da "AURORA" n° 26 (Maggio - Giugno 1995)

IL CONFRONTO

 

Cari interlocutori,
passando da Torino a Palazzo Nuovo ho acquistato, in una libreria della zona, l'ultimo numero della vostra rivista. Già tempo fa vi scrissi per confrontarmi con voi, e la mia lettera, con spirito da parte vostra assolutamente non settario, venne pubblicata. Ciò significa che con voi si può anche ragionare.
Ho sfogliato l'ultimo numero e debbo dire che alcuni articoli possono trovarmi d'accordo, altri meno. Non ho per nulla apprezzato l'inserto-mattone di un certo Moricca, il quale rischia di allontanare quanti a sinistra potrebbero anche confrontarsi con voi, per un'eventuale fronte comune contro il sistema.
La visione che ha il Moricca della politica, dell'ideologia, della società, della storia, della famiglia, ecc. è quanto di più oscurantista possa esistere e, oltretutto da, della stessa Tradizione (che ha avuto anche i suoi aspetti positivi) un'immagine orripilante che fa solo il gioco dei filosofi "liberal-democratici", sempre pronti a respingere in blocco tutti gli aspetti di essa e a far credere che la società consumistica attuale, sia ancora il paradiso terrestre e che il "nuovo ordine mondiale" va quindi difeso a spada tratta contro quanti (poco importa se voi "fascisti anomali", o gli islamici o ancora quei pochi marxisti, come me, che non si lasciano abbindolare dalle promesse filo-occidentali dei vari On. Cialtroni) minano la sua esistenza.
È vero che tra il socialismo di Marx e il socialismo (se così si può chiamare) della Tradizione vi sono non poche differenze (e chi lo nega?). Ma come vi avevo già scritto, il fascismo ha in sé anche elementi moderni e progressivi che, in un certo senso, vanno contro la Tradizione (basti pensare alla Vandea, come termine negativo di paragone, per indicare il Piemonte partigiano o le affinità fra la Francia giacobina e rivoluzionaria e gli ultimi 600 giorni di Salò, dove il segretario fascista veniva definito il «Robespierre» della RSI.
Inoltre il Moricca (non so che provenienza abbia, visto che fra voi ci sono persone di estrazioni diverse: dalla fascista, alla socialista, alla marxista-leninista, alla cattolica di sinistra fino, persino, all'anarchia) se la prende con Ugo Spirito (che personalmente considero una delle più belle figure del fascismo critico) contestandogli la celebre frase sui comunisti quali «corporativisti impazienti» e ponendo o proponendo (mi sembra di aver capito) il solito corporativismo dall'alto e mai menzionando la socializzazione. A questo punto mi vien voglia di chiedervi che razza di fascista di sinistra sia mai costui, o se invece non si tratti di un «borbonico» o di un «vandeano» travestito. Se tutti voi la pensate come lui allora avrebbero ragione i miei compagni di una volta che liquidavano qualsiasi forma di fascismo come «espressione degli strati più retrogradi della borghesia e della reazione», ma preferisco la tesi bordighiana sulla «socialdemocrazia autoritaria». Quanto a me, non mi considero un corporativista impaziente (anche se capisco il momento in cui Gentile e Spirito espressero un simile giudizio), semmai un «socializzatore impaziente» (la socializzazione di origine anarco-sindacalista, che sotto il nome di autogestione si tentò di attuare nel dopoguerra in Jugoslavia).
Sarebbe troppo lungo dilungarsi su tutto il "mattone" (che penso trovi ben poche persone, anche tra voi, che abbiano la pazienza di leggerlo. Oltretutto, il Moricca, non segue nemmeno un filo logico, in quanto salta da un argomento all'altro improvvisamente). Vorrei ancora soffermarmi sui concetti che il Moricca ha su amore, sesso, famiglia dove supera persino i fondamentalisti islamici (dove all'interno della famiglia il sesso non è condannato) e gli stessi tradizionalisti cattolici (su cui mi soffermerò), arrivando ad essere assai concretamente più vicino ai fondamentalisti protestanti americani o ai più ortodossi ebrei.
Premesso, come già vi scrissi, che non ho niente in comune con quanti (forse la maggioranza?) condividono l'attuale sesso-consumo, sesso-volgarità, sesso-droga, sesso-mercato, sesso-disgregazione dei valori, è anche importante sapere che non fa assolutamente parte della Tradizione (anche ponendomi da un punto di vista di essa) l'annullare (o azzerare come preferisce il Moricca) qualsiasi forma di sessualità. Lo stesso Evola, ha scritto in materia abbondantemente (ma sembra che sotto questo aspetto l'evoliano Moricca non conosca il suo maestro); e parafrasando Pareto per cui «in una società tradizionale autentica non vi è posto per i virtuismi» o nell'antica Roma «la sessualità venne messa al suo giusto posto, né troppo in alto né troppo in basso» (J. Evola, "Gli uomini e le rovine").
