da "AURORA" n° 28 (Agosto - Settembre 1995)

QUESTIONI DELLA SINISTRA

L'ultima vittima del Polo dei liberticidi:
Marcello Veneziani

Enrico Landolfi

Già in altre sedi ci si è occupati di Marcello Veneziani e della sua complessa vicenda nell'ambito del cosiddetto "Polo delle Libertà", conclusa con il siluramento dalla direzione de "L'Italia Settimanale" e la sostituzione con l'ex-direttore de "il Messaggero" Alessandro Caprettini. Ce ne siamo interessati intervenendo sul "Diario di una destra mancata", stringata ancorchè succosissima appendice dell'ultimo saggio del noto pensatore pugliese, di recente dato alle stampe per i tipi di Vallecchi Editore di Firenze con il titolo "Sinistra e destra - Risposta a Norberto Bobbio" e inserito nella collana "Il pensiero moderno - Cultura civile". Nelle sue scorrevoli prose il Nostro ha messo tanta carne al fuoco -tutta meritevole di analisi, chiose, approfondimenti, oltre che di vaglio critico- da indurci a ritornare sulle pagine talvolta perfino drammatiche del "Diario", onde esaurirne l'esame per quindi concentrare la riflessione sul testo saggistico in un'altra, successiva occasione.
Particolarmente attraenti i brani con cui l'Autore accenna ad una autocritica. Questo, anzitutto: «Mentre crescono i consensi, io comincio a credere che avessero ragione i dissensi, ovvero quanti avevano criticato la nascita del settimanale e poi la sua linea. Forse avevano ragione coloro che mi dicevano: è tempo sprecato inventare a destra sulla propria pelle riviste libere e schierate, o si è liberi o si è schierati. È sperpero d'energie, questa destra non merita nulla, perciò non ha cultura, editori, organizzazione della cultura, giornali». E ancora: «Mi avevano contestato in tanti, seppur piccoli gruppuscoli. A parte i nostalgici tutto d'un pezzo, a parte gli apocalittici radical-rivoluzionari per i quali io sarei asservito al complotto giudeo-massonico-mondialista (come si è poi visto...): forse avevano ragione alcuni ex-amici della nuova destra che giudicavano vano il tentativo di dare dignità culturale ed una linea di nuova destra alle forze che stanno emergendo nel paese. Era duro scontrarsi con le diffidenze dei colti e con la diffidenza degli incolti». Dove, forse, troppi ...forse frenano Veneziani nella consapevolezza piena della verità, esplicitata da un «Polo» che non solo nell'avventura del fondatore de "L'Italia Settimanale" svela l'inconsistenza della pretesa di essere «della Libertà». E nel «Polo», poi, quelli della cosiddetta Alleanza Nazionale sommano al deficit di spirito libertario, o semplicemente liberale, la mancanza di dignità storico-ideologica e il permanente latitare della serietà. Come lampantemente dimostrato dalla mascherata di Fiuggi, con il ridicolissimo giuramento abiuratorio imposto dal tandem Fini-Tatarella a gente disposta a tutto pur di mantenere lo sdoganamento in un'area di governo dalle spiccate caratteristiche reazionarie e maccartyste. Il tutto con la cooperazione obiettiva di una certa sinistra cogliona e sconfittista, che si è fatta rifilare la patacca «antifascista» da un'assemblea democratichina che si riparava dietro una sua inedita, presunta «larghezza di idee» per meglio killerare il movimento operaio e le forze democratiche di avanguardia. Di più: per meglio spacciare quale «riconciliazione nazionale», «superamento della guerra civile», «fine del dopoguerra» il patto di sangue con la destra economica e i suoi ultramiliardari, diretto al conseguimento della «soluzione finale» contro la Sinistra, i partiti popolari, la classe lavoratrice. Entro, naturalmente, un quadro di democrazia sempre più formale, relativizzata, condizionata, «protetta».
