da "AURORA" n° 30 (Novembre - Dicembre 1995)

RECENSIONI

 

Luigi Valli

Lectura Dantis

Ed. all'insegna del Veltro, Parma     pp. 36     £. 5.000

 

Luigi Valli, interventista nella Iª Guerra mondiale, è noto per un libro di memorie sulla «grande vigilia»; ma la sua fama è legata soprattutto alla attività di dantista, per via di una serie di studi tra i quali spicca la celebre ricerca su "Il linguaggio segreto di Dante". Nel novero degli studi danteschi del Valli (che in Italia si pongono sulla scia dei lavori pionieristici di Giovanni Pascoli e che furono apprezzati da René Guénon per i risultati rivoluzionari) rientra anche questa "Lectura Dantis", che è essenzialmente un commento al Canto XIX del Paradiso tenuto a Roma, nella Sala del Collegio Nazionale, il 4 marzo 1906.

Il canto in esame è quello in cui Dante affronta la questione della sorte nell'aldilà di quanti non hanno ricevuto il battesimo, sorte che secondo la teoria cattolica consiste nell'esclusione dal Regno dei Cieli.

Di fronte a tale tesi, Dante afferma una ben diversa dottrina, la quale era stata sostenuta da teologi quali Giustino Martire e Dionigi Areopagita. Secondo costoro, la salvezza eterna non è monopolio dei soli battezzati, ma viene elargita da Dio a tutti coloro che hanno cercato la verità e sono vissuti secondo virtù. «Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma coloro che faranno la volontà del Padre mio», aveva detto Gesù; e sulla traccia di questo insegnamento Dante afferma che nel Giorno del Giudizio vi saranno molti uomini d'Asia e d'Africa assai più vicini a Cristo che non tanti cristiani.

Ed è questo un punto che, a torto, è stato trascurato da quanti si sono applicati allo studio dei rapporti tra Dante e l'Islam.

 


 

Karl Kautsky

Teoria delle crisi

Guaraldi Editore, Firenze, 1982    pp. 166    £. 18.000

 

Presentato da una corposa introduzione di Gianni Celata e Bruno Liverani, il libro ripropone due corposi articoli: "Krisentheorien" e "Finanzkapital und krisen" pubblicati in "Die Neue Zeit", la rivista fondata e diretta dal pensatore marxista.

Il primo testo è una recensione polemica alla traduzione tedesca di "Teoria e storia delle crisi commerciali in Inghilterra" dell’economista ucraino Michail Ivanovic Tugán Baranowski, che ebbe grande influenza sul revisionismo europeo e sullo stesso Lenin, pur essendo egli tutt’altro che un marxista ortodosso. Il lavoro del Kautsky, pur essendo, in parte condizionato (ancora) dall’ortodossia dottrinaria, è quanto mai interessante sia per le sue intuizioni-affermazioni sulle cause delle ricorrenti, ineliminabili crisi dell’economia capitalista, sia per l’esposizione chiara, quasi elementare, dei meccanismi di «accumulazione» e sfruttamento, che danno modo anche ai «non iniziati» di districarsi facilmente tra saggi «di profitto» e «di plusvalore», capitale «costante», «variabile» e «complessivo». Di comprendere gli effetti sulla economia moderna dei processi di produzione e sovraproduzione e dei rapporti di queste con il consumo e il sottoconsumo.

Nella seconda parte del testo viene preso in esame il lavoro di Rudolf Hiferding, con prefazione di Max Adler, "Il capitale finanziario", tradotto in Italia per i tipi della Feltrinelli da Vittorio Sermonti e Saverio Vertone, che analizza il «profitto», non solo come risultante dello sfruttamento della «forza-lavoro», ma anche come sfruttamento del capitalista sugli stessi capitalisti allorquando, attraverso il «capitale nominale» delle S.p.A. si introducono nei meccanismi di accumulazione gli «utili da speculazione», gli «utili da fondazione» e l’«utile da monopolio». Dando concretezza al super-sfruttamento delle risorse materiali, umane ed intellettuali che evolvendosi da vita ai «trusts unitari» in grado, in tempi brevi, di giungere al totale controllo, non più solo economico, ma anche politico della produzione e, soprattutto, del consumo, conferendo al capitale, non più inteso solo come «accumulazione di risorse attraverso i saggi di plusvalore e di profitto», ma come proprietario-controllore dei «flussi finanziari», un potere totale sulla società civile.

 


 

Antonio Cioffi

La cinepresa di Arianna.

Presenza e manipolazione del mito nella cultura di massa

Ed. all'insegna del Veltro, Parma, '88     pp. 126     £. 15.000

 

Nell'era della «post-modernità» e in una cultura che si espande ormai solo in superficie, afflitta -citando Calvino- da «una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze», inoltrarsi nel mondo dei fenomeni sociali per compararli e cercare di comprendere l'intima realtà che li genera è impresa difficile, epica, quasi (confortando i timori dell'autore di questo libro) «mitologica».

Ciononostante Antonio Cioffi, armato della sola evidenza del «riaffiorare nella compagine della nostra socio-cultura di prassi comportamentali appartenenti in origine a civiltà che alla loro base ponevano il mito», si è coraggiosamente avventurato nel labirinto della «cultura a mosaico» contemporanea, per individuare nei corridoi e nei vicoli ciechi dei media le tracce di quella che un tempo doveva essere stata una «presenza» reale, e quindi utilizzarle come mezzo per comprendere la struttura stessa del labirinto, trovandone così il centro e l'abitatore.

Il saggio si articola in due parti: nella prima, di carattere più generale, si prendono in esame le manipolazioni del mito effettuate negli ambiti più diversi della cultura di massa (pubblicità, videomusic, ecc.); nella seconda, l'attenzione si focalizza su quel fenomeno di sempre più vaste dimensioni che è il cinema fantasy horror. È in quest'ultima sede che le "tracce" mitiche di cui sopra si fanno più frequenti e significative, offrendo all'Autore la occasione per esporre -oltre ad alcune affascinanti intuizioni (una per tutte la «passione» in senso evangelico di E. T.)- la loro interpretazione e per sottolinearne l'origine comune.

In "Mito e realtà", Eliade notava come i mezzi di comunicazione di massa avessero imposto alla società occidentale contemporanea immagini e comportamenti riferibili a strutture mitiche. Ma i «miti del mondo moderno» (la neomitica, per dirla con Cioffi) non sono semplicemente dei miti tradizionali impoveriti, svuotati, malcompresi e divenuti irriconoscibili: essi sono spesso vere e proprie contraffazioni. Sempre Eliade si chiedeva, al termine di un paragrafo su Guénon: «Chi ci darà l'interpretazione dello stupefacente successo di "Rosemary's baby" e di "2001, Odissea nello spazio"?».

Facendo piazza pulita degli equivoci alimentati dagli zelatori del cosiddetto genere fantasy e da quanti hanno confuso il «fantastico» con il mitico, Cioffi fornisce un'organica ed esaustiva risposta all'aspettativa di Eliade, poiché, nel contesto di un'indagine programmaticamente rivolta a scoprire la presenza dell'elemento mitico nella cultura di massa nonché la manipolazione cui tale elemento viene sottoposto, chiarisce anche il significato e la funzione di quel genere cinematografico che suscitava l'interrogativo del grande storico delle religioni.

Questo lavoro viene dunque a collocarsi entro la serie di quella saggistica che, inaugurata da Guénon coi libri sul teosofismo e lo spiritismo, non sempre ha saputo far fronte allo sviluppo conosciuto dal fenomeno neo-spiritualista.

 

 

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