da "AURORA" n° 25 (Aprile 1995)

GIRO D'ORIZZONTE

Imperialismo e conflitto sociale di fine Millennio
Chi farà « finire» la storia

Renato Pallavidini

Gli eventi epocali che si sono consumati fra il 1989 ed il '91 hanno indotto i circoli imperialistici occidentali e i loro prezzolati scrivani liberaldemocratici ad annunciare, con toni esultanti, la fine della storia.
Intendevano forse che si sia esaurito ogni moto progressivo del genere umano? La risposta è nettamente negativa.
Gli intellettuali dell'imperialismo si muovevano e si muovono teoricamente in uno schema di filosofia della storia illuministico e positivistico, che ebbe una delle sue più esplicite espressioni nella filosofia del girondino Condoreet (poi giustiziato sulla ghigliottina dal Comitato robespierrista dell'anno II).
In questo quadro filosofico, la storia del genere umano è suddivisa in due grandi epoche. Una prima epoca, nella quale i «lumi» e la «natura umana» sono contrastati da forze «irrazionali» e «oscurantiste», che impongono culture e istituzioni contrarie al libero uso dell'intelletto, all'indipendenza individuale delle attività economiche, all'assolutezza del diritto di proprietà privata (tutte espressioni di una presunta vita dell'uomo conforme a natura e razionalità); una seconda epoca contraddistinta invece dalla piena e definitiva affermazione dei «lumi» e della natura universale e razionale dell'uomo, che consentirebbe dunque la creazione di un quadro di valori, di costumi e di istituzioni capace di garantire tutto ciò che abbiamo sopra citato, da ogni invadenza pubblica nella vita economica, da qualsiasi forza «oscurantista», «illiberale» o sedicente tale. In questo contesto «illuminato» l'uomo sarà libero di vivere in società secondo natura, esercitando il suo libero giudizio, e soprattutto curando i suoi interessi economici e privati in piena indipendenza.
Il progresso, inteso genericamente come ereseità di forze culturali e materiali, di livelli conoscitivi ed economici, è presente in entrambe le epoche. Dunque nessun intellettuale borghese ha mai pensato che si potesse interrompere il ritmo progressivo della vita del genere umano.
Tuttavia, nelle due epoche citate, il progresso assume forme differenti. Nella prima epoca, quando «lumi» e «natura» dell'uomo sono contrastate da forze irrazionali, o sedicenti tali, il progresso è lotta, conflitto lacerante, salto qualitativo, cambiamento brusco e violento di strutture e situazioni che lo ostacolerebbero. In termini più concreti questo progresso, pensato come ereseità delle forze economiche borghesi, si deve misurare contro tutte quelle forze che si oppongono alla borghesia, al profitto capitalistico, allo sfruttamento imperialistico. Tutto ciò che contrasta gli interessi borghesi e capitalistici, siano le classi feudali del Settecento, sia il movimento operaio e socialista del nostro secolo, è considerato come un elemento irrazionale, che impedisce alla vita sociale e politica di adeguarsi alla natura universale e razionale dell'uomo (che non è altro che quella, storicamente e socialmente condizionata, dagli imprenditori e dai banchieri).
Gli intellettuali liberali della borghesia hanno sempre auspicato una «fine» della storia come stadio conclusivo di quella lotta contro le forme «irrazionali» che si oppongono al profitto capitalistico; un trionfo totale da cui discenda, con lineare consequenzialità, la creazione di un quadro istituzionalmente e culturalmente immodificabile che consenta la totale espansione dell'economia capitalistica, senza conflitti radicali e senza opposizioni antagonistiche che le contrastino. Si passerebbe alla seconda epoca della storia umana, e ad un progresso in forme di crescita quantitativa indefinibile, di evoluzione continua non lacerante, nel contesto di strutture e valori statici e non contestati. Il Paradiso terrestre dell'industriale e dell'usuraio!!
Naturalmente, a partire dal '48, e poi nel XX secolo, sconfitte ed omologate al sistema le vecchie forze aristocratiche e monarchiche europee, le forze oscurantiste erano rappresentate dal movimento operaio organizzato, dal socialismo rivoluzionario, dalle lotte dei popoli poveri del Terzo e Quarto mondo; soprattutto dai comunisti.
