da "AURORA" n° 28 (Agosto - Settembre 1995)

TRA GUERRA E PACE

Fuori la NATO dalla Bosnia!
Ricordiamoci del 1914!

Renato Pallavidini

La situazione di crisi nei Balcani ha subìto, nelle ultime settimane un'accelerazione pesantissima, il cui momento culminante sono i micidiali raids aerei NATO e statunitensi. Di fronte a questi eventi non ci si può sottrarre, come forza rivoluzionaria, socialista e antimperialista, ad un'analisi storica e ad una chiara e precisa presa di posizione politica.
Innanzitutto, va rilevato che l'aspetto più inquietante dello scenario non è tanto rappresentato dalle micidiali bombe che, da più parti, cadono sulle città bosniache, ma dal delinearsi in questa regione di condizioni e tensioni politiche analoghe a quelle che, nel 1914, portarono al grande macello del Primo conflitto mondiale. L'azione dei governi occidentali, degli USA e della NATO sembra convergere, nella più totale incoscienza, verso questo punto di non ritorno. La Germania che muove, appoggiando la Croazia (con l'appoggio americano e NATO), contro i Serbi, i quali invocano, e giustamente, trovano, la solidarietà russa. Non è uno schema politico-diplomatico simile a quello dell'estate 1914, quando l'Austria-Ungheria mobilitò, con l'aiuto tedesco, contro la Serbia scatenando la reazione russa?
Grave, in questo precipitare di eventi, è anche il fatto che nessuno -dico nessuno!- politico, intellettuale, giornalista dei paesi «occidentali», chiarisca a un'opinione pubblica ormai rincoglionita i reali scenari e rischi della situazione bosniaca. Stanno tutti innestando una folle corsa verso il baratro, facendo leva su una sfacciata campagna di stampa antiserba, sulla naturale pietà umanitaria suscitata dalle immense sofferenze cui sono sottoposte da anni le popolazioni della regione. Possiamo presumere che Clinton, per età ed estrazione americana, ignori completamente la storia moderna e quindi gli eventi europei del XIX secolo e del '14; però non ci vengano a dire che Chirac e Khol non li conoscono!
Le immagini che vengono quotidianamente da Sarajevo suscitano orrore, ma come si è arrivati a tanto? Ci si poteva pensare prima? E poi quante immagini altrettanto orrende la propaganda americana e occidentale ci tace? Nessuno ci ha mai fatto vedere ciò che sta succedendo nel Chiapas, o le terribili situazioni sociali delle grandi metropoli brasiliane!
Come si è arrivati a tanto e di chi sono le maggiori responsabilità?
Prima di tutto va riscontrato che ci troviamo di fronte ad una regione maledetta dalla storia europea. Sin dal XIV secolo, sin dall'inizio della grande espansione ottomana nell'Europa centro-orientale, nei Balcani passavano le linee di frontiera e di scontro tra Cristianità cattolica, Cristianità ortodossa e Islam. I diversi popoli slavi, che ancora oggi si combattono, erano gli avamposti di queste tre grandi religioni. Fra Croati cattolici, Serbi ortodossi, Bosniaci musulmani, la storia ha purtroppo creato un clima di odio reciproco, di perenne diffidenza e di rapporti bellicosi fino all'eccesso.
Dissoltasi la Federazione Jugoslava, questi odi sono riemersi, e non bastano i falsi e generici appelli pacifisti, che vengono da Bruxelles o da Piazza San Pietro, a cancellarli. Messa in movimento la peggiore bestia della storia europea con lo sfascio della Federazione Socialista Jugoslava, si poteva anche prevedere che si arrivasse a tanto.