Ma tralasciando la visone «neo-pagana» veniamo a quella cristiano-cattolica (escludendo gli «aggiornamenti» post-Concilio Vaticano II).
Moricca afferma che la «sessuofobia» cristiana non viene ripresa dall'ebraismo ma dall'antica religiosità pagana. Forse è vero: un certo aristotelismo, negli ultimi tempi, attraverso San Paolo (avvicinatosi all'ellenismo) deve certo aver influito. Ma non dimentichiamoci che la stessa tradizione ebraica, seppure fino alla stesura del "Cantico dei Cantici" (bellissima espressione di una sessualità bella, dolce, pulita) si era limitata a condannare l'adulterio e l'incesto, con la deportazione a Babilonia e la stesura del Talmud, inizia un vero e proprio irrigidimento in materia sessuale, che sarà proprio quello che formerà Paolo prima del suo avvicinamento a quel classicismo a cui ho accennato, e che insieme formeranno il peggior manicheismo in materia attraverso i secoli (che però non arriverà mai a ricoprire tutta la Chiesa nel suo insieme, influenzando invece alcune «eresie», il puritanesimo protestante, in tempi moderni, e persino certo laicismo anticlericale del secolo scorso, dove premeva superare la Chiesa in moralità). A questo punto, anche la lettura di un filosofo radicale come Russell può venirci in aiuto. In "Storia della Filosofia Occidentale", il vecchio Bertrand, mostra una certa obiettività, ben lontana quindi dagli anticlericali tout-court soprattutto italiani e francesi. Egli scrive, ad esempio, che le idee di San Paolo (già rigide di per se stesse) vennero ampliate ed esagerate da certi suoi successori, come ad esempio l'ex-puttaniere Agostino (probabilmente costui voleva reprimere solo sé stesso!). Nei secoli seguenti, diciamo, che all'interno della Chiesa di Roma esistono varie tendenze in materia. Certamente sessuofobi viscerali non sono San Tommaso d'Aquino (che il Russell arriva a preferire a J. J. Rousseau), come più tardi non lo sarà Tommaso Moro. D'altro canto esistono, è vero fustigatori totali della carne quali San Bernardino da Siena e San Bonaventura o, più tardi, il Savonarola (che però finirà arso vivo, in quanto la sua «sessuofobia» va al di là della stessa dottrina della Chiesa) al quale però, ancora oggi, gli stessi tradizionalisti cattolici preferiscono San Filippo Neri (molto più tollerante). Per tutti i duemila anni di storia, la Chiesa si appoggerà quindi su varie tendenze senza farne prevalere in esclusiva alcuna. Anche dopo il Concilio di Trento (che pure rappresentò un irrigidimento rispetto al passato e allo stesso Medioevo), vedremo un San Alfonso Dè Liguori che pur facendosi portavoce del più intransigente controriformismo, in materia di sessualità fra coniugi (ovviamente) raccomanderà solo di non superare i tre coiti per notte (posizione questa contestatagli da certi fanatici anticlericali sessuofobi di inizio secolo); e nello stesso periodo, i Gesuiti impegnati nelle varie Missioni latino-americane, mostreranno una certa tolleranza per certi usi e costumi di origine india.
Venendo al nostro secolo, lo stesso Pio XII, approva il sistema Ogino-Knauss che consente di avere rapporti nei giorni infecondi, il che vuol dire che è consentito far l'amore anche senza avere in progetto un prossimo figlio (almeno in linea teorica, visto che a sentire molti tale sistema non funzionerebbe ...). Tralasciando il periodo post-Concilio (che a torto o a ragione è stato considerato un'accettazione da parte dei cattolici della morale radical-liberale, salvo il concetto di «amore» come primo posto nel matrimonio accettato da Evola in "Gli uomini e le rovine"), veniamo all'attuale Pontefice Giovanni Paolo II. È vero che egli si pone intransigentemente contro i rapporti prematrimoniali, forse deludendo i più intransigenti, come anni fa aveva deluso i più accaniti reazionari affermando che la Rivoluzione Francese ebbe una funzione positiva in quanto «molti suoi aspetti erano cristiani» e parlando del Risorgimento ricorda con calore i rapporti tra Garibaldi e i patrioti polacchi, per cui neanche il biondo «eroe dei due mondi» era da Wojtila considerato un «diavolo».
Premesso, che pur essendo un credente, non sono affatto un clericale, né un cattolico tradizionalista, ho voluto per amore di verità, scrivere le cose come stanno, in modo indipendente e libero, smentendo quanti, con motivazioni varie (da destra o da sinistra) tendono a falsificare la storia cercandone una a loro uso e consumo. Ora c'è solo da aspettare, da parte di Moricca, una scomunica verso Tommaso D'Aquino, Tommaso Moro, S. Filippo Neri, S. Alfonso dè Liguori, Pio XII e dulcis in fundo, Giovanni Paolo II. Concludendo, mi auguro che il «socialismo» di cui vi fate interpreti, non sia il «socialismo da cimitero» teorizzato dal Moricca.
Cordialmente.

