da "AURORA" n° 29 (Ottobre 1995)

INTERNI

Caro Bossi, ripensaci!

Renato Pallavidini

La politica italiana sembra essere passata, in pochi mesi, dalle drammatiche lacerazioni innescate dal governo Berlusconi-Fini, alle acque paludose e stagnanti di beghe da bottega che ricordano i vecchi litigi da ballatoio degli anni Ottanta. Ieri erano Formica e Andreatta, Craxi e De Mita, ecc.; oggi le misere sortite di Segni, Ripa di Meana, Casini e Buttiglione per protrarre la legislatura il più possibile avanti nel tempo. Gli interessi in gioco? Stipendi e pensioni da parlamentare e la contrattazione di collegi sicuri per le prossime legislature a spese dei partiti con elettorato sicuro, da AN al PDS.
Rispetto a questo clima da pollaio, i mesi delle tensioni attorno ai tentativi di golpe autoritario e liberista operati da Berlusconi, degli scontri sull'occupazione militare della RAI da parte del Polo e, soprattutto, delle grandi lotte sindacali dell'autunno contro la finanziaria del «Cavaliere», sembrano lontani come i giorni infuocati dell'attentato a Togliatti rispetto alla pacchianeria degli anni di Craxi, De Michelis e Martelli.
In tale immiserimento del quadro politico (che per molti aspetti ha anche un aspetto salutare perché testimonia la momentanea sconfitta del progetto «crispino» di Berlusconi e le laceranti tensioni che inevitabilmente aveva innescato nell'intera società italiana) si distingue nuovamente la figura di Umberto Bossi; ed è a lui che vorrei rivolgere questo mio intervento nonostante sia consapevole che difficilmente lo leggerà.
Nella palude maleodorante degli interventi di Casini, della faccia da porcellino di Buttiglione, degli artifizî polemici di Ripa di Meana (pensasse di più alle sue corna forse risparmierebbe altri guai al centrosinistra e al Paese), Bossi ha quantomeno il merito di sollevare grandi e drammatiche questioni, di infiammare le coscienze, riagitando lo spettro indipendentista. Ma che seguito può avere questa agitazione, sen. Bossi? A chi giova?
Non voglio neppure per un momento pensare che un'eventuale insurrezione indipendentista, oggi (in un contesto molto diverso da quello di due anni or sono), possa avere un seguito di massa. Né tantomeno immaginare, per la pianura padana, uno scenario croato-bosniaco. Non lo voglio pensare non solo per la tragicità intrinseca dello scenario, ma anche perché non credo che dopo l'irruzione sulla scena politica nazionale di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, una simile prospettiva possa avere il seguito di massa indispensabile a creare un pericolo reale di guerra civile. Mi auguro che anche Bossi sia in grado di capire i nuovi limiti entro i quali si stanno muovendo la sua politica ed il suo movimento. Voglio invece invitarlo a riflettere sul ruolo assunto nei mesi della lotta contro il governo golpista di Berlusconi e della sua caduta, e su quello che potrebbe assumere nel futuro della vicenda politica italiana.
Chi scrive ha sempre avuto per la Lega e per Bossi parole critiche, aspre sino alla demonizzazione e all'insulto. Devo però riconoscere di aver esagerato nei contenuti e nei toni di questa critica, soprattutto sulla figura di Bossi. La Lega, con tutti i suoi limiti e anche le sue aberrazioni indipendentiste e spesso antimeridionaliste, non è stata la punta avanzata della reazione capitalistica nel Paese. I settori finanziari, imprenditoriali e professionali, che la interpretavano in questo senso, hanno spostato il loro consenso sociale su Berlusconi e Fini. Soprattutto quest'ultimo, in piena continuità con il peggio espresso dal fascismo storico (forse D'Alema farebbe meglio a ripassarsi le "Lezioni sul Fascismo" di Togliatti, prima di accettare dibattiti televisivi con Fini e Tatarella!), rappresenta oggi lo strumento politico e militare dei settori più retrivi dell'intera società italiana, a partire dall'ala più reazionaria del capitale finanziario, per giungere al sottoproletariato meridionale subalterno a clientele, interessi e culture conservatrici.
Di questi miei errori di valutazione faccio ammenda e degli insulti rivolti alla persona di Bossi chiedo scusa. Nell'autunno-inverno '94-'95 ho avuto modo di ammirare il coraggio e la linearità di comportamento sua e degli uomini che gli sono rimasti fedeli. Potevano tutti accasarsi (come tentava di fare Maroni), convertirsi alla accoppiata presidenzialismo-federalismo, adagiarsi sugli interessi iperliberisti e ferocemente antisindacali che la Lega aveva aggregato negli anni precedenti, e che il «Cavaliere» le stava sottraendo per farne la sua base sociale. Bossi e i suoi hanno invece avuto coraggio e sono rimasti fedeli agli ideali di buon governo «asburgico» e agli interessi popolari e piccolo-borghesi che rappresentavano una delle componenti del gran calderone della Lega Nord. Invece di accasarsi definitivamente lanciando in orbita sporchi rottami dei Servizi segreti e della provocazione imperialista come Miglio, hanno scelto la difesa ad oltranza della libertà, della democrazia e anche degli interessi popolari, messi in gioco dal tentativo berlusconiano di cancellare il sistema pensionistico pubblico.
Su questa strada potevano perdere tutto, distruggere la propria immagine, il proprio movimento, la propria esistenza politica.
Per il coraggio dimostrato e per il ruolo assunto nello scorso autunno, Bossi e i suoi uomini meritano le scuse e il ringraziamento di tutti gli italiani onesti e laboriosi che si sono battuti ferocemente nei luoghi di lavoro e nelle piazze contro i progetti «crispini» e le stesse maleodoranti e inquinanti figure fisiche di Berlusconi, Storace, Previti, Gasparri. Se non li dobbiamo sentire e vedere quotidianamente annunciare, in modo arrogante, le loro dichiarazioni liberticide, lo dobbiamo anche a Bossi e a chi non lo ha tradito per i denari della Fininvest.
Ora, tuttavia, Bossi e la Lega Nord rischiano di vanificare questi benefici politici conquistati a caro prezzo con il loro decisivo coraggio. Le nuove minacce indipendentiste impediscono di fatto ogni convergenza elettorale con il centrosinistra e la sinistra, rilanciando (com'è avvenuto in occasione delle amministrative al Nord e del Referendum di giugno) Berlusconi, Fini e le loro truppe.
Si rende conto Bossi del rischio che lui e noi tutti corriamo? Lo stesso progetto federalista che la Lega ha avuto il merito di introdurre nella coscienza politica e nei programmi delle forze di sinistra e di centro, rischia di diventare solo una vuota facciata, dietro la quale imporre il presidenzialismo autoritario e tagliare i trasferimenti di fondi alle Regioni, che sarebbero costrette a compensare con nuove tasse (in nome del federalismo fiscale).
Ci pensino i leghisti ortodossi! Con le minacce di secessione non si arriverà alla guerra civile, neppure alla Repubblica del Nord, ma soltanto alla sconfitta elettorale delle forze che si sono opposte, e continuano a farlo, alla Destra reazionaria, eversiva e antipopolare di Berlusconi e di Fini.
In quel caso -caro Bossi- il primo a «finire male» sarebbe lei!

Renato Pallavidini

 

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