da "AURORA" n° 28 (Agosto - Settembre 1995)

UOMO E SOCIETÀ

Orgoglio eterosessuale

Giorgio Gramolini

Le recenti manifestazioni indette dalle organizzazioni omosessuali, culminate nella mitica «giornata dell'orgoglio gay», hanno raccolto, soprattutto da parte di esponenti politici e intellettuali, un generale consenso che ha il dolciastro sapore dell'unanimismo di facciata, spesso sconfinante nel ridicolo. La figura più spassosa l'ha fatta senz'altro il Sindaco di Milano, Marco Formentini, voluto appena due anni fa da un elettorato -per usare i termini più classici del linguaggio politico- senz'altro «di destra» e «conservatore»; personaggio sagacemente qualificato da non so quale osservatore come esempio di «bigottismo laico» (forse in contrapposizione al bigottismo religioso e paradossalmente più «virile» e rispettabile di una Pivetti), ed ora pronto a calare pubblicamente le brache scendendo in Piazza della Scala a firmare la petizione a favore del matrimonio omosessuale. Se il Formentini ha così creduto di far dimenticare ai Milanesi la bocciatura ed il relativo commissariamento del bilancio consuntivo subiti poche ore prima in Consiglio comunale (una delle peggiori umiliazioni per un Primo Cittadino) si sbaglia veramente di grosso e gli elettori se ne ricorderanno fin dalle prossime votazioni.
Che l'adesione alla causa dei «diversi» (e, anche se meno numerose e soprattutto meno rumorose, delle «diverse») sia semplicemente -come accennato sopra- «di facciata», lo dimostra il fatto che le raccolte di firme e le altre forme di propaganda viste in questi giorni per le nostre strade si configurano come operazioni di vertice, imposte da una casta intellettualoide grosso modo identificabile con quella che ha pienamente fallito la pseudo-rivoluzione del Sessantotto e oggi cerca qualche nuovo relitto ideologico cui aggrapparsi, mentre l'uomo della strada firma la petizione -quando la firma- tanto per non dire di no, per non farsi guardare storto, per non passare per indifferente, insomma con lo stesso spirito con cui imponenti masse di «fedeli» gremiscono le chiese i giorni di Pasqua e di Natale. Se poi si scava un po' a fondo -se si ha, cioè, voglia di andare a parlare qua e là con la cosiddetta «gente comune»- si scopre che non solo la base tradizionalmente cattolica o fascista, ma anche quella comunista (oggi tutte e tre difficilmente identificabili con precisi ambienti politici e partitici) hanno nei confronti dei «froci» un avversione che spesso sfocia nella vera e propria intolleranza.
Per riportare il discorso su un piano di razionalità -e sappiamo come, su questi temi, di razionalità vi sia grande bisogno- mi pare giusto ricordare come sarebbe assurdo colpevolizzare ed emarginare il singolo individuo omosessuale solo perché portatore di tale diversità. Personalmente non avrei -e, quando è capitato, non ho avuto- alcuna difficoltà a colloquiare, lavorare o pranzare con persone appartenenti alla categoria in questione e, anzi, sono convinto che, se ad esempio ci si trova in un ristorante, magari in compagnia di una donna, credo sia preferibile avere al tavolo accanto una coppia o un gruppo di omosessuali tranquilli e ben vestiti -caratteristiche spesso riscontrabili fra queste persone- che non una banda di spocchiosi giovanotti che, per apparire virili, si comportano in modo volgare e maleducato.
Dunque, nessuna discriminazione né, tantomeno. persecuzione sul piano personale e dei normali rapporti umani propri della vita quotidiana; nessun impedimento o divieto a che gli omosessuali (uomini o donne che siano) si conoscano, si incontrino e svolgano privatamente le pratiche di vita e di sesso loro più congeniali. Ben diverso è invece il discorso della «istituzionalizzazione» dell'omosessualità, ovvero il suo riconoscimento come opzione sessuale «normale», socialmente accettabile e proponibile al pari di quella eterosessuale; intendo dire che -per quanto rispettabile e non perseguibile- la condizione omosessuale deve pur sempre essere considerata una devianza, un errore, una malattia o, se vogliamo, uno scherzo di natura, al pari di tante altre minorazioni psichiche o fisiche i cui portatori sono degni di tutto il rispetto che si deve ad ogni essere umano e ad ogni creatura e di tutta l'assistenza di cui necessita la loro particolare condizione, ma non per questo vanno proposti come modelli a cui ci si possa «per scelta» adeguare.
In sostanza, l'omosessuale ha dei diritti in quanto essere umano (ad esempio, il diritto di non essere emarginato sul luogo di lavoro, di frequentare liberamente luoghi e locali pubblici, di accedere a cariche e uffici), ma non può rivendicare dei diritti in quanto omosessuale, tanto meno in quegli istituti (matrimonio, adozione di minori) che, ricadendo nella sfera della vita familiare, sono non solo tradizionalmente ma per loro natura legati al rapporto uomo-donna, rapporto spesso gravemente corrotto nel corso della storia dai condizionamenti socio-culturali della tradizione occidentale, e tuttavia unica condizione fondante dell'umanità non solo in quanto espressione sociale ma in quanto specie vivente.
L'omosessualità non può dunque considerarsi un semplice «gusto sessuale», come ebbe ad affermare mesi fa perfino qualche vetero-missino approdato ad Alleanza Nazionale (quanti posteriori abbiamo visto mettere in vendita in cambio di una fettina di potere!) ma, per forza di cose, un «difetto» psico-fisico cui dobbiamo sottrarre il maggior numero possibile di persone impedendo che essa venga direttamente o indirettamente propagandata soprattutto fra i giovani: il fatto che l'omosessualità sia in aumento è conseguenza da un lato della sempre più vergognosa decadenza in cui sprofonda la nostra civiltà democratico-consumista, dall'altro della funzione propagandistica esercitata dai mezzi di comunicazione -cassa di risonanza di gruppuscoli ideologici più o meno agguerriti e di gruppi di interesse bene organizzati- e dagli «esempi» spesso forniti da personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo.
Così, quella che poteva essere una devianza degna di essere rispettata e, là dove possibile, assistita e guarita, finisce con il diventare -come la tossicodipendenza- vizio di massa, le cui conseguenze -questa volta non più da rispettare ma da reprimere con i dovuti mezzi- sono visibili sui viali delle nostre periferie tutte le notti fino all'alba.

Giorgio Gramolini

 

articolo precedente indice n° 28 articolo successivo