da "AURORA" n° 32 (Febbraio 1996)

LETTERE

Roma, febbraio '96

Caro Luigi,
ho letto recentemente che per il centenario della nostra sconfitta di Adua, fra i vari festeggiamenti previsti in Etiopia, si svolgerà anche un convegno a cui parteciperanno studiosi italiani.
Ho anche letto che restituiremo agli Etiopi l'obelisco di Axum. Come avrai notato nei miei articoli, cito sempre le sconfitte italiane in Africa di fine Ottocento perché, tra l'altro, mi permettono di dare una dimensione geopolitica ad una realtà che, come la nostra, della geopolitica è giornalmente una vittima, in un momento in cui la falsificazione della storia si basa soprattutto nel far credere agli Italiani che ciò che avviene in casa loro (e, disgraziatamente, mia) dipenda esclusivamente da un gioco di forze interno.
Per il sottoscritto le sconfitte italiane in Africa, sulle quali tanto si afflissero i sostenitori nazional-popolari della espansione della «Grande proletaria» (Carducci, Oriani, Pascoli, ecc.), stupidamente rimosse dalla storiografia ufficiale, sono rimaste nel subconscio del nostro popolo più di quanto comunemente non si creda, oltreché rappresentare un momento importantissimo della Storia d'Italia e nei rapporti tra l'Italia e gli altri Paesi europei.
Infatti, la serie di sconfitte subentranti, terminate con quella catastrofica di Adua, sono state viste dagli altri popoli europei come causa della perdita di prestigio dei bianchi nei confronti dei popoli colonizzati. Il che non è cosa da poco! Il giudizio di sufficienza, misto a benevolo disprezzo, che ci portiamo sistematicamente addosso dal 1848 ad oggi ne sono la riprova. Altro che l'8 settembre!!!
Inesorabilmente riemergono, in queste débacle militari, i conflitti che continuano a caratterizzare l'Italia di sempre.
Incidenze esterne, attraverso le varie massonerie di diversa osservanza e dipendenza (ma sempre extra-italiane, come quelle attuali); influenze vaticane, interessate a ridurre il prestigio di un ex-garibaldino e nazionalpopolare come Crispi, ecc...
Alla fine del Secondo conflitto mondiale, gli Inglesi consegnarono a Stalin, che li massacrò, i russi nostri alleati che si erano arresi agli anglosassoni nella speranza di salvare la vita. Similmente, consegnarono a Tito i circa 350.000 soldati dell'esercito croato che negli stessi giorni si erano a loro arresi. Anche questi finirono massacrati, famiglie comprese, ma erano nemici. Noi (o meglio loro) consegnammo a Menelik, dopo la sconfitta, in cambio dei nostri prigionieri, cinque RAS nostri amici che da noi si erano rifugiati chiedendo protezione. Sono atti ignobili, ma frequenti in questo Paese.
Quando durante la Guerra per le Malvinas (Falkland), la spedizione inglese si stava avvicinando alle isole riconquistate dalle truppe argentine, un commentatore inglese disse che, se fra le truppe avesse prevalso la componente italiana si sarebbero arresi. Se invece la maggioranza fosse stata composta da spagnoli avrebbero resistito e combattuto duramente. Si arresero. Non sappiamo quale retaggio genetico si portassero addosso i soldati argentini, ma il giudizio resta!
Come al solito, l'eroismo disperato del popolo italiano, il quale si sacrifica sempre nell'interesse delle oligarchie, battendosi sistematicamente ad armi impari, passa in second'ordine rispetto ai traffici di bassa lega delle oligarchie stesse.
Se ci fosse un minimo di rispetto per quei 3772 fra contadini italiani ed Ascari eritrei, traditi dalle viltà privilegiate della sua borghesia costituzionale, come scrive Alfredo Oriani ("Fino a Dogali"), la nostra delegazione non andrebbe a sculettare ad Addis Abeba per raccattare qualche affaruccio finanziario di terz'ordine!
Siamo ancora un Paese gestito, contro il popolo, da individui senza dignità. Un Paese abituato a celebrare, nel vuoto indifferente delle piazze, le proprie sconfitte.
La mancanza di dignità è quanto di più deplorevole, soprattutto nel giudizio di popolazioni, come quelle etiopi, che alle manifestazioni sono molto sensibili.
Tra l'altro stiamo coinvolgendo, nei nostri salamelecchi, anche gli Eritrei che sono stati con noi nell'ultimo decennio del XIX secolo, nella campagna d'Etiopia nel '36 ed in quella del '41, contro gli Inglesi.
Gli Eritrei, ricordiamocelo bene, erano con noi non in quanto servi, ma per combattere, con noi, contro il loro secolare nemico. Cosa che han dimostrato di saper fare molto bene, dopo il Secondo conflitto mondiale e il nostro abbandono del Corno d'Africa. Tantoché, pure con pochissimi mezzi a disposizione e con grande sacrificio di vite umane ingaggiarono una quarantennale guerra con gli Etiopi vincendola, decretando contemporaneamente la fine non solo dell'inglorioso regime di Menghistu, ma contribuendo anche a al crollo del suo sponsor, l'Unione Sovietica. Riuscendo a dimostrare, come capita spesso nella storia dei popoli, che il coraggio, supportato dal senso di dignità nazionale, vince sempre.

