da "AURORA" n° 29 (Ottobre 1995)

L'INTERVENTO

Alleanza Nazionale?
Meglio starne lontano

Carlo De Luca

Chi come me ha alle spalle una lunga militanza fuori dall'arco costituzionale oggi ritiene più che «salutare» prendere le distanze da certi novelli giganti della politica cosiddetta di destra, un po' per evitare bastonate dagli ultimi arrivati, un po' per evitare «imbastardimenti» servizievoli.
Badate bene, non è volontà di estraniarsi rifugiandosi in un «dorato e splendido isolamento», è solo che la compagnia tende a snaturare o ha già snaturato il nostro mondo; gli ospiti non sono venuti in casa nostra con un po' di umiltà e di modestia, ma al contrario sono entrati con invadenza spocchiosa, con aria di sufficienza da primo della classe, trattando i vecchi inquilini da esseri miserevoli, meritevoli al massimo di qualche minuto di finte cerimonie compassionevoli e di pura circostanza e poi, poi... fatevi da parte, lasciate fare a noi, lasciateci lavorare per il nuovo (sic), lasciateci progettare (sic, sic): il ruolo del mercato, l'immigrazione dei neri (da rispedire al mittente... magari con gli interessi), il vangelo liberista, l'omaggio doveroso al sacri templi del XX secolo (la "City" inglese e la "Wall Street" americana), la giustizia sempre più inquinata dai giudici anti-berlusconiani e comunisti, la pena di morte «doppia o tripla» per stupratori, l'Islamfobia e il presidenzialismo, le nuove amministrazioni locali (Comuni, Provincie, Regioni) da risanare con tagli ai servizi sociali ecc., e soprattutto il nuovo spazio di potere che meritano i nostri gloriosi capi storici: da Fini a Tatarella, da Gasparri alla Poli Bortone & Compagnia elencando.
Ahimè, mi pare di intravedere in un futuro sempre più vicino al trionfo del peggio, l'affermazione dei più bassi comportamenti italioti: la piaggeria, l'adulazione, il servilismo, il cambiar d'abito e di sentimenti con la più ignobile disinvoltura, l'essere sempre pronti a combattere le (in)giuste battaglie prima di allora combattute al servizio di altri padroni e sotto altre bandiere, l'accorrere in soccorso del vincitore per influenzarne il programma se non per sostituirne i cromosomi.
E allora cosa rimane da fare a quanti hanno lottato per anni in non numerosa compagnia attestati in una trincea scomoda e pericolosa? Resistere all'invasione o darsi alla fuga? Combattere o defilarsi? Aggredire il nuovo o farsi aggredire e crocifiggere dal nuovo? Rimanere a destra o andare a sinistra? Stare con i vecchi camerati o cercare nuovi compagni? Sperare che le coorti di cortigiani si dissolvano da sole al primo insuccesso o assistere impotenti all'ingrossarsi a dismisura delle legioni con famelici clientes?
È ancora necessaria una scelta di campo: quella fatta tanti anni addietro con i calzoni corti non può essere facilmente dimenticata e rimossa o, peggio, rinnegata per rifarsi una verginità da buon salotto liberaldemocratico!
Un rapido consuntivo per chi oggi inizia ad avere i capelli spruzzati di bianco è doveroso farlo, così com'è impellente l'interrogarsi su quanto di quello in cui si è creduto sia stato mantenuto.
In breve ex-post, purtroppo, mi rendo conto di quante fesserie ci erano state propinate, e alle quali abbiamo dato credito, solo per consentire ad alcuni «capataz» di campare di rendita; ora facendo finta di stare all'opposizione, ora facendo finta di fare la voce grossa, ma sempre a rimorchio della mai abbastanza vituperata «Balena bianca».
E intanto si invecchia, si prendono scoppole e si consumano risparmi in tante, mai discontinue, delusioni elettorali che, peraltro, avevano l'unico scopo di mantenere in comodi scranni un drappello di deputati e senatori utilizzabili ora in funzione anticomunista ora in funzione di spauracchio fascista e qualche volta, purtroppo, al servizio di potenti lobbies. Se poi vi era qualcuno che dava troppo fastidio, qualcuno non «addomesticabile», veniva presto emarginato (un nome per tutti, l'On. Niccolai) o espulso (un nome per tutti, Marco Turchi) o veniva posto in condizioni di andarsene (un nome per tutti, Marcello Veneziani). Ora, gli «anini» stanno al potere, ma non certo per meriti finiani bensì grazie all'opera di un certo Antonio Di Pietro, al crollo del Muro di Berlino e alla fine del comunismo. Ora, il giochetto del sottobanco può essere nobilitato: si può giocare sopra il banco, magari dopo aver indossato il vestito buono magari risciacquato nelle acque, ahimè, notoriamente torbide del Tamigi.
E allora via alle nuove idee-guida, ai nuovi archetipi della seconda (?) repubblica.
