da "AURORA" n° 25 (Aprile 1995)

LA POLEMICA

Citazioni e pensieri

Vito Errico

Quando si vuol fare bella figura, si tira fuori una frase ad effetto, di citazione altrui, e la si lancia nell'arena della retorica. Poco importa se le frasi proferite siano maledettamente datate di momenti e frangenti particolari e determinati. Chi fu a dire che ad una parola si può impiccare un uomo? Francamente non c'è voglia di tornare a rimestare la solita melma. Chi ama flagellarsi e nella consunzione dell'orfanità dedicarsi al piacere di Onan, lo faccia. Ma non rompa i coglioni. Scusate, ma proprio ci vuole. Imbecilli? No. Imbecillità è debolezza, categoria che non mi appartiene. E scusate ancora se parlo in prima persona. Faccio, voglio fare (anche io!) bella figura. 
"Parliamo dell'elefante" di Leo Longanesi, quel dì 15 dicembre 1938, anno di leggi razziali: «Fanfare, bandiere, parate. Uno stupido è uno stupido. Due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica». Ancora? Dal poema epico indiano "Mahabharata", traduzione di Pavolini: «Gli stupidissimi e gli intelligentissimi se la passano bene al mondo; l'uomo di mezza tacca non ha pace». 
Una puntata romantica, visto che il romanticismo ha permeato tanto la «nostra» storia? Pronto! Schiller ne "La pulzella d'Orleans": «Contro la stupidità gli dei stessi lottano invano». Ma si può ancora perdere tempo a discutere di tutto il mercato di carabattole che infarciscono lunghi e inconcludenti discorsi? Io non ho più voglia. Siamo allo spartiacque della storia: o si va da una parte o si va dall'altra. Ricerca di comodità? Forse, ma quella che riserva il mare aperto, con le sue burrasche, i suoi marosi, le sue tempeste. Nessuna ricerca di anse riparate, nessuna voglia di mettersi sotto vento. 
Al bando i capitani.
C'è da pensare con la propria testa, non si delega più il nostro pensiero. Pensare, non rincorrere lo zero virgola qualcosa e neanche le percentuali bulgare. Son secondarietà seppure realtà della vita accettate. Non è più tempo di ubbie ma di realtà, quella necessaria nella navigazione a vista. C'e una convinzione di fondo: la vita ha cieli solcati da rondini, ma anche mari infestati da squali e terre percorse da fiere. Il paradiso non è di questo mondo. È «di là» per chi ci crede. L'«al di là» non è di questo mondo. Piacciono le riserve indiane? Rispettiamo l'altrui opinione. Ma non ci si chieda pietà quando arriveranno le «giacche azzurre» a vendere l'«acqua di fuoco».
Ho dato fuoco ai vascelli, i loro rottami riposano negli abissi. Ho voluto chiudermi qualsiasi possibilità di ritirata. Indietro non si torna. E cammino con chi vuol stare al passo con me. Leticando, magari. O sperandolo, con forza.
Qualche santone, ancora ipnotizzato dagli incubi d'incerta gloria della sua sporca vita, sostiene che con i miei simili non andremo ad alcuna parte. Si sbaglia, non siamo abituati a restar «fra color che son sospesi». Dai santoni non possiamo tornare, né si vuole. La nostra coscienza è stata violentata una volta, non si può rifarlo. Non glielo permetto, non glielo permettiamo. Creduli un tempo, smaliziati nell'odiernità. Chi cerca galloni e pennacchi, s'accomodi nella «forza storica». Noi non faremo parte di compagnie di ventura sbrindellate e ubriache.
Sono anni che viviamo davanti allo specchio della nostra coscienza, con lo sguardo fisso alla storia. Quante storie d'inganni vediamo sfilare. Siamo antifascisti? O lo siamo sempre stati? Il nostro fascismo non s'è mai fatto realtà. La realtà è stata ben altro. Quando non c'eravamo ancora e dopo. Non doveva essere «contro tutte le forme di dittatura, da quella della sciabola a quella del tricorno, da quella del denaro a quella del numero»? Si fece dittatura della sciabola, del tricorno, del danaro e del numero. «Il numero è forza» si disse quando si costrinse e ci si fece costringere a mettersi tutti in stivaloni. La «nostra» storia, sulla quale ho sputato, è costellata da tribunali speciali, di leggi razziali, di miserabili nefandezze. Si uccisero le libertà, da matricidi avidi. Lo chiamavano «Stato Etico». Corrado Alvaro invece ci aveva azzeccato: «un'epoca di questurini». Non è tutta quella, la storia?
Del sangue e dei sacrifici compiuti in onestà d'intenti ho fatto eucarestia della mia anima. Ma le nefandezze oscurano e maculano sempre ciò che è puro, nobile, dignitoso. Questa non è abiura, è roba che sosteniamo da anni. 
Un altro appunto. Non ci si doveva opporre «all'imperialismo degli altri popoli a danno dell'Italia e all'eventuale imperialismo italiano a danno di altri popoli»? C'era scritto così, nel "Manifesto di San Sepolcro", quello che piaceva ai comunisti italiani. Mi devono ancora spiegare perché invademmo la Grecia para-fascista e facemmo macellare settantamila italiani nelle pianure dell'Ucraina, dopo aver costruito la flotta sovietica nei cantieri di La Spezia e Taranto. È mezzo secolo che aspetto che qualcuno mi spieghi il «perché» del sacrificio di centinaia di uomini di Betasom.
