenti che hanno interessato e sorpreso, l'opinione pubblica: «il bacio a Riina», ad esempio, starebbe a significare una presunta «mafiosità» di Andreotti, per noi è soltanto l'ennesima dimostrazione che l'Italia democristiana (e quella di AN) è stata garante della stabilità politica e sociale del Paese, più volte confermata dai presidenti USA i quali si sono compiaciuti di sottolineare che l'Italia è il più fedele dei sudditi (e ciò smentisce lo stato di tensione al quale erano sottoposti gli italiani con la fola del pericolo comunista).
Per chiarire ulteriormente l'azione dei politici italiani, basta un esempio banale; la legge Spadolini-Anselmi, nata dai risultati dell'inchiesta alla Loggia P2. Questa legge (la numero 17, del 25 gennaio 1982) invece di proibire l'associazionismo segreto lo ha incentivato e facilitato. Infatti, mentre l'art. 18 della Costituzione, proibisce, sic et simpliciter, le associazioni segrete, la Legge Spadolini-Anselmi qualifica come «segrete», unicamente quelle logge che si prefiggono l'interferenza sulle attività di organi pubblici!
Con la stessa logica, Giovanni Spadolini, forse ad onore del «Buongoverno», ha lasciato solo a Palermo, e per morirvi, il gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, sostenendo che non avrebbe mai fatto nulla per quello sporco piduista. Come si vede i conti tornano sempre, almeno in questo Paese.
Passaggi ineluttabili.
Sarebbe un grave errore non tener conto che il processo di unificazione europea, da anni tanto auspicato in epoche non sospette, preveda un bipartitismo (centrodestra e centrosinistra) che già si sta realizzando in Italia con molta lentezza, in quanto la Chiesa, prima di accettare lo smembramento della DC, come in Francia con l'avvento della Repubblica presidenziale, ha tentato prima con Segni poi con Buttiglione di percorrere tutte le strade praticabili per mantenere vitale una forza cattolica di centro.
La funzione della Chiesa, infatti, è sempre stata quella di ammortizzare ed invischiare qualsiasi novità politico-sociale, finché non si fosse garantita contro ogni interferenza nel potere ecclesiastico.
Altro fatto ineluttabile sarà lo sblocco della società civile, rimasta ferma, per evidenti ragioni di vassallaggio geopolitico, per ben 50 anni. Tale blocco si è realizzato attraverso la partitocrazia, nella quale gli uomini politici destinati alla elezione venivano cooptati sulla base della loro disponibilità ad essere solo esecutori della volontà altrui. Ciò avviene ancora oggi. Basti osservare i cosiddetti riciclati, che in realtà non lo sono, in quanto cooptati per i precedenti servigi resi e per quelli che renderanno in futuro.
Attraverso la Magistratura: col blocco della Giustizia. Una Giustizia lenta consolida i «poteri forti» perché il debole non ha possibilità di difesa, anzi non tenta nemmeno di difendersi. Se, poi, parte della Magistratura è anche politicizzata o mafiosizzata, cosa ineluttabile, il blocco sociale è fortissimo.
Blocco politico: che si ottiene attraverso il sistema dei governi brevi. Quanto più un governo è breve tanto meno può realizzare. I Ministri hanno appena il tempo di rendersi conto delle situazioni prima di essere sostituiti e il potere resta nelle mani della Burocrazia di Stato che si muove in virtù di proprie logiche o secondo logiche di chi detiene il vero potere.
Disfunzionalità del fisco e dei Ministeri finanziari in generale. Troppo poco si riflette che in diversi Ministeri la disfunzione è originata dall'eccesso di occupati, mentre in altri (quelli finanziari) gli occupati sono incredibilmente sotto organico.
Controllo del Sud Italia e delle isole (vere portaerei del Mediterraneo) attraverso la mafia, la camorra e affini.
Controllo del voto, attraverso la promessa del lavoro, che deve rimanere squalificato, per poterlo promettere «a pioggia», e sottopagato (patto di Camaldoli del 1944).
Blocco sociale attraverso i Sindacati di Regime, che garantiscono il gioco di sponda e che non sono solo gli interlocutori privilegiati del Padronato industriale ultragarantito, ma anche portatori dell'ideologia egualitaria che frena sul nascere qualsiasi rivendicazione partecipativa basata sulla professionalità e la competenza, privilegiando scelte di massa utili per una produzione di bassa qualità e di bassi costi.
Da qui l'inibizione ai "professionali" (Quadri) a divenire soggetti sociali attivi in una società che ha necessità della competenza.
Agli elementi che costituiscono il blocco politico-sociale italiano vanno, poi sommati gli automatismi che derivano dall'evoluzione delle società post-industriali, elementi sufficientemente noti che ci esimiamo dal citare.
In conclusione, prendendo spunto dall'articolo di Luigi Costa dedicato a Pino Rauti, mi pare necessario esaminare il ruolo dell'uomo che ha dato vita ad un raggruppamento politico che, a mio parere, incarna in Italia lo stesso ruolo del lepenismo in Francia.
Pino Rauti aveva fatto una scelta già con lo scioglimento di Ordine Nuovo.
Scelta importante, non presa in considerazione; peraltro opportuna (visto il destino riservato a coloro che non confluirono nel MSI) che ha permesso a Rauti di essere deputato nazionale ed europeo. Ma soprattutto che ben spiega l'immobilismo nel periodo della sua segreteria (: non si può andare da destra verso sinistra essendo di destra) e la conseguente delusione di tanti giovani e meno giovani che, in un impeto di entusiasmo, avevano creduto possibile un «miracolo».
No! Il leader vero del MSI è Fini e non potrebbe essere che lui. Mancano due settimane alle elezioni e sono convinto del successo al Alleanza Nazionale perché il centrodestra è la naturale posizione politica della maggioranza degli italiani. Confermata in questo caso dall'automatismo elettorale che, in situazioni di crisi economica, vede sempre vincente la destra. Inoltre la sinistra post-marxista si propone di gestire la società consumista in concorrenza col berlusconismo, senza alcun respiro antagonista o, almeno, alternativo, lasciando a Berlusconi la massima «qualificazione» nel gestire, in modo «consono», questo tipo si società. Ne resterà, ovviamente, schiacciata.
Rauti non può che «controllare», tenere sotto controllo, quelle frange "estremiste" che non accettano la naturale inevitabile commistione col potere democristiano, il quale è, invece, "conditio sine qua non" per poter avere, non solo un minimo di agibilità politica in Italia e in Europa, ma anche per «prendere voti».

 

Giorgio Vitali

 

 

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