I lacchè della NATO e dell'imperialismo (ben pagati da università, televisioni, giornali, ecc.) speravano che, discioltosi il blocco dei paesi socialisti e il movimento comunista internazionale, si sarebbe agevolmente giunti alla seconda grande epoca delle storia umana, al paradiso terrestre dei monopolisti, degli industriali, degli usurai di ogni tipo. Non più lotte sociali e opposizioni rivoluzionarie, né sul piano interno ai singoli paesi della catena imperialistica, né sullo scacchiere internazionale, ma tutti in estasi di fronte alla dentatura da pescecane di Berlusconi, e alla «erre» moscia da frocio di Agnelli!
Ecco il vero significato della «fine della storia», cui si pensava in questi anni di fine secolo! La cialtroneria di Saddam Hussein, l'asservimento all'Occidente del gruppo dirigente e mafioso di Eltsin in Russia, il colpo di Stato in Algeria, il rafforzamento dei legami fra Europa occidentale e Usa, nel quadro della NATO e dell'ONU, l'onnipresenza di «marines», parà, ecc. di fronte a festose telecamere; tutto questo lasciava sperare il meglio. Festa continua senza più «rotture di coglioni»!
Cos'è invece successo negli ultimi mesi? Cosa sta, e potrebbe succedere sullo scacchiere internazionale, e all'interno delle stesse società capitalistiche più avanzate?
La finanziarizzazione dell'economia, il rafforzamento delle sue interdipendenze planetarie, e le politiche economiche liberiste di questi ultimi anni hanno interagito negativamente con le tradizionali contraddizioni del capitalismo e dell'imperialismo, rappresentate dallo sfruttamento operaio, dalla crescita degli strati marginali delle società capitaliste avanzate, dall'impoverimento dei popoli del Terzo e Quarto mondo.
La finanziarizzazione ha appesantito ogni passo della catena imperialista, dagli Usa fino al Messico, di enormi debiti pubblici e privati; su questi debiti prosperano rendite parassitarie e speculazioni che assorbono risorse dell'apparato produttivo, annullando ogni margine di profitto per la crescita dei redditi popolari, proletari e piccolo borghesi. In questo quadro i governi nazionali sono costretti a ripiegare sulle politiche reaganiane degli anni ottanta, inasprendo gli aspetti antisociali: smantellamento della sanità pubblica, liquidazione del sistema previdenziale a ripartizione, blocco di salari e stipendi, restrizione permanente della base occupazionale.
Se queste politiche liberiste sono già esplosive in Usa, in Gran Bretagna e in Italia, rischiano di creare devastazioni immani nella periferia del sistema; ne sono emblematici esempi il Messico (con la rivolta zapatista in corso nel sud del paese), il Perù (dove ancora si sentono le conseguenze del colera e della lotta armata senderista), l'India (dov'è riemerso l'ancestrale incubo della peste).
La finanziarizzazione interagisce con la completa libertà di movimento dei capitali finanziari, ormai garantita dalle nuove tecnologie telematiche. Ne conseguono i disordini attuali sui cambi monetari, sui tassi d'interesse dei Titoli di Stato, ecc. Il risultato finale è l'aggravamento dei problemi del debito pubblico, con la possibilità di vere e proprie crisi finanziarie, soprattutto nei Paesi più poveri. È questo il caso del Messico, il suo crollo finanziario ha innestato una pericolosa dinamica di eventi economici e sociali. L'instabilità sempre più acuta dei mercati finanziari internazionali, con l'indebolimento del Dollaro, che rafforza il Marco, il quale mette in crisi le altre valute europee, e crea difficoltà alla stessa industria tedesca, penalizzandola nel settore delle esportazioni.
Il radicalizzarsi del conflitto sociale interno, con l'esercito, che su sollecitazione americana interviene nel Chiapas, estendendo e inasprendo i focolai di ribellione in tutto il Paese.
Ciò che è avvenuto in Messico, e da lì si è trasmesso altrove dimostra che una crisi di simili dimensioni non è facilmente isolabile, nonostante i continui tentativi dal sistema imperialistico mondiale di mediare i suoi contrasti economici interni, e di darsi valide forme di governo della intera economia planetaria (FMI, OCSE, Banca mondiale, ecc.).
Che dire poi della ritirata militare dalla Somalia? Del dilagare dell'integralismo islamico, dentro e fuori i confini dell'Algeria? Delle nuove forme di rivolta palestinese contro la resa di Arafat a Rabin?