Capita non di rado che l'autocritica sia filiata dalla critica. È, per l'appunto, quanto succede nel "Diario". Ecco: «Anche la svolta di Fiuggi, avevo scritto, andava fatta, ma con più dignità, senza quel grottesco rovesciamento, dal neofascismo di ieri all'antifascismo come valore di oggi, che offende fascisti e antifascisti». Perfetto. Trattasi, però, di una clamorosa sconfessione, garbata e signorile, misurata e svelenita quanto si vuole, ma pur sempre sconfessione. Come poteva immaginare, l'amico Marcello, che i democratichini di AN gliel'avrebbero perdonata, visto e considerato che sono non solo dei rinnegati ma anche degli intolleranti, dei liberticidi, dei totalitaristi alla rovescia? E infatti è successo quel che non poteva non succedere. Ma seguiamo sempre Veneziani nell'analisi critica dove, come detto, è in incubazione l'autocritica. Sotto la data 1 aprile leggiamo: «Cosa non mi hanno perdonato? Provo a pensarci, perché mi sembra un po' generica la motivazione fornitami dagli azionisti, circa la mia "non controllabilità" politica e "le invidie e gelosie" dell'ambiente. Ricostruisco le voci e i dissapori. Dunque, non ho risparmiato critiche per la prova deludente del governo Berlusconi che avevo all'inizio apertamente sostenuto. Riconobbi che è stato un governicchio, non peggiore di tanti suoi precedenti -come dicevano da sinistra- ma neanche migliore. Uno dei tanti. Aveva tutte le attenuanti, ho scritto, dalla brevità e precarietà in cui ha operato, all'accerchiamento che ha subìto. Ma se devo dire quale sia stato il segno che indica il passaggio della destra al governo, non saprei cosa dire. Erano impreparati, è stato una vittoria improvvisata, imprevista». E scusate tanto se è poco! Marcello, aggiungiamo, ha dimenticato di citarsi relativamente ad un passaggio essenziale della disamina della vita, morte e non miracoli del governo del Cavaliere Azzurro definito «un mezzo fiasco» in un editoriale de "L'Italia Settimanale". Il che è sacrosantamente vero, anche se noi, meno caritatevoli e in un ruolo non «obbligante» come quello da lui ricoperto, lo definiremmo ben più realisticamente un fiasco e mezzo.
Prosegue il Nostro: «Ho poi criticato le nomine e il loro basso livello, la lottizzazione, il riciclaggio al ribasso. Insomma, non sono mancate critiche accanto al sostegno e ai riconoscimenti». Ma si rende conto Marcello che le sue riserve, perplessità, insoddisfazioni, delusioni sono tante e tali da letteralmente seppellire, ove effettivamente esistano, i per noi invisibili «sostegni» e «riconoscimenti»? Si è accorto dell'abisso che lo divide da un Fini il quale, a proposito del voto del marzo '94 e connesse conseguenze governative, parla di «rivoluzione liberatrice» mentre lui liquida bellamente il tutto come «un governicchio, non peggiore di tanti suoi precedenti... ma neanche migliore»? Voce dal sen fuggita... Intendiamoci, noi non soltanto coonestiamo le inopugnabili valutazioni dello scrittore pugliese, ma grandemente ne stimiamo l'onestà intellettuale e il sano orgoglio di militante nazionalpopolare che gli hanno vietato di fare da spalla intellettuale ad una sedicente maggioranza eterodiretta, telecomandata, frutto di un rapporto partitico perverso fra estrema destra politica costruita da un gruppo di opportunisti già annosamente esibitisi quali portatori di una cosiddetta «intransigenza fascista» e una estrema destra economica. Unite, ambedue, nel disegno di instaurazione di una ferrea dittatura di classe, organizzata e egemonizzata dalla componente più arretrata della grande borghesia capitalistica dietro il paravento di un preteso «liberalismo», che in realtà altro non è che un liberismo selvaggio destinato a rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, a cagione delle sue connotazioni antisociali e antipopolari. Ma, ciò detto, ribadiamo una nostra convinzione antica: la vera destra italiana non è la «nuova destra», venezianiana o tarchiana che essa sia, bensì quella di Berlusconi e di Previti, di Fini e di Tatarella. Marcello Veneziani è altra cosa.
