da "AURORA" n° 27 (Luglio 1995)

L'INTERVENTO

Strategie e scelte strategiche...

Ivano Ernesto Boselli

Mi è capitato ultimamente di sentir ragionare su strategia e scelte strategiche, volontariato e radici; così vorrei dire la mia su "Aurora".
Le radici le conosco bene. Sono bracciante agricolo da dieci anni ed anche prima che ciò diventasse lavoro, le radici da trapiantare, da consolidare, da ossigenare non mi erano sconosciute. L'analogia tra crescita intellettuale umana e apparato radicale del mondo vegetale si presta bene alla rappresentazione; approfitto di questo per mandare avvisi e appelli a tutti quelli che si occupano di radici.
Il primo avviso, il più urgente, è di annaffiare le radici perché sono vive e respirano; soprattutto quelle che vivono nelle nostre case hanno bisogno di acqua. Parte della radice, crescendo è rimasta la stessa, ma l'acqua no, è sempre nuova. Cercare di calcolare ogni quanto tempo lo stesso litro d'acqua passa dalla stessa fonte sono sicuro che annoierebbe tutti; a me basta ribadire di mantenere rifornita di acqua sempre nuova la radice perché è viva, respira.
Il secondo avviso, lungi dall'essere irridente, è di andare, dalla radice un po' più su con lo sguardo, si noterà così che c'è una pianta, l'Organismo di cui la radice fa parte. Spreco del tempo precisando questo perché ho sentito le preoccupazioni sulla salute delle radici e posso indicare un sicuro metodo di riconoscimento: l'osservazione della pianta, dell'Organismo. Una radice malata o attaccata deprime e avvilisce l'aspetto della pianta. Così come l'organismo può guarire la radice, questa può salvare la pianta, quindi ai preoccupati direi senz'altro di osservare di volta in volta le fioriture e, perché no, i frutti.
Per ultimo un appello a tutti i lettori di "Aurora". Liberiamo le nostre già piccole sedi dalle mille radici, rimettiamole dove devono stare, nel terreno. Se non estirpate le radici sono invisibili; ciò non reca danno alla pianta; è l'insieme degli organi armonicamente disposti che forma l'organismo. Non vedo la necessità di mostrarle ogni volta, anzi so per certo che le radici temono la troppa aria e la troppa luce.
Sul volontariato.
Secondo me è nella sterilità dell'azione politica di partito che si trovano le basi che spingono al volontariato. Per esempio, il partito, il sindacato sono invenzioni della sinistra, ma di quella sinistra che sostituisce l'aristocrazia nel potere. Essa si è sempre fortemente interessata degli occupati che sono la sua massa di manovra, i suoi sostenitori. I poveri non la riguardano. Aveva interesse per loro al sorgere del movimento socialista, ora lascia che sopravvivano nei loro ghetti, nei quartieri dormitorio. I poveri pensano a destra perché vivono la sinistra come una loro nemica. I partiti della sinistra, i sindacati si occupano dei poveri solo quando si discute un progetto o una legislazione, ma se ne occupano esclusivamente per difendere gli interessi dei lavoratori e per confermare una loro supervisione. Dopodichè chi si è visto si è visto ed ai poveri pensano i parroci o i volontari. L'homo Rossi vuole poter essere artefice di sé stesso, almeno nel proprio ambiente, ed allora finito il lavoro si mette volontariamente alla guida di un'ambulanza: quel malato lo vede, lo raccoglie, lo sistema ed in seguito cerca di sapere l'esito del suo impegno. Si è salvato? È deceduto? Non importa, lui c'era e ci ha provato.
Questo dobbiamo offrire alla gente come movimento antagonista, prove di fattibilità. Offrire alla gente non solo le chiavi di una corretta lettura storica, ma anche le chiavi di casa. Dare la possibilità di veder modificato l'ambiente grazie al proprio intervento, anche se si tratta del minuscolo problema dell'orario della corriera.
Il volontariato ha in sé una forte spinta antagonista anche se inconsapevole. Sta a noi, o almeno ai migliori di noi, trasformarla in consapevolezza. Consapevolezza intesa come indispensabilità del proprio intervento quotidiano nella società nell'occuparsi dei vari problemi e non solo quando ci viene richiesto il voto di delega. Io, antagonista al sistema monetario instaurato a Bretton Woods nel '43 in periodo bellico, non devo essere antagonista al direttore di banca sotto casa che mi comunica l'improvviso rialzo della divisa ECU in periodo di non-belligeranza. Nemmeno chiederò mai un voto che mi permetta di occuparmi di spots televisivi quando so che il mio cane, se si ammala di dissenteria, ha subito la cura pronta mentre nello stesso momento, nel mondo, la dissenteria è una delle cause principali di mortalità infantile.
