da "AURORA" n° 32 (Febbraio 1996)

LA POLEMICA

Il senso pratico della Patria

Agos Presciuttini

Nazione-Patria e Società-Stato: che significano oggi questi termini? A pronunciarli nei rispettivi concetti tradizionali, che i più anziani ricordano ancora, c'è da passare per guerrafondai, militaristi, anti-democratici. Probabilmente non è soltanto per il rovesciamento di umori causato in Italia dalla seconda guerra mondiale. Né solamente a motivo della successiva guerra fredda intestina tra italiani filo-USA e italiani filo-URSS, che per decenni ha tolto spazio e respiro all'italianità. Così costringendo intere generazioni a crescere in un clima culturale più ostile che agnostico verso l'idea di una nostra specificità di popolo. Ne è seguito l'annebbiamento del sentirsi «noi», mentre ha preso quota il sentirsi «io». Pare essersi rafforzata intanto l'esterofilia, sentimento a favore degli «altri», che stranamente coniuga la svalutazione della nostra identità nazionale con l'iper-valutazione acritica di quelle estranee.
Forse c'entra ciò che è facile rilevare a proposito di buona salute: tutti giungiamo prima o poi a realizzare quanto è prezioso questo bene gratuito, ma raramente prima di averci sbattuto il naso. Cotanto dono viene apprezzato soltanto attraverso la paura di perderlo. E in generale si stima ciò che si desidera, mentre il possesso elimina la voglia e consuma l'apprezzamento: nessuno si sogna di dare importanza all'aria che respira. Finché non venga a mancare.
Anche la nazione-patria, ossia gente e terra di appartenenza, è un bene gratuito. Gente di appartenenza nel senso delle generazioni che si sono susseguite nel nostro paese. Sembra utile ricordare che siamo stati individualmente costruiti ad opera dei «geni», microscopiche entità che passano da genitori a figli, sopravvivendo inalterate attraverso le generazioni. Ne abbiamo in corpo decine di migliaia, diciamo 65.000, