da "AURORA" n° 31 (Gennaio 1996)

L'ALTRA STAMPA

Compagni in camicia nera

Francesco Erbani


È un libro che farà discutere.
Secondo il ricercatore, nel dopoguerra uomini dei vecchi sindacati trattarono con i comunisti


È una storia che produce bruciature. A chi l'ha ricostruita è costata molti anni di lavoro, tante titubanze e qualche incomprensione. È la storia dei rapporti fra il PCI e il sindacalismo fascista degli anni Trenta fino al '46 quella che Pietro Neglie racconta in un volume in uscita fra qualche giorno e che certo produrrà polemiche. Il libro si intitola "Fratelli in camicia nera" (Il mulino, pag. 238, £. 30.000) e il suo autore è un giovane ricercatore, allievo di Renzo De Felice, ex-funzionario della CGIL ed attualmente direttore della Fondazione Giuseppe Di Vittorio.
Ai «fratelli in camicia nera» che si richia-mavano ad un fascismo primigenio, anticapitalista, antiborghese, il PCI rivolse un appello fin dalla metà degli anni Trenta. E molti di quei fascisti, dieci anni dopo, diedero vita ad un movimento sindacale, il Mosi, che trattò la sua fusione con la CGIL, il sindacato dei lavoratori ancora unitario, che nella struttura e nella pratica contrattuale aveva preferito continuare l'esperienza dei sindacati fascisti, anziché sperimentare nuove vie.
Il Mosi viene descritto come un gruppo di piccole dimensioni, formato soprattutto di «quadri» gente esperta, proprio ciò di cui la CGIL era più carente.
Il dialogo andò avanti per molto tempo, ne fu protagonista anche Giuseppe Di Vittorio, che aveva condiviso l'esperienza del sindacalismo rivoluzionario pre-fascista con molti «fratelli in camicia nera». Ma alla fine il prodotto decadde: la CGIL si spaccò e, dall'altra parte, nacquero la CISNAL  e il MSI.
La ricerca di Neglie prende l'avvio da quella che fu chiamata la «direttiva entrista» impartita da Palmiro Togliatti e dai vertici dei PCI sul finire degli anni Venti. Il proposito era di infiltrare propri uomini nel sindacato fascista, dove si agitavano tensioni molto forti, frustrazioni che alcuni anni dopo presero la forma di vera insofferenza verso un processo rivoluzionario che si riteneva abortito.
Il fascismo, scrive Neglie, non appariva più quello dell'originario ideale sansepolcrista: era prevalsa la tutela delle vecchie classi. Un dirigente comunista come Egidio Gennari restò colpito da queste pulsioni e in un celebre documento del '36 definì il programma fascista del '19 «un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori». «Quel progetto era stato disatteso», spiega Neglie, «e il PCI si candidava a realizzarlo, insieme alle forze genuine del fascismo».
L'universo al quale guarda la ricerca è quello del fascismo di sinistra, sul quale già molto si è indagato, scavando nelle organizzazioni giovanili, nei GUF, nei Littoriali, nelle riviste. Il sindacato era un terreno relativamente vergine, sostiene Neglie mettendo in risalto il grado di autonomia che questo raggiunse nei confronti del regime.
La guerra, la Repubblica di Salò irrompono in un magma che bolle. Neglie ha una sua tesi: presentandosi come un elemento di novità del regime, oggetto d'attenzione da parte del Partito comunista, il sindacato fascista si candida per il dopo-fascismo. Ma la guerra di Liberazione che ruolo ebbe? È possibile che lo scontro durissimo e cruento non intervenne ad arrestare bruscamente questi brandelli di dialogo? Secondo Neglie, c'è una continuità fra le politiche del PCI nei confronti del fascismo di sinistra e quel che accade nel dopoguerra, quando, appunto, da parte dei sindacalisti ex- fascisti venne avanzato il progetto di confluire nella CGIL.
Neglie iscrive l'intera politica togliattiana e la racconta così: « Il segretario comunista perseguiva una strategia per far accedere grandi masse al potere, avvalendosi di un partito nuovo, per il quale occorreva mobilitare tutte le forze del paese, compresi gli ex-fascisti che non si erano macchiati di colpe gravi». Rientrarono in questo disegno l'amnistia e la gestione delle epurazioni, aggiunge Neglie «ci furono trattative con esponenti fascisti alle quali furono sempre contrari gli azionisti». Togliatti «voleva coinvolgere i fascisti di sinistra nelle file del partito, agitando come richiamo i temi comunisti del passato». E il terreno sindacale apparve ai suoi occhi come quello più proprio.
L'interessamento di Togliatti e dei vertici del PCI  è documentato da una lettera che Neglie ha rinvenuto fra le carte del segretario comunista e del resoconto di un incontro fra un ex-sindacalista fascista, Ugo Manunta, Luigi Longo e un giornalista del Tempo. Ma forse il testo rivelatore è una nota di Giuseppe Landi, ritrovata da Neglie. Landi era un autorevole personalità del sindacalismo fascista e già nel novembre del '45 proponeva ai suoi camerati la confluenza nel PCI, «perché autentica espressione delle masse lavoratrici, che sono uniche giudici arbitre e sovrane nei confronti di uomini che per esse hanno lottato e lavorato».

Francesco Erbani
da "la Repubblica", mercoledì 17 gennaio

 

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