Giorgio Vitali


Egr. On. Bertinotti,
Le scrivo pur non avendo mai votato per Rifondazione Comunista, ma sentendomi un po' «collaterale» con le posizioni di fondo del suo Partito. Anzi le confesso che finora sono stato tra coloro da Lei «apparentemente» molto distanti. Ho militato per molti anni e sono stato consigliere comunale per il MSI (pure) Destra Nazionale. Ciò non mi ha comunque impedito, in alcune occasioni, di diversificare il mio voto, ovviamente mai in favore della DC che era la forma peggiore della destra. Quest'anno, in occasione delle elezioni amministrative, dopo aver costituito una lista civica (nelle mie intenzioni a forte vocazione «nazionalpopolare», al ballottaggio non ho avuto alcuna remora ad appoggiare pubblicamente e con totale e tuttora convinta determinazione il candidato sindaco (che ha vinto!), sostenuto da PDS e da Rifondazione Comunista.
Perché questa scelta? Sono improvvisamente impazzito? O sono piuttosto risanvito? È solo successo che, dopo anni, ho cominciato a vederci chiaro; questa marcia verso il chiarimento interiore è iniziata a ...Fiuggi.
Voglio dire che a Fiuggi vi è stata finalmente la scissione fra destra e sinistra in quell'equivoco storico che è stato il MSI, sempre in bilico tra spinte verso un socialismo nazionale e quelle di sudditanza a politiche «reazionarie» filo-americane, filo-confindustriali e antisociali a sostegno della mai abbastanza vituperata «balena bianca». Nel MSI ha sempre prevalso questa seconda tendenza. Neppure la segreteria Rauti (come Lei saprà già sprezzantemente definito da Giorgio Almirante «castrista») sciolse quell'ibrido destra-sinistra, indigeribile sia per i «reazionari» che per i «sociali», anche se per motivi opposti. Dobbiamo «ringraziare» Gianfranco Fini se finalmente si è giunti ad un chiarimento finale: i conservatori da una parte, i «sociali» dall'altra, fuori e lontani da Alleanza Nazionale.
A questo punto Lei si domanderà come possa coinvolgersi Rifondazione e la Sua Persona nelle vicende di un'area politica dai comunisti sempre e naturalmente avversata.
Il fatto è che il mondo va pericolosamente a destra. Una destra vincente, che dopo il fallimento del «socialismo reale» (laddove questo si è realizzato, come Lei ben sa, ha scritto pagine terribili. Tra genocidi e Gulag i privilegi delle piccole minoranze hanno prevalso, mantenendo nella miseria e nell'ignoranza immense masse umane, schiacciate nell'ingiustizia e nel silenzio in nome di un «sole dell'avvenire» che non è mai apparso all'orizzonte) ed il venir meno degli antagonismi planetari è rimasta padrona del campo ed ha la pretesa che il suo trionfo segni la fine della storia; l'apogeo del pensiero e dell'organizzazione «umana». Vero è che proprio l'esperienza storica dimostra che anche coloro che si ritengono i più forti possono, penosamente e all'improvviso, rotolare nella polvere. Anche Hegel sosteneva che la vittoria di Napoleone Bonaparte nella battaglia di Jena era il sigillo finale dello sviluppo del pensiero umano, ma si sbagliava di grosso. Ma è anche vero che i ribaltoni, le «rivincite» della storia vanno preparate, non sopraggiungono «naturalmente» come pretende il determinismo storico marxista.
Sto forse proponendo un'alleanza tra «fascio e martello», riesumando eresie che pure hanno una storia dignitosa? No! Sono realista; so bene che il «martello» non sarebbe disponibile per troppe ovvie ragioni, innanzitutto di immagine e di coerenza.
Ma so anche che né voi né noi possiamo assistere immobili alla vittoria di quel liberismo totalitario e totalizzante che abbiamo, ancorchè da posizioni diverse, sempre combattuto.
Penso solo che occorrerebbe trovare il coraggio necessario per sperimentare nuove e coraggiose sintesi culturali, prima che politiche: così come sarebbe necessario prendere atto che non si può perseverare negli errori della prospettiva economica collettivista. Marx ha scritto cose interessanti, alcune delle quali conservano una loro validità e vitalità, ma i suoi scritti non sono il Vangelo ed egli non è il depositario della verità assoluta.
In quest'ottica, a mio avviso, dobbiamo agire, imboccando quella «terza via» che vada oltre il capitalismo liberista, sempre più mondialista (l'imperialismo del passato è, al confronto, una squisitezza, una prelibatezza delicata!) e il capitalismo collettivista di Stato che del primo è la deformata evoluzione. Perché non pensare a forme diverse di economia che potrebbero essere, con i dovuti e necessari correttivi che i tempi e la complessità della modernità impongono, quelle della «partecipazione» dei lavoratori alla divisione degli utili e della co-gestione delle aziende, come pure è previsto dall'art. 46 dalla vigente Carta costituzionale?
Evitiamo, se è necessario, di ricordare che la «socializzazione» era parte integrante della Repubblica di Mussolini, evitiamo, se è necessario, di ricordare che la partecipazione è stata propugnata, oltre un secolo fa, da Leone XII e reiterata oggi da un Pontefice considerato tout court anticomunista!
Ricordiamo piuttosto che la proprietà non è sempre un furto perché vi è quella frutto dell'onesto lavoro che è realizzazione umana, sprone di ogni fatica, pungolo e premio per l'impegno individuale. Vigiliamo piuttosto su un pericolo che maggiormente incombe: la dittatura liberista planetaria che significa -come Lei ben sa- drastico impoverimento di larghi strati della popolazione, ridimensionamento dei ceti medi ed accentramento di immense fortune in sempre più ristrette oligarchie! Pochi diventeranno sempre più ricchi e molti sempre più poveri e socialmente deboli. Questi ultimi alla mercé totale dei primi dai quali mendicheranno un tozzo di pane e un posto di lavoro.
Sull'argomento potrei dilungarmi, ma penso non sia necessario. Come ho scritto concludendo un articolo, che spero venga presto pubblicato su qualche periodico di area, per così dire, «nazionalpopolare» e che potrei rimetterLe in copia sin da ora, nel caso Lei fosse interessato all'argomento, occorre dividersi in futuro solo su questo: chi è favorevole alla «partecipazione» e chi è contro; il discrimine non sarà tra fascismo e antifascismo, ma tra chi è per una giustizia sociale secondo schemi concettuali e giuridici autenticamente rivoluzionari e chi no.
Spero di non averla tediata troppo: gradirei conoscere il suo pensiero sull'argomento, sperando che Lei non mi liquidi in poche battute, come usava fare la buonanima di Giorgio Almirante allorquando scrivevo per invitarlo, lui separato e concubino, a prendere una posizione favorevole al divorzio e poi, sotto certi aspetti e con le necessarie limitazioni, anche sull'aborto: «la nostra storia ce lo vieta» mi rispose in una lettera che tuttora conservo!
La storia dei tanti, troppi diseredati in ogni angolo del mondo impone molto più coraggio di quello dimostrato all'epoca da Almirante.
Grazie dell'attenzione e molti auguri per le Sue battaglie politiche.