E stia tranquillo: non stiamo tentando di annettercelo, di aggregarlo alla Sinistra. Anche perché, come lui, siamo rispettosi delle identità, delle diversità, ineludibile sale della democrazia e del libero confronto fra uomini liberi. Starà a lui definirsi, partendo dalla sua prerogativa e responsabilità di originale elaboratore di piattaforme culturali, ideologiche, politiche, strategiche. Dalla sua capacità di proposta e di dialogo. Noi, però, non possiamo non rilevare che la frazione della «nuova destra» facente capo a Marco Tarchi ha chiaramente fatto presente la provvisorietà di detta definizione, che ritiene non solo superabile, ma già in via di superamento. E nel frattempo sia Tarchi, sia i suoi amici di "Diorama Letterario" e di "Trasgressioni", colgono tutte le occasioni offerte dalla situazione politica per misurarsi con la cultura e la linea operativa della Sinistra, restando attestati su comportamenti intellettuali ariosamente dialogici ed inequivocabilmente autonomi oltre che promettentemente costruttivi.
Certo, pure Marcello Veneziani ha coltivato, coltiva, i valori della civiltà del dialogo. E anche ciò è alla radice della crisi nei rapporti sia con i Fiuggiaschi di Alleanza Nazionale, sia con l'insieme del Polo dei Liberticidi. Vediamo: «Poi so che non tolleravano i miei rapporti civili con gli avversari, la lealtà di dar loro a volte ragione, le aperture ai cattolici, l'udienza conquistata anche a sinistra. Ma io non accetto la militarizzazione del bipolarismo.» (bravissimo! - N.d.R.). Alle orecchie di chi, come noi, pratica una indipendente militanza di sinistra con referenti nei motivi libertari, questa è musica eccelsa. E chi, sempre come noi, per converso prova insuperabile ripugnanza per le miserie e le meschinità di piccoli uomini che restano tali ad onta dei galloni che un improvvisato capataz cuce loro sulle maniche, questa ulteriore denuncia venezianiana procura un incommensurabile senso di disagio: «E non mancava il risentimento di qualche squallido gerarchetto perché aveva avuto venticinque righe sul settimanale mentre il suo rivale interno ne aveva avute ventisette. Di queste miserie è fatta la politica». (No, Marcello, queste «miserie» non riguardano la nobile arte della politica, bensì l'ignobile mestiere della politique politicìenne, che nel giro di una manciata di mesi, forse addirittura di settimane, passa dal «Fascismo del Duemila» al «giuramento antifascista» in cambio di un pugno di ministeri di seconda categoria in un governo reazionario!).
Ma l'atto di fede «antifascista» non ha -come volevasi dimostrare- depurato la destra sedicente «nazionale» del grommo autoritario. Dice infatti il Veneziani: «E non tolleravano le pagine, mie, di satira nella rubrica de "Il Pazzo" (la più seguita dai lettori) ... A chi mi rimproverava i dissensi, io rispondevo che la ragione della credibilità del settimanale, e mia personale, anche nel sostenere le ragioni della destra, nasceva proprio dal nostro non essere allineati e organici. Poi, forse, non mi fu perdonato l'articolo sul "Corriere della Sera" sulla coincidenza tra vittoria politica e sconfitta culturale della destra. Non è vero, dissero i leaders di AN. E per smentire la mia tesi chiesero la mia testa, così confermandola ...». In cosa consiste questa disfatta culturale? Per esempio, in ciò: «Il problema non è dunque il passaggio da una cultura neofascista e antidemocratica ad una cultura liberal-moderata o d'altro genere. Ma è il passaggio dalla cultura al nulla o la sostituzione della legittimazione culturale con quella del potere».

***

Scorrendo le poche (12) però dense, concettose pagine del "Diario" si ha, netta, la sensazione che esse, pur nella varietà del riferire e dell'argomentare siano collegate, unite, unificate da un elemento forte di caratterizzazione: il disprezzo. Lo scrittore cerca di nascondere ciò, quando e dove e come può, facendo ricorso a non estasianti doti diplomatiche, a limature di linguaggio, a contrappesi concettuali. Ma la straripante passione ideologica, la tensione polemica da cui è animato, sono tali da travolgere le ovvie, normali prudenze dell'elogio e dell'agire politico. Sic stantibus rebus, la rottura con la vera destra a noi appare irrimediabile. E tuttavia ben comprendo la sua cautela, anzi la sua riluttanza a fare quella scelta di sinistra che a noi pur piacerebbe egli facesse, perché equivarrebbe a tuffarsi in una piscina con due dita d'acqua.
Ecco un ragionamento assolutamente condivisibile ancorchè amaro, pur se prende l'abbrivio da una battuta: «Quasi quasi mi butto a sinistra, diceva Totò, e vorrebbero che lo dicessi anch'io. Quelli di sinistra? Ma no, quelli della nomenklatura di destra. Per levarmi di torno e gridare: ecco il traditore, ecco perché lo abbiamo fatto fuori. E infatti sento con insistenza che starei per avviare una collaborazione con "l'Unità". Pura fantasia. Non ho remore a scrivere, neppure su "il Manifesto", purché possa scrivere le cose che penso io. Lo dicevo ieri, lo dico oggi».
Sbagliamo, o qui viene lanciato un segnale? Cioè: non chiedetemi impossibili, non dignitose ritrattazioni e rinuncie alla peculiarità della mia tradizionale linea culturale, ideologica, politica -le quali, oltre a tutto, non servirebbero a niente e a nessuno-; non vi azzardate a propormi passaggi con armi e bagagli nel campo opposto, che mi metterebbero nella stessa deprimente situazione morale dei Fiuggiaschi; rispettatemi, voi del Centrosinistra e della Sinistra, come un vostro contraddittore leale, civile, garbato, democratico ma autentico. A queste condizioni potrei anche avvalermi di pubblicazioni quali, appunto, "l'Unità", "il Manifesto" -e, aggiungiamo noi, perché non anche "Avvenimenti", "Critica marxista", "Liberazione"?- per scrivervi liberamente e così utilizzarle per diffondere idee? Con questa fantasiosa, ipotetica ma non astratta ricostruzione ci siamo, forse, spinti troppo in là, attribuendo a Marcello Veneziani la concretizzazione di una vecchia nostra tesi relativa a un disgelo da attuare -nell'epoca in cui post-fascismo sostituisce il neofascismo- mediante vari strumenti, non ultimo dei quali la nuova firma sulla stampa del vecchio nemico. Non aver compreso, diversamente da Berlusconi e da Forza Silvio, l'imprescindibilità dell'attivazione di detti strumenti ricompositivi è all'origine dell'humus in cui affonda le radici la traumatizzante avanzata delle destre nell'anno di grazia 1994.

***

Ed ecco il finale divisamento dell'Autore di "Processo all'Occidente": «No, resterò a destra, liberamente e criticamente, sarò la loro spina nel fianco. E se lorsignori riescono nel giro di pochi mesi a dire tutto e il suo contrario, zigzagare tra saluti romani e saluti antifascisti, io non ci riesco. Non facevo quelli, non faccio questi. E ho seminato troppe prove, tra libri, articoli e conferenze, per poter «remare contro me stesso». E poi la miseria di quattro politicanti non è una ragione sufficiente per cambiare idee, cultura e comportamenti. C'è pure un «popolo di destra» a cui resto legato e che mi resta legato».
Nessuno più di chi redige queste note -che sta a sinistra «liberamente e criticamente»- può capire l'amico Veneziani. Egli vuole impostare e vincere la sua battaglia con i piedi e, soprattutto, con la testa ben fermi nella sua area. Né potrebbe essere diversamente, anche perché sia sotto le fresche frasche della Quercia e dell'Ulivo, sia al di là di ogni vegetale riparo, c'è una Sinistra affetta da tre limiti opposti e convergenti: il diplomatismo con relativa «offensiva del sorriso», proiettata in direzione dei summit di AN e di FI (D'Alema); la violenza storico-psicologica targata 1945, con ovvia appendice gruppettara, ossia «fascisti, carogne, uscite dalle fogne» (Bertinotti); il moralismo aggressivo vetero-neo azionista, vale a dire «con i fascisti non si discute, anzi neppure ci si saluta» (Occhetto). Tutti i detriti dello sconfittismo, dunque; il concime che ha fatto la felicità e la fortuna di Berlusconi e di Fini, i quali paventarono a suo tempo che la Sinistra -soprattutto i comunisti e i socialisti- finisse per riscoprire e mettere a frutto le lezioni dei leaders più avvertiti e costruttivi della democrazia popolare e di avanguardia in tema di dialogo, confronto, approfondimento delle rispettive esperienze culturali e politiche con le masse e gli intellettuali prima impegnati nella ventennale era littoria poi reduci da essa. Il tutto in un clima di pari dignità e fuori dalle umilianti strettoie del «perdonismo» e delle condizionate «riabilitazioni».
Pertanto, il Nostro ha ragione da vendere quando fortemente sottolinea, pur evitando polemiche, l'esigenza sua di guardarsi da certi settarismi, non di rado odiosi e scorretti, che aduggiano la Sinistra. Dice: «La sinistra ti considera un mostro perché reputa ancora incompatibile la cultura con la destra». Non tutta la Sinistra, caro Marcello. Giorgio Amendola, in una famosa "Intervista", ebbe a contestare, e da par suo, questa tesi faziosa e infondata, immessa sul mercatino della «cultura» conformista e ufficiale non soltanto a proposito della destra ma anche del fascismo. Come ben sai, chi scrive ha contestato, contesta e ognora contesterà la esaustiva caratterizzazione come destra tout court della complessiva, complessa, complicata vicenda mussoliniana. Insomma, potremo definire «amendoliani» quegli intellettuali della variegatissima nostra Sinistra che hanno mescolato le loro firme a quelle delle «teste d'uovo» di centro e di destra che ti hanno tempestivamente, pubblicamente e nobilmente esternato i sensi di una veridica solidarietà. Mi limito a segnalare qualche nome: Santoro, Curzi, Pansa, Adornato, ecc.

