da "AURORA" n° 29 (Ottobre 1995)

LA POLEMICA

Marcia indietro

Vito Errico

Chi si illuse e noi siamo fra questi, che la politica italiana potesse imboccare una strada nuova dopo i disastri malavitosi del consociativismo, oggi non può che leccarsi le ferite. Perché ciò che passa sotto gli occhi di tutti è quello che si è sempre pedissequamente verificato nella lunga storia italiana. Ogni regime succede a se stesso, spesso con gli stessi uomini, a volte con i loro figli, naturali o politici.
Il momento di transizione, che aveva portato tante speranze, si sta concludendo e lo scenario si fa chiaro, con un Potere che ha cauterizzato ogni possibilità di sfogo nella nascita di soggetti politici veramente antagonisti. Berlusconi è alle corde. Il rinvio a giudizio mette in discussione, al di là delle ipocrisie di circostanza proferite dal conservatore Fini, la leadership del Polo. Non è immaginabile che il Cavaliere capeggi lo schieramento di destra in una competizione elettorale quando la spada di Damocle di accuse infamanti pende sul suo capo.
Facciamo dei conti. Se si andasse alle urne in primavera, con l'inizio del processo al Signor TV fissato al 17 gennaio, tre mesi non basterebbero a risolvere la questione giudiziaria. Il Berlusca dovrebbe essere ormai out. Fatto dato per scontato a destra tanto che si è avuto tempo per preparare, auspice l'ambasciatore americano Rabb, quel viaggio negli USA del conservatore Fini, il quale incontrerà il gotha del potere americano. Il calendario d'appuntamenti è di tutto rispetto. Dole e Gingrich, leaders del partito repubblicano, Kissinger e Rockefeller, santoni della finanza mondialista, i giudici della Corte Suprema e l'arcivescovo reazionario di New York O'Connor non si disturbano invano se in fondo a questa via non c'e l'investitura di un nuovo Cavaliere dell'Impero, plenipotenziario in Italia del Potere a stelle e strisce.
Di fronte a questi accadimenti le forme di dissidenza, che si stanno manifestando all'interno di AN, non possono dimostrare altro che inanità. Quelli che lasciano, e ci sono, potrebbero trovare ospitalità nella «riserva indiana» di Rauti. Ma anche lì pare che le cose non abbiano vita tranquilla. Tutti i veleni del vecchio MSI almirantiano sono emigrati nel ridotto rautiano. Sdoppiamento di Federazioni, faide protagonistiche, siluramento di uomini sono all'ordine del giorno in quell'armata brancaleone messa su (con quali fini non si sa) dall'eurodeputato calabrese, il quale non perde occasione, nei momenti topici degli sconvolgimenti politici italiani, di offrire il suo braccio ad indicare la via delle riserve anziché lasciare libere le energie di organizzarsi oltre le ideologie e gli schieramenti conformistici.
Abbiamo anche un'altra sensazione. Come la DC lasciò fondare il MSI, per trasformarlo, di lì a qualche mese, in «sputacchiera amica», nella quale espettorare il catarro delle flogosi di potere, così AN ha lasciato che si creasse un contenitore di «tossine», nel quale convogliare parentele compromettenti. Il tutto favorito e facilitato dalle credenze fideistiche di poveri diavoli che dicono di credere ancora ai fantasmi del passato.

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A sinistra le situazione non è diversa. La vecchia DC non dovrà mai smettere di ringraziare D'Alema per aver fatto il Cristo della resurrezione di Lazzaro. La turpe Balena Bianca, tramortita dalle risacche di Tangentopoli, ha ricevuto dall'ex-bolscevico un robusto massaggio cardiaco che l'ha riportata in vita. Che cos'è, se non questo, la scelta di Romano Prodi messo a capo di tutto lo schieramento di centrosinistra? L'«operazione Prodi» è stata una vera e propria manovra di vertice che ricorda gli anni del consociativismo più vieto. Perché c'è da dire che nella base di sinistra tutto questo entusiasmo per il boiardo dell'IRI non esiste. Come non c'è orgoglio di vedersi intruppare in uno schieramento politico, affidato alle mani salvifiche di un democristiano. La base di sinistra ha conservato tutta la sua ritrosia nei confronti dei democristiani e non c'è, per quel che abbiamo potuto constatare di persona in questo angolo di Sud assoggettato per anni alle mafie scudocrociate, quella voglia di veder rinascere un mostro, col quale ci si deve pure alleare.
Ma si sa: nella nostra falsa democrazia il potere della base è fittizio. Quel che conta, oggi come ieri, è il potere decisionale degli apparati e il dei vertici di partito, delle «prefetture» che fanno eseguire in periferia gli ordini del centro.
Ha ragione Achille Occhetto. La sinistra rischia di assumere un ruolo di «portatore di acqua» in un futuro governo, retto da Prodi o, più probabilmente, da un Dini ch'è sempre l'uomo del Fondo Monetario Internazionale. D'Alema ha imposto al PDS una linea di condotta priva di qualsiasi strategia e tende a strozzare qualsiasi voce che non sia allineata al suo disegno. Nei discorsi della sinistra non trovano più argomentazione il modello di sviluppo, le libertà civili, un futuro programmato in base agli insegnamenti della storia. Non c'è traccia di discussione sul ruolo che l'Italia deve svolgere sullo scacchiere mondiale. Non si pone la questione della sovranità nazionale, che è la chiave di volta della politica di sviluppo di questa nazione. Giorni e settimane perse a stabilire la data delle elezioni. Solo questo, soltanto miseramente questo.
Ancora una volta la sinistra, sempre più frastagliata, sempre più scissa, sempre più frazionata, da un calcio alla fortuna che la storia aveva messo a disposizione con la creazione d'un sistema elettorale bipolare. Ci sono dei momenti in cui si ha la sensazione che D'Alema rimpianga, col segreto disegno del ripristino, il sistema proporzionale. Ma ci si rende conto che se rinasce il Centro, non ci sono più i motivi per Segni, ad esempio, di rimanere nello schieramento di sinistra? Ma non è che D'Alema stia giocando proprio questa partita?
Salvare il PDS in cambio della nascita di un nuovo soggetto politico della sinistra sarebbe un crimine. Mille speranze andrebbero deluse, tutto un patrimonio umano, che si riconosce in una visione della politica collocata a sinistra, andrebbe disperso.
Chi guadagnerebbe da questa situazione sarebbe Bertinotti. Di lì si raccoglierebbe tutto il malcontento e il reducismo d'un sinistrismo senza più attualità. Si verificherebbe a sinistra ciò che si sta verificando a destra. Rauti e Bertinotti andrebbero a costituire le discariche nelle quali collocare i rimasugli di mondi che non vogliono rassegnarsi ad un passato che è passato. In mezzo il conformismo di una politica che non è più tale.

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Eppure ci sarebbe tanto da fare se la politica riscoprisse i suoi fini strategici. Questo Sud d'Italia, meraviglioso e terribile, costituirebbe un banco di discussione, dal quale far partire una serie di proposte degne di trattazione. Del Sud non si parla più. Il tessuto industriale s'è trasformato in un cimitero di fabbriche. Al Sud non si produce più. Non esiste più scambio di merci. Il Meridione è come un corpo che respira ad encefalogramma piatto. L'anelito di speranza e libertà, che questo popolo seppe respirare dopo il sacrificio di Falcone e Borsellino, sta lentamente spegnendosi. Tutto sta tornando nella secolare «normalità». Ritorna l'atavica rassegnazione e l'attesa del capobastone di turno.
Nella mia Puglia tutto ciò che fu di Lattanzio & Formica, ora è di Tatarella. Qui i vertici politici di AN sono nelle mani dei demonazionali del '76. Tutto è grigiore, tutto è lordura. Nel Sud Presidenti di Tribunali, Pubblici Ministeri, Procuratori della Repubblica finiscono inquisiti e incarcerati. La fiducia nella giustizia non esiste più, mentre le mafie aspettano di rialzare la cresta. Questo era il momento più favorevole perché la sinistra desse un barlume di speranza a questo popolo in ginocchio. Ma qui la sinistra non esiste. Non vuole esistere. La caduta dei muri, la liberazione dalle ideologie doveva favorire l'affermarsi delle idee, ma oggi si capisce l'entità d'una tragedia rappresentata da compagini politiche prive di uomini capaci di pensare. Non c'è orgoglio. Sono uomini vizzi.
Il modello di sviluppo, questo leviatano che fagocita corpi e coscienze, che produce sacche di povertà terribili per i più e crea paradisi di ricchezza ingiusti per i meno, non viene messo più in discussione. Sulle privatizzazioni, che immiseriscono i popoli, non si dice più alcunché.
Su una sanità assassina, che uccide i più deboli, che decapita i meno facoltosi, non si parla più.
Su una scuola ignorante, che scanna l'anelito di riscatto dei poveri e dei meno abbienti, non si spende più una parola. Tanto, chi ha soldi si diverte, si fa curare nelle cliniche private, studia nei collegi esclusivi. Pare che al mondo sia rimasta una sola giustizia: quella della morte, che prescinde da censi e redditi.
A questo punto vien da chiedersi: perché s'è ballato tutto il can-can della «rivoluzione italiana» innescata da Tangentopoli? E arriva la risposta, quella di Tancredi al Principe di Salina: «Bisogna cambiar tutto perché tutto rimanga così com'è»

Vito Errico

 

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