Il volontariato cerca soluzioni fattibili; mentre uno scienziato ricerca la cura, il volontario vuole alleviare le sofferenze del malato terminale pur sapendo che questi è destinato a morte certa: questa è la molla principale del volontariato.
C'è una nube di mille miliardi di dollari che vaga sul mondo, spostandosi ad un battito di computer da una capitale finanziaria all'altra, da New York a Hong Kong a Zurigo. Per ora le economie nazionali sono riuscite miracolosamente a resistere all'immane vortice delle speculazioni, ma la bilancia dei pagamenti è sconvolta e le operazioni di salvataggio si fanno sempre più affannose. Parafrasando Marx: «i capitalisti di tutto il mondo si sono uniti, ma gli speculatori di tutto il mondo continuano ad affrontarsi selvaggiamente».
A volte pare di essere di fronte ad un mare nelle cui profondità gli squali si scontrano, si azzannano. Noi vediamo solo le onde di superficie di questa battaglia subacquea. E allora? Per questo motivo non dobbiamo occuparci della potabilità dell'acqua che beviamo? No, il senso di impotenza non deve mai diventare apatia. 
Il volontariato è un serbatoio antagonista e bisogna sfruttarlo nel unico modo possibile: facendo le cose.
Per quanto riguarda strategie e scelte strategiche bisogna innanzi tutto distinguerle dalla tattica. Quest'ultima si occupa dei risultati immediati in un orizzonte più circoscritto, mentre la strategia è l'insieme dei mezzi concepiti ed utilizzati per raggiungere un determinato scopo, specialmente a lunga scadenza. Quindi vorrei che la smettessero di dare patenti di strategia a semplici stratagemmi. È come se definissimo strategia il decidere se stare a sinistra o a destra, o se parlare al popolo di sinistra piuttosto che a quello di destra.
No, la strategia è altra cosa. Strategia è sapere che la politica, in un Paese moderno vuol dire amministrazione. Oggi le cosiddette forze politiche sono prese dalla discussione ideologica se sia meglio la sinistra progressista o la nuova destra, quando meglio sarebbe che il tempo necessario per fare un buon "Piano Regolatore" non fosse più di otto anni, come è in media attualmente, ma di uno o due.
Anche le recenti elezioni sembrano aver confermato la composizione del ceto dirigente: avvocati e ragionieri. Ragionieri che fanno conti falsi e avvocati azzeccagarbugli che coprono i conti falsi dei ragionieri. Ieri i conti dell'IRI o dell'INPS erano in profitto o in regola, mentre oggi affondano in oceani di debiti senza che si capisca cosa ci stiano a fare la Corte dei Conti e gli altri organi di controllo.
Strategia è far sì che si modifichi il ceto dirigente. Si dice che siamo in presenza di una rivoluzione anomala, senza barricate. Certo è una strana rivoluzione, senza giovani; gli Stati Maggiori giacobini erano di ventenni, idem i generali napoleonici e i rivoluzionari sovietici; da noi l'età media dei dirigenti della Lega, che è l'unico movimento per certi aspetti sovversivo, è sui quarantacinque anni e sono sopra i cinquanta i salvatori della Patria come Berlusconi o le prefiche della Democrazia Cristiana come Martinazzoli. Strategia è avere giovani tra i dirigenti del movimento.
Di veramente nuovo c'è che da almeno due anni viviamo nell'assenza dello Stato, di un vero Stato. Ogni mattina ci alziamo per constatare con un velo di stupore che i bus, le banche, i negozi, le puttane, gli stilisti, i salumieri continuano a fare i loro mestieri. Tutti che chiedono a tutti «Lei che ne pensa? Come finirà?» Tutti che rispondono «Non ne ho la minima idea». Mi torna in mente una sentenza di Keynes «La bancarotta definitiva verrà, verrà quando saremo già morti». Strategia è rimanere vivi e vitali.
Certo ha ragione Bertinotti quando dice che per ora non ci sono resistenze possibili alla mondializzazione. Lo stesso capitale non interroga e non si interroga, non si chiede mai verso dove stai correndo; chi se lo chiedesse sembrerebbe uno che fa discorsi sconvenienti, come quello che in un Consiglio di Amministrazione ponesse il problema dell'immortalità dell'anima. Le preoccupazioni sono altre: mondializzare la produzione, ma non i consumi. Far fare le auto ai cinesi, ma non vendere l'auto a un miliardo di cinesi. Se poi fra cinquant'anni il miliardo di cinesi pretenderà di andare in automobile in un mondo invivibile, si vedrà. Qualche soluzione la si troverà, ma l'aveva già trovata il buon Hitler. Strategia antagonista alla mondializzazione è ridurre i nostri consumi e sprechi.

Ivano Ernesto Boselli

 

articolo precedente indice n° 27 articolo successivo