Sul piano storico, l'esaurimento dell'ondata espansionistica turca, fra '600 e '700, ha reso i conflitti balcanici movente ed oggetto di tutte le grandi crisi fra le potenze europee, tra il 1821 e il 1914. Lo schema base vede, sin dai moti indipendentisti greci del 1820/21, la Russia intervenire a difesa delle popolazioni slave e ortodosse, le altre potenze europee contrastare l'azione russa per impedirne l'espansione nei Balcani e l'accesso al Mar Mediterraneo. Su questo schema base si sono verificate numerose varianti -su cui ci si consenta di sorvolare- che hanno condotto al conflitto d'interessi russo-tedesco del '14 e del '41. Oggi ci risiamo, con l'aggravante della NATO compatta dietro Tedeschi e Croati e delle armi nucleari!
Come si intuisce ci si trova di fronte a piaghe storiche profonde e pericolose, che non si possono imbonire all'opinione pubblica televisiva con il semplicismo ideologico e pietistico di Arrigo Levi o di Emilio Fede. In caso contrario ci troveremmo (come infatti ci troviamo) di fronte ad una società civile che arde dal desiderio di combattere per Sarajevo, se prende per buono il facile schema filo-occidentale: «Serbi cattivi, Bosniaci buoni, Croati un po' meno buoni, ma sempre vittime dei Serbi».
Signori qui si sta giocando con il fuoco!
Di chi sono le responsabilità storiche più immediate di questo ennesimo macello balcanico e cosa fare? Le responsabilità, ancora una volta, appartengono all'Occidente capitalistico e liberale. Questo va ribadito con nettezza manichea. Ci sono responsabilità lontane e responsabilità più recenti. Quelle più remote, nel nostro secolo, risalgono al 1919 quando fu creata quell'entità contraddittoria e artificiale che era la Jugoslavia: Stato multietnico che serviva da paravento all'espansionismo serbo sulla regione a danno di Croati e Bosniaci. Mussolini rilevò subito, nel 1919, l'artificiosità della costruzione Jugoslava e i rischi di un'ulteriore inasprimento dei conflitti etnici nei Balcani che essa recava con sé.
La situazione precipitò infatti con la Seconda guerra mondiale, con il concorso decisivo delle opposte interferenze della Germania, dell'Italia, dell'URSS, dell'Inghilterra.
Dopo il '45, il regime socialista di Tito riuscì innegabilmente a costruire un rapporto più equilibrato fra i vari gruppi nazionali, a livello di gruppo dirigente -dove spiccava in uno Stato a maggioranza serba un'importante componente slovena- e a livello istituzionale ed economico.
In seguito alla crisi economica degli anni '80, provocata dalle politiche liberiste attuate dalla dirigenza comunista di Belgrado e il conseguente indebitamento finanziario con le banche occidentali, in Jugoslavia dopo la morte di Tito, sono riemersi i vecchi moti centrifughi e sciovinisti. Milosevic che intende rilanciare la Jugoslavia in chiave di grande Serbia; Croati e Sloveni, forti del maggiore livello di sviluppo economico delle loro regioni, che rispondono con l'indipendentismo; i Bosniaci che se ne fanno contagiare.
È in questo recente scenario che vanno collocate le nuove, e più gravi responsabilità occidentali, in concorso ormai con la nuova politica capitalista del traditore Gorbaciov. Anche alla luce dei più recenti sviluppi, in Croazia e in Bosnia, appare chiaro che la Germania ha nuovamente tentato, con successo, di fomentare l'indipendentismo sloveno e croato (il primo Stato europeo e occidentale a riconoscere Slovenia e Croazia fu proprio la Germania); gli Stati Uniti, la NATO e l'ONU -che ne è oramai il ridicolo paravento- appoggiavano gli sforzi tedeschi e lasciavano macerare la situazione bosniaca, in un sabba di reciproco odio tra musulmani e nazionalisti serbi.
Visto anche quanto è successo in Slovenia e in Croazia fra il '91 e il '92, possibile che nessuno, nel gruppo dirigente bosniaco, prevedesse le possibili reazioni serbe, e le reali forze a loro disposizione per fronteggiarle? Chi li ha incoraggiati nella strada di un indipendentismo intempestivo e suicida?