In questi giorni c'è il peana del Cinquantenario. E nella storia militare d'Italia non s'aggira soltanto il fantasma del vile Badoglio. C'è un altro spettro che si fece carne sugli altipiani di Arcinazzo. Graziani fu un disastro militare, una incompetenza militare, una disgrazia popolare. Senza i suoi bandi di arruolamento, i comunisti della resistenza avrebbero fatto la fine di quelli greci, «stirati» sotto i carri degli inglesi. Agli immemori che leggiucchiano e fanno i saccenti le parole di Stanis Ruinas, nell'ormai introvabile "Pioggia sulla Repubblica": «La chiamata alle armi di tante classi, provocando il fenomeno del "ribellismo", fu anche la causa maggiore, sebbene indiretta, dei rastrellamenti, e, in parte, della guerra civile. Non s'era veduta mai una cosa più puerile e mostruosa; rastrellare degli uomini nelle piazze e nei caffè, nei cinema e nei teatri, ed arruolarli per combattere! Tonti e lurchi i tedeschi, pazzi e criminali quelli che li assecondarono in questa opera di barbarie».
Ci si vuol masturbare ancora con i richiami a «Rivolta Ideale, i fascisti dei contratti collettivi» ecc., ecc. Io sono un uomo del Sud, che conosce la storia degli uomini del Sud. Ho l'orgoglio di essere d'estrazione contadina. Ho l'onore di dire che mio nonno, di cui porto il nome, era un bracciante analfabeta. Qui il fascismo è stato Peppino Caradonna e i suoi agrari che striavano di sangue le schiene ingobbite dei contadini. Sono figlio d'un Uomo che a quindici anni faceva il sindacalista fascista ed ebbe il coraggio di denunciare un prete agrario, Ufficiale Cappellano della Milizia, per violazione del contratto collettivo. Porto nelle vene il sangue di quell'Uomo deferito al Tribunale Speciale per renitenza della "premilitare". Aveva da lavorare, non c'era tempo per giocare alla guerra. Dopo la guerra quell'Uomo fondò una sezione del MSI, «per l'Italia e la Socializzazione». Lo espulsero dal partito perché colpevole di opporsi alla «normalizzazione capitalista». Storie conosciute da chi fa il santone e lo abbandonò come lo abbandonarono tanti. E ne morì. Personalismi? No, storie di uomini che avevano dovuto combattere guardando in faccia il nemico e sentendosi sparare alle spalle.
Quando sarà chiaramente documentato quel ch'è stata la storia del nostro dopoguerra, si vedrà che pochi santoni, al soldo dello straniero, hanno fatto strame e commercio delle nostre anime. I nostri ideali trasformati in credenze e usati nel mercimonio della bassa macelleria sui banchi di mercato di Yalta. Se è vero che elementi della Xª MAS s'erano messi al soldo dei gladi americani, oltre a non meritare la vittoria che non arrise loro, non dovevano nemmeno perdere. La bufera della storia doveva soltanto risucchiarli nell'inghiottitoio dell'Ottavo Cerchio, dove la pece bollente ricopre le anime sozze dei barattieri. È stata questa la «nostra» politica, la «politica militante», il «patrimonio culturale e sociale».
Ah! Dimenticavo. La tanto biasimata, condannata, criticata, disapprovata, disprezzata, riprovata, vituperata democrazia! Quanto hanno scritto e quanto ci hanno fatto leggere! Vi ricordate le èlites di Vilfredo Pareto? I Figli del Sole erano le èlites. Quelli che lottavano, assaltavano, battagliavano, duellavano per fruire dei cappelli di lista, quelle che si compilavano in occasione delle elezioni continuamente chiamate «ludi cartacei». E quando non bastavano i «ludi» nazionali, si cercavano quelli «oltre la nazione», dove la paga è in dollari. E chi non votava era un traditore.
Dobbiamo tirare le somme di questa galoppata? Facciamolo, e rapidamente. Purché non se ne parli più. A furia di parlare del fascismo che fu, mi hanno reso antifascista. A furia di mandarmi alle urne, per eleggere gli èlitari, son diventato democratico. A furia d'essere al soldo di «Stripes and Stars», dal '45 al '90, mi hanno reso antiamericano. A furia di trescare col capitalismo, mi hanno reso anticapitalista. Se non proprio socialista. A furia di parlare di Europa, poiché non sono risorgimentalista, son diventato italiano. E sono questo: italiano, anticapitalista, democratico, che ha chiuso nella sua coscienza le scissioni del '14 e del '21. Unilateralismo non valido? Io rispondo solo alla mia coscienza e Beppe Niccolai mi ha lasciato qualcosa. Non mi piacciono le velleità kennedyane di Veltroni ma non mi garbano nemmeno gli ispirati da Barry Morris Goldwater, il quale amava ripetere che «l'estremismo in difesa della libertà non è una colpa, la moderazione nel perseguimento della giustizia non è una virtù». 
Un'ultima citazione, per fare bella figura.

Vito Errico

 

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