Giorgio Viganò


Risponde Francesco Moricca

Per cominciare una precisazione: Viganò parla di me come di un «pensatore» -sia pure ultrareazionario- che espone sulle pagine di "Aurora" teorie personali, le quali Viganò si augura non condivise dagli altri collaboratori della rivista, soprattutto -mi pare di capire- dal suo Responsabile politico.
Ora, non solo io non presumo di essere un «pensatore». Non ho l'ambizione di esserlo. Non credo nel «genio» individuale dei «pensatori» e ho parecchie riserve sulla «filosofia» come in genere su ciò che si definisce «cultura». Ciò che è «creazione» o «produzione» dell'uomo mi insospettisce. Perché presumo di conoscere a sufficienza i limiti umani, a cominciare dai miei. Quel che è opera dell'uomo «in quanto uomo» è troppo umanamente interessato, e assai spesso dietro le cosiddette «virtù», si celano moventi inconfessabili e quasi sempre inconsci.
L'inconscio: ecco l'assoluto umano che si contrappone ad un altro assoluto che non per necessità va immaginato come «divino» (me lo consenta il «credente» Viganò, che tuttavia mi sembra assai protestante e per niente cattolico quanto tiene a precisare di non essere affatto «clericale»; quanto a me, come potrei essere definito «clerico-fascista», se sto proponendo, senza alcun artifizio polemico come si vedrà in seguito, una concezione «non-teistica» dell'assoluto?). Mi limito a concepire l'assoluto come il contrario della concezione che possono averne gli uomini, fondando tale assunto sulla pura e semplice volontà di sottrarmi ai condizionamenti -inconsci e non- che la politica esercita sugli «intellettuali» e su quanti ne subiscono il fascino, e ne danno testimonianza presentandosi intanto come ammiratori dell'apertura al dialogo della nostra rivista: che è quanto dire del «libero spirito». Non so in verità se un simile complimento possa far autenticamente piacere a chi vi scrive, se inteso nel senso liberal corrente. Non sembra a Viganò che una simile assunzione di significato dell'assoluto ponga chi se ne fa assertore al riparo da troppo facili e superficiali classificazioni? Non gli sembra che questo modo di essere «reazionari» abbia qualcosa almeno di realmente «rivoluzionario», perché mette in crisi prima di tutto il soggetto della ricerca, il «pensatore» il cui «genio cimiteriale» consiste in un rifiuto sistematico di ciò che è «umano, troppo umano», cioè personale e individualistico, e lo mette in crisi proprio nel momento in cui le sue idee richiamano l'attenzione di altri soggetti e per finalità politiche? Stia tranquillo Viganò, i Redattori di "Aurora" non sono molto d'accordo col «filosofo» Moricca, né l'uomo Moricca cessa di essere coerente con sé stesso, se accetta il principio politico del «centralismo democratico», e lo accetta entro i limiti che esso stesso si è imposto in ragione della sua, più volte manifestata, posizione impolitica. 
Farò certo cosa gradita a Viganò dichiarando le mie «origini» marxiste, ahimè! Tuttavia, anche quando ero marxista, ho sempre avuto una caratteriale diffidenza per la «politica», la stessa di oggi, dopo 25 anni. Non potevo, pertanto non avere dei problemi coi «compagni», perché, allora, del tutto inconsapevolmente, ero uno che, da marxista, svelava ai quattro venti l'impostura marxista, l'impostura del «progresso storico», della palingenesi collettivistica, della risoluzione dell'individuo libero e responsabile in una comunità eticamente insignificante perché livellatrice di tutta la complessità dell'esistenza alla stregua di «bisogni umani» materialisticamente intesi. Mi si diceva che ogni rivendicazione dei diritti della coscienza, per non parlare di quelli dell'intelligenza e del buon senso, era «roba da borghesi». Mi parve questa una tale scempiaggine -perché, mi creda Viganò sulla parola, per il momento, io non sono un borghese in quanto costituzionalmente «ingenuo»- che decisi di «prendere la via del bosco» e di organizzare la mia esistenza nel modo più appropriato alla mia inclinazione naturale che è essenzialmente ludica, persino quando devo essere per forza «serio». Ciò basta a spiegare perché oggi continuo ad essere -epperò consapevolmente- «scandaloso», scandaloso come fascista di sinistra. Si, voglio con le mie «provocazioni» accertarmi che vi sia differenza davvero fra fascismo di sinistra e comunismo.
Ecco il motivo della mia critica ad Ugo Spirito. Ma non al giovane Ugo Spirito, il cui problematicismo trovo assai rispondente alla mia richiesta di uno scetticismo rivolto alle radici inconsce della esistenza stessa, non solo della «filosofia» e della «politica». Ciò è detto molto esplicitamente nel mio inserto mattone sull'economia socializzata, che Viganò dovrebbe avere la pazienza di rileggere con maggiore attenzione e imparzialità. Si accorgerà, allora, anche del fatto che io parlo sempre di socializzazione e mai di corporativismo deteriore ("fascista"), sebbene adoperi il termine «corporativismo» anziché quello di «socializzazione» per sottolineare le origini tradizionali (antimoderne e antimarxiste) della socializzazione quale dovrebbe, secondo me, intenderla la Sinistra Nazionale, e come non la intese, non potè intenderla, il fascismo del Ventennio. Socializzazione in senso tradizionale non è socialismo in senso marxista-leninista, perché esclude tanto la «dittatura del proletariato» quanto quella della «borghesia».
Ma non per questo esclude la gerarchia dalla organizzazione della produzione, una gerarchia che deve dipendere dalla competenza tecnica intesa anche come «carisma politico», e che non ammette niente di simile ai «consigli di fabbrica» giacché, come Evola ebbe ad osservare realisticamente, anche citando l'esempio dei Paesi del «socialismo reale», l'organizzazione di un'industria moderna richiede conoscenze, anche in campo strettamente finanziario, che sono di carattere «iniziatico», nonché una rapidità di decisione che è incompatibile coi tempi lunghi della democrazia diretta. Per un altro verso i pericoli della tecnocrazia borghese, che tendenzialmente minacciano anche il sistema più perfetto di economia socializzata, dovrebbero essere contrastati dalla presenza di un potere statale, costituito da uomini che non abbiano alcun rapporto e interesse per l'economia, che «hanno fatto voto di povertà», che sono identificabili nella casta dei sacerdoti-filosofi della Repubblica di Platone e nella campanelliana Città del Sole. Vi è dunque una ragione per la quale io adopero delle parole piuttosto che altre. Non solo per Viganò voglio qui ribadire che le parole sono la sostanza delle cose, e che non è lecito usare una parola piuttosto che un'altra per meri fini di efficacia propagandistica. La propaganda deve essere chiara e in quanto tale, momento per elevare le conoscenze del potenziale elettore, non per carpirne soltanto il consenso. Io sono assolutamente «antinominalista», molto scettico rispetto alla soluzione del problema degli «universali» data da un Pietro Abelardo, soluzione molto «intelligente» e «moderna» che però fu fieramente osteggiata da San Bernardo di Chiaravalle, e che invece troverà certamente consenziente Viganò. 
Quanto a San Tommaso, non si può non apprezzarne la metafisica, ma, ad onor del vero, io preferisco quella «irrazionalistica» di San Bernardo, se il saperlo può far piacere a Viganò. Sono un uomo del Medioevo, però come si può esserlo alla fine del XX secolo. Non un «vandeano» nel senso che Viganò attribuisce al termine. Gli suggerirei di leggere al riguardo un mio articolo sulla Vandea (un «mattoncino», devo avvertirlo) pubblicato su "Aurora" del settembre '94. Lo consiglio anche, per la questione riguardante Evola e la socializzazione, di avere la pazienza di leggere l'inserto «super-mattone» pubblicato sul numero di gennaio '95.
Mi resta ora da rispondere circa la mia concezione dell'«eros» che Viganò presenta come radicalmente «sessuofobica», ben più oltranzista che non quelle del fondamentalismo islamico e di S. S. Giovanni Paolo II, anzi addirittura di ascendenza «giudaico-talmudica». Se pensa Viganò di colpirmi col riferimento a questa ascendenza giudaico-talmudica, è del tutto in errore, perché io non ho verso gli Ebrei altri «pregiudizi» che non siano quelli che aveva lo stesso ebreo Karl Marx e il marxismo più ortodosso. Che poi l'ebraismo più intransigente sia «sessuofobico» è oggettivamente falso. È vero il contrario: esso è una religione «sessuomane», come mostra con gran massa documentale l'ebreo Otto Weininger nel suo libro «Sesso e carattere», quando, ad esempio, denuncia il substrato «femmineo» della religione giudaica e l'interesse «morboso» che i rabbini, a suo dire, hanno per i «misteri» della generazione e per i suoi «organi». Peraltro, la stessa citazione del "Cantico dei Cantici" da parte di Viganò ne fa fede, e gli esegeti e biblisti medioevali hanno dovuto durare non poca fatica per trovare una plausibile interpretazione «allegorica» di questa «bellissima espressione di una sessualità bella, dolce, pulita», come Viganò definisce il "Cantico dei Cantici".
