da "AURORA" n° 27 (Luglio 1995)

POLITICA E SOCIETÀ

Nuove vie della politica

Giorgio Vitali

Mi riferisco agli ottimi articoli di Benvenuti (Mai a destra ma neppure con questa sinistra), Luigi Costa (Illusioni pericolose), Vito Errico (Il coraggio della sinistra), per azzardare alcune considerazioni.
Innanzitutto, il rischio sempre presente di scadere nel «dissidentismo» dovrebbe costringere le persone che vogliono proporre una nuova linea politica a stare molto attente ai propri riflessi.
Il dissidentismo come il reducismo ed il nostalgismo sono gravi fattori di ritardo per una proposta politica realmente attuale, cosa alla quale noi dobbiamo in assoluto puntare, essendo la nostra proposta politica agli antipodi degli schieramenti oggi in auge (a questo proposito, e soltanto a questo proposito è lecito citare Ortega). La proposta politica esibita nelle ultime elezioni, al di là di abiure più o meno ufficiali, dai due schieramenti, si basa sempre e comunque su situazioni retrò. Basti pensare che la sinistra inalbera ancora, a 50 anni di distanza, il 25 aprile, come data della «Liberazione», indifferente al fatto che di questi riti mortiferi non interessa assolutamente nulla a nessuno. A cominciare dalle vecchie cariatidi antifasciste. Siamo arrivati al punto di «epurare» parte del film "Roma città aperta", andato in onda in questi giorni.
Per AN e similari, la competizione elettorale ha visto comunque aleggiare il mito révanchismo, perché nulla di realmente nuovo è stato proposto dai vari oratori succedutisi nelle variopinte e gastronomiche tribune elettorali.
Siamo fermi, tutti, al 1945!
Mentre la società civile continua a muoversi, sia pure con estrema lentezza, per conto suo.
E mentre la risposta politica all'evoluzione della Società, oggi, è quel Corporativismo che Noi, con 60 anni di anticipo, avevamo lucidamente elaborato, secondo il vecchio costume del nostro Paese: sgangherato, cialtrone, vigliacco, ma sempre all'avanguardia per le soluzioni che l'umanità ricerca ai suoi problemi.
Il dissidentismo, come il reducismo, non costruisce; [ricordiamoci il fallimento di Democrazia Nazionale, decretato da quelli stessi che, in una situazione molto più facile, non hanno avuto remore ad inserirsi in AN, e valutiamo i voti ottenuti dal nostalgismo non-fascista, nemmeno repubblichino, ma missista (Rauti) se espresso come dissenso]. In Italia il consenso elettorale è stabile. Il voto viene dato per tradizione familiare, oppure per convincimento dell'ultima ora (messaggio tecno-pubblicitario), ed anche, per fortuna, per radicamento culturale (ma ciò riguarda solamente i cattolici, e comunque non è poco). Il voto per trascinamento si ottiene ancora ed in buona parte, attraverso le organizzazioni parrocchiali ed addentellati. (Basta gettare una occhiata agli eletti di tutti i partiti!).
Oppure attraverso un imponente dispiegamento di mezzi economici che impressionano l'elettorato. È un controllo del consenso che avviene ancora per vie antiquate, tipiche del vecchio assistenzialismo cattolico, ove ciò che conta non è la partecipazione civile come espressione di Giustizia, ma il Volontariato come assistenza al «povero», al bisognoso, alla «condizione operaia»; componenti sociali che restano «soggetto passivo», e non devono mai sognare di sentirsi «Concittadini», che hanno diritto ad una Giustizia «uguale per tutti».
Perché questa, evidentemente, è la nostra concezione ghibellina della Società: giustizia contro eguaglianza, giustizia al posto dell'amore, della generosità, della bontà; qualità utilissime per ottenere il Paradiso, ma pochissimo funzionali ad una società di Cittadini. Saranno banalità, ma io penso che il problema sia tutto qui. Il Consumismo è l'espressione di questa sudditanza benevola. La Videocrazia (vedete quanti videocrati -detti anche mezzi busti- hanno partecipato alle elezioni in posizioni di grande prestigio) ed i suoi addentellati di manipolazione e darwinismo sociale, ne sono espressioni del momento. Infine, in un'analisi del voto, non può mancare un dato incontrovertibile, col quale dobbiamo comunque fare i conti: il bipartitismo è un sentiero obbligato di questa democrazia, che si deve adeguare al resto del mondo. Il problema, ovviamente, non è il bipartitismo in sé stesso, ma cosa avviene in un sistema bipartitico: i due schieramenti guardano al Centro, alla Palude, per attingere voti. Solo che, in grandi linee, negli altri Paesi attingono voti, qui invece e comunque, trovano il nocciolo duro del guelfismo, che ha la capacità di condizionare, per ovvie ragioni, la politica dei due schieramenti.
Politica che non può essere autonoma per i molti legami internazionali che insalamano il nostro Paese. Ed allora, per non farsi imbalsamare dalle vecchie cariatidi della «Democrazia» socialdemocratica o liberaldemocratica, che hanno fatto il loro tempo ovunque, noi dobbiamo partire dalla Geopolitica. Se la base delle nostre analisi della situazione politica italiana non parte dalla Geopolitica, tali analisi possono servire al massimo per ottenere un voto in AN; non per fare Politica, Politica vera, quella che noi dovremmo sforzarci di fare.

Giorgio Vitali

 

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