Oggi, ci viene detto, occorre essere al passo con i tempi e per farlo si diffondono gli osanna ai nuovi potenti feticci: viva il mercato maximo alla Sergio Ricossa, viva la libera concorrenza (intesa come legge del più forte), viva il profitto senza limiti, viva l'efficientismo, viva i media... se sono nostri, viva la riforma delle pensioni (meglio senza il nostro voto favorevole «tanto passa lo stesso»).
Sulla riscossa liberista, sulla sregolata e violenta libertà del mercato e dello sfruttamento («trasferiamo le nostre aziende in Turchia o in India dove paghiamo la manodopera quattro soldi e chissenefrega del lavoratori italiani e meridionali, notoriamente scansafatiche e sovraretribuiti») esprimo il mio più convinto dissenso, se ciò non è ancora reato.
Ma forse esagero, un pizzico di dissenso sarà tollerato se non stimolato e coltivato o addirittura voluto e remunerato a prova che la liberaldemocrazia, i partiti liberali di massa, il liberismo spinto, «che più spinto non si può», non sono quelle grandi iatture da qualche mentecatto (come me) ventilate, ma l'espressione più alta, più nobile e compiuta di libertà.
Peccato che questa libertà sarà in massima parte quella di coltivare o consentire liberistici furori antistatalistici, antisolidaristici e, dulcis in fundo, pure secessionistici, e cioè, in parole povere, quella di sopraffare il più debole... o di abbandonarlo al suo destino.
Quella di imporre, non con la forza della spada o della bomba, ma con quella della «deregulation» in campo economico (ossia il nuovo imperativo: «lasciate fare al mercato e tutto si aggiusta») sarà la regola primaria, somma, sacra e intangibile nei rapporti economici nazionali e planetari.
Statuto dei lavoratori? Roba d'archeologia giuslavorista. Partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell'impresa, ex-art. 46 della vigente Magna Charta partorita 50 anni or sono e ancora inapplicata? Roba da sognatori masochisti e utopisti. Diritti umani? Si, forse, ma con moderazione, con cautela e solo quando non ci siano interessi petroliferi da difendere per mantenere inalterata, a tempo indefinito, l'opulenza occidentale.
E così restaura di qua, rinnova di là, reagisci qui, sposta l'azienda dove conviene di più etc., si imporrà la vera libertà: quella dei ricchi di diventare sempre più ricchi, quella dei forti di diventare sempre più forti, quella dei poveri di diventare sempre più poveri (e numerosi) e quella dei deboli di accrescere ...la loro debolezza.
Tutto ciò sin quando una deflagrazione sociale immensa non scuoterà il mondo intero.
Io vorrei vivere possibilmente con prospettive diverse per i figli e i nipoti miei e degli altri.
Io vorrei militare oggi in una formazione politica che fosse un po' sensibile ai risvolti antisociali delle prospettive liberiste, ma dove la trovo? In AN? La risposta vien da sé.
A chi progetta il suaccennato futuro di libertà o a chi lo tollera o non sente la imprescindibile esigenza di opporsi con la più adeguata determinazione -in Italia alcune grosse compagini partitiche che hanno un particolare bagaglio genetico dovrebbero sostenere e rilanciare i forti messaggi anticapitalistici del sommo Pontefice- sarà il caso di dare uno 0+ (zero più).
Il + (più), quale incoraggiamento a meditare finché in tempo, ed operare un'inversione di tendenza. Quale? Dalla libertà privata e dei singoli alla libertà comunitaria, dal privato egoismo al bene comunitario. Ma questa è una storia da raccontare un'altra volta, perché le divagazioni in queste righe sono già numerose.
Considerazione finale: la riscossa entusiastica del mercatissimo liberismo potrebbe addirittura trasformarsi in tempi brevi in un boomerang; sembra un paradosso (dopo quel che si è detto sopra), ma è ormai urgente proteggere il mercato, impedirne l'autodistruzione a causa di comportamenti incontrollati e disinvolti. A me non pare normale quel mercato che invece di presentare una pluralità di operatori, ne presenta solo pochissimi: General Motors, Exon, IBM, Unilever, Nestlè, Sony etc. il cui fatturato è già oggi di gran lunga maggiore del prodotto nazionale di paesi come la Danimarca, la Norvegia e ben cinque volte quello di Egitto e Nigeria messe assieme...
E per rimanere nell'ambito nazionale, penso all'ipermercato "Auchan" che produce tanto... in termini di declaratorie fallimentari di tante piccole aziende. Ma si può andare avanti così? Qualcuno direbbe; si può, si può!
Le future generazioni potrebbero maledire questo qualcuno. 

Carlo De Luca
Un missino di ieri, oggi convintamente in marcia,
alla ricerca di un movimento antagonista di sinistra nazionale

 

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