Sono anche da calcolare le lotte sindacali e le proteste giovanili che si stanno reinnescando negli stessi Paesi capitalistici avanzati! È di poche settimane orsono la notizia (abilmente nascosta da TV e giornali) di una massiccia rivolta studentesca a New York, con 30.000 giovani che gridano slogans anticapitalistici e con la polizia che si abbandona alla repressione più selvaggia. 
Scene da maggio parigino del 1968.
I tagli alla scuola pubblica, la crescita abnorme di settori marginali, i drammatici problemi occupazionali dei giovani, il fenomeno della immigrazione dai Paesi periferici, la mancanza di margini di profitto per risposte istituzionali di tipo riformistico o keynesiano; tutti questi fattori interagenti non possono mancare di inasprire, in forme non ancora prevedibili, il conflitto sociale nelle giovani generazioni degli strati più poveri della popolazione. E il discorso vale per Usa, Europa e Giappone. In Italia, ad esempio, negli autunni '93 e '94, abbiamo assistito alla formazione, spesso spontanea e ingenua, di movimenti di massa giovanili e studenteschi.
Con uno schema simile al 1968/69, proprio nel nostro Paese, la protesta degli studenti si è intrecciata con il più poderoso scontro sindacale degli ultimi vent'anni, contro la finanziaria del governo Berlusconi.
Pochi cenni sono dunque sufficienti per disegnare uno scenario di scontri sociali, di lotte popolari, di fermenti rivoluzionari che ha, come fra gli anni '60 e '70, due grandi poli di aggregazione ed un fronte d'urto trainante. I due poli sono da un lato la massa proletaria dei popoli del Terzo e del Quarto mondo, dall'altro lato i movimenti sindacali e giovanili dei Paesi più avanzati, che possono in prospettiva costituire la base sociale per la nascita di una nuova soggettività politica di massa rivoluzionaria.
Il fronte d'urto più pericoloso, per la stabilità del sistema imperialistica, è rappresentato dalle lotte popolari dei Paesi periferici (come teorizzato da Mao Tse Tung), che non solo innescano la spirale del conflitto (ne è un esempio attualissimo il movimento islamico algerino, formatosi nel '91, quando si pensava imminente, o addirittura già attuato il «nuovo ordine mondiale»), ma ne esprimono le forme più radicali e devastanti, mettendo in pericolo le riserve di materie prime e le fonti energetiche del capitalismo. Si può pensare ad un'onda d'urto che dalla periferia si trasmette al centro, sebbene con forza decrescente. Dalla lotta armata degli Zapatisti alle proteste sindacali italiane, alle manifestazioni studentesche di New York, può ricostruirsi un unico fronte di lotta contro gli imperialisti e le loro centrali di potere e di manipolazione culturale della società civile.
Momenti diversi, con differente forza d'urto e pericolosità dello stesso conflitto che sorge dalle contraddizioni profonde del sistema; sorge inizialmente in modo spontaneo e oggettivo, creando però la base di massa per la formazione di una soggettività rivoluzionaria capace di sovvertire il potere capitalistico, qualora sia in grado di radicarsi nella società civile, d'intrecciarsi organicamente alle lotte operaie e popolari, e di organizzarsi politicamente e culturalmente.
La Storia è dunque finita? Anche negli anni della «belle epoquè», ad inizio secolo, sembrava che il sistema fosse solido ed in espansione continua ed è finito nella tragedia del '14-'18!
Gli imperialisti e i loro intellettuali «liberal» si ricordano dei corsi e ricorsi storici! Cronologicamente la fase rivoluzionaria del secolo si aprì proprio in Messico nel 1911, con la grande rivolta contadina guidata da Emiliano Zapata e Pancho Villa. Poi venne l'Ottobre sovietico del 1917: dieci giorni che fecero tremare il mondo! Intanto Cuba e il Vietnam -simboli storici della lotta antimperialista e antiamericana- resistono tenacemente alla marea reazionaria!
Attenti signori! Il XXI secolo potrebbe essere, per voi, peggiore del XX! La storia potrebbe esaurirsi non con l'Eden del borghese, ma con il trionfo del socialismo rivoluzionario! Come ebbe a dire Fidel Castro, in un suo vecchio discorso: «il destino degli imperialisti e dei loro servi è di finire nella pattumiera della storia».

Renato Pallavidini

 

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