Ma perché Viganò vuole «colpire»?
Io penso che egli sia stato «urtato» dalla mia «sessuofobia», tanto da perdere lucidità mentale e da attribuirmi idee che non mi appartengono, neanche, oso dire, inconsciamente. Ciò significa che per lui la sessualità è tabù, che egli vi si sente talmente «realizzato» da trovare «scandaloso» chi solo si azzardi a mettere in discussione questa forma di «realizzazione spirituale» (per la stessa ragione, nella mia critica a Ugo Spirito, Viganò ha colto solo la pars destruens -quella relativa all'apertura di Ugo Spirito verso la «filosofia dell'amore» e il libertinismo non solo «metafisico» di Spinoza-, mentre gli è sfuggita completamente la pars costruens, riguardante il problematicismo del periodo giovanile di Ugo Spirito, che pure, aggiungo, si ripropone in qualche misura nell'opera della sua estrema maturità).
Venendo alla mia pretesa «sessuofobia», il cui vero significato non è sfuggito ai Lettori attenti e imparziali, è da dire che per Evola la sessualità deve avere il giusto posto che merita in una sana concezione del mondo («né troppo in alto, né troppo in basso») solo se è sacralizzata, ovviamente in un senso «super-confessionale» e in una società tradizionale, vale a dire «organica», stabile e normale. In una società in fase di più o meno avanzata decadenza, la sessualità può avere una funzione «anagogica», transumante, solo se esercitata nel quadro di una seria disciplina iniziatica (si veda la "Metafisica del sesso" e "Lo yoga della potenza"); proprio in quanto non viene vissuta come pratica naturale spontanea, meramente degustativa in termini di «bellezza, dolcezza, pulizia», come sostiene Viganò. Lo «yoga della potenza» è anzi essenzialmente uno «yoga violento», per cui nella «Metafisica del Sesso», Evola valuta positivamente le potenzialità di «trascendenza» insite nelle teorie del Marchese De Sade e dello stesso Crowley (quanto al Crowley, è da ricordare che fu osteggiato dal fascismo e alla fine cacciato dalla Sicilia, dove si era stabilito e dove si dedicava ad esperimenti di magia sessuale di orientamento satanista; di questo anche dovrebbe tener conto Viganò, quando enfatizza certi aspetti «progressivi» e quindi «permissivi» del fascismo-regime; quanto poi al suo riferimento allo spirito «rivoluzionario» di Salò, a me sembra che egli sia anche influenzato da una certa interpretazione pasoliniana, sicuramente eccessiva e «decadente» dell'esperienza della RSI, che Pasolini presentò con esplicita allusione alla biblica Sodoma).
Sulla scorta delle indicazione di Evola -il quale peraltro riconosce il valore della castità, epperò come libera scelta, possibilmente successiva ad esperienze di «sfrenatezza» come quelle ricordate da Viganò più con russelliana approssimazione che con vera «irriverenza» a proposito di Sant'Agostino- mi pare del tutto legittimo sostenere, come io faccio, che in una società come l'attuale, in cui il sesso è mercificato persino presso le sue espressioni esulanti dal mero mercimonio, occorra «azzerare» la sessualità.
È questa una proposta paradossale e provocatoria, ma comunque rivoluzionaria nei confronti del radicalismo borghese di un Pannella e della Sinistra radical chic. Potrebbe essere definita «idealistica», ma non certo «oscurantista».
Per essere chiari: non sono di quelli che pretendono di regolare la prassi del coito e la sua frequenza in situazioni coniugali o extra-coniugali. Tuttavia su simili argomenti sarei assai cauto. Una morale sessuale è imprescindibile anche indipendentemente dalla considerazione dei risvolti sociali e politici della sessualità. Di più, questa morale, deve essere rigorosa, tale essendo la condizione per cui la stessa «trasgressione» possa avere un senso positivo, anche in termini puramente edonistici.

Francesco Moricca

 

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