Quest'ultima domanda ne suppone un'altra: a chi fa comodo lo scontro, che può diventare guerra fra opposti blocchi di Stati sovrani, fra nazionalismo islamico e nazionalismo serbo-ortodosso? Il quesito, per un rivoluzionario antimperialista e socialista è più che legittimo, anzi doveroso! Se, infatti, si guarda allo scenario internazionale di questi ultimi anni, si può agevolmente comprendere che, scomparso il Campo socialista, il movimento comunista e le tradizionali forze nazionali e antimperialiste che all'URSS e ai Paesi socialisti facevano diretto o indiretto riferimento, le forze che stanno infastidendo maggiormente gli ingranaggi del Sistema occidentale sono, da un lato, i movimenti islamici -che potrebbero mobilitarsi per Sarajevo, contro i Serbi e non più contro l'Occidente- e dall'altro lato, le forze nazionali e nazionalcomuniste in fermento in Russia e in tutto il mondo slavo.
Lo scontro generalizzato, o solo la tensione reciproca fra questi due fronti antimperialisti, bloccherebbe sul nascere una pericolosa aggregazione di Stati, movimenti, forze e idee che riattiverebbe lo scontro con gli USA, l'Occidente, i suoi interessi economici, i suoi circoli politico-finanziari, i suoi progetti mondialisti. Un'aggregazione tanto più pericolosa per il Sistema imperialista, in previsione di un possibile radicale ricambio politico all'interno della Russia a breve termine; visto che, fra qualche mese, si voterà per eleggere un nuovo Presidente della Federazione russa!
I raids aerei della NATO giocano, evidentemente questa carta politica, e la giocano in tempo utile a non scatenare nell'immediato il conflitto con la Russia, essendoci ancora al potere a Mosca, la banda criminale di Eltsin! Si tratta però, come rilevato di un gioco pericoloso che, oltre che passare sulla pelle dei popoli e delle masse lavoratrici, può scatenare dinamiche geopolitiche incontrollate, da cui tutti uscirebbero con le ossa definitivamente rotte.
Allora, cosa fare? Innanzitutto evitare interventi militari di parte, come quelli che si sono verificati, che hanno un chiaro significato filo-croato, che danno all'opinione pubblica serba e russa questa impressione, e che allargano il conflitto. Ogni intervento di tale natura allarga la piaga purulenta dei Balcani e può infettare l'Europa e il Mondo.
La proposta politica che ogni forza rivoluzionaria può lanciare è una mediazione diplomatica a livello europeo che coinvolga seriamente la Russia e ponga tutti i popoli in lotta su un piano di pari dignità e di pari responsabilità di fronte all'opinione pubblica. In questo contesto non ci devono essere spazi per interferenze statunitensi, meno che mai per interventi militari NATO indiscriminati e unilaterali.
Ancora due considerazioni finali. Prima considerazione: la Croazia, che tante simpatie aveva suscitato nel 1991, deve decidersi se diventare un popolo indipendente o rimanere una colonia tedesca nel quadro di una più ampia funzione di avamposto occidentale nella regione, con un fronte antiserbo e un fronte antislamico (a dimostrazione del teorema politico su cui si scriveva).
Seconda considerazione: il Vaticano è meglio che taccia, o mobiliti le guardie svizzere per intervenire militarmente e «separare» i contendenti! 
Troppo comodo, dopo aver attizzato il conflitto in tutta la Croazia, pontificare da Piazza San Pietro sulla pace, per poi concludere che l'unico strumento di pace sono i bombardieri americani (la Somalia non ha insegnato nulla!). Ci vada il Papa, in persona, nelle trincee serbe o bosniache a convincere i belligeranti che è il momento di fare la pace! Basta predicare bene e razzolare male!

Renato Pallavidini

 

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