***

Interessante anche il brano con cui Veneziani spiega i motivi che lo indussero a collegarsi con AN e il "Polo", pur tormentato da vari dubbi e in mezzo a tante opinioni avverse alla sua decisione: «Ma ritenevo necessario non tenersi in disparte. Nella convinzione che i fenomeni politici senza radicamento culturale, fondati sul nulla, finiscono nel nulla. In brevi anche se sfavillanti parabole. Il mio tentativo, o la mia pretesa, è stato quello di lavorare con i materiali scarsi che passa il convento, cercando realisticamente di calare le proprie idee e la passione civile nella concretezza della storia presente». Dove traspare non solo una calda autodifesa del ruolo assegnatosi, da uomo di cultura impegnato ma indipendente, nell'ambito dell'Asse Arcore-Marino, ma anche un giudizio negativo e inappellabile in ordine a una esperienza sulla quale in autunno o in primavera o anche oltre potrebbe calare una pietra tombale. Pure in virtù, magari, dei successi d'immagine non soltanto agostani dell'attuale, gettonatissimo Presidente del Consiglio.
Ancora più incisive ulteriori parole dedicate alla esigenza, alla voglia di pubblicamente giustificarsi: «Sarebbe stato molto più facile ritirarsi a priori sdegnati, criticando in modo ineccepibile l'essenza del berlusconismo e l'assenza di contenuti della destra politica. Rigoroso, impeccabile. Invece io ho cercato di lavorare e contaminarmi con i materiali della realtà. Ma ho tentato sulla base di un limpido disegno culturale e me ne assumo consapevolmente la responsabilità, e dunque non posso accettare accuse di opportunismo, o peggio di arrivismo. E se le intenzioni o le parole non bastano, credo che l'esito della mia vicenda le confermi chiaramente: se fossi un arrampicatore, starei sul mio ramo o ancor meglio avrei avuto uno dei ventisette incarichi che i giornali mi hanno attribuito nei vari toto-nomine».
A questo punto scatta l'interrogativo «che fare?», come recita il titolo di un saggio famoso di Lenin. E va da sé che la risposta, chiara e concreta, non può che spettare a Marcello Veneziani, unico legittimato a formularla senza essere molestato dai vari Tizio, Caio, Sempronio, Mevio che pretenderebbero -forti dell'esito negativo del suo «breve viaggio attraverso il Polo»- di insegnargli ciò che deve fare. Però, però... che tentazione sarebbero per noi quei «comitati pro-Veneziani» sorti in tutta Italia, se, ovviamente, fossimo al posto di Marcello....


Post Scrittum - A dispetto delle apparenze, anche questo pezzo ha, sostanzialmente, contenuti tali da consentirne l'apparizione nella nostra rubrica "Questioni della Sinistra". Infatti, anche vicende come quella di cui è stato protagonista il Veneziani -et similia- reclamano la seria, costante attenzione delle culture e delle forze politiche che si richiamano al movimento operaio, alle avanguardie sociali e democratiche laiche e cattoliche.

Enrico Landolfi

 

articolo precedente indice n° 28 articolo successivo