Carlo De Luca

P.S. - Forse non so bene che cosa significhi «antifascismo». Penso che per esso si intenda opposizione ferma, dura e convinta verso ogni forma di prevaricazione, nonché lotta dei «diseredati della terra» contro coloro che occupano, lo meritino o no, l'Olimpo. Vorrà forse significare anche altre cose, come uguaglianza tra gli uomini, paritarie condizioni di partenza, cancellazione o almeno riduzione dei privilegi, etc. Se così è, sono perfettamente d'accordo; rilevo solo che la lotta contro l'ingiustizia dobbiamo condurla guardando all'oggi ed al domani (contro la dittatura liberale) e non guardando indietro (alla «dittatura» fascista).
È possibile un'intesa? Insomma anch'io, e molti di quelli della mia parte sono «antifascista» nel senso sopraddetto e non nel senso del programma finiano partorito a Fiuggi. E allora, perché non utilizzare un linguaggio più nuovo, più consono, onde evitare le divisioni tra chi sostanzialmente, su molte tematiche, è d'accordo, perché non sostituire la bandiera dell'«antifascismo» (che divide ed indebolisce) con quella dell'autentica (non quella verbale di Mastella e Prodi) solidarietà sociale? Perché non infrangere lo steccato nel quale tutti siamo stati «parcheggiati» da quell'antifascismo falso, becero e strumentale per lottare uniti contro il super-capitalismo egoista ed il mondialismo finanziario che affama tre quarti del Pianeta? Perché non «spiazzare» l'avversario costringendolo quanto meno a limitare la sua totale invadenza?
Sciocchezze da visionario? Ingenuità da impolitico? O piuttosto coscienza di fare sì un «fascio», ma di energie, di intelligenze e di volontà capaci di contrastare e sconfiggere il «mostro» del XX secolo.

* * *

La risposta del segretario di Rifondazione, che si è limitato a ricambiare i saluti, è di per sé esauriente. Bertinotti non potendo contestare il contenuto della tua lettera ha preferito glissare; sarebbe stato per Lui imbarazzante riconoscerne la fondatezza. I «liberal» radicaloidi non avrebbero gradito. È bene non farsi illusioni visto che l'azione di Rifondazione, negli ultimi mesi, si è esaurita nella tutela degli interessi dei cosiddetti «diversi» che, come è ampiamente noto, hanno tutti i diritti e nessun dovere.
Il clima dei Palazzi romani è deleterio, anche per i sindacalisti, un tempo non conformisti, prestati alla politica; infatti, costoro, perdendo il contatto quotidiano con il mondo del lavoro e della produzione, finiscono col convincersi che il Paese reale sia quello che disegnano, con le loro fantastiche chiacchiere, i mammalucchi di Montecitorio.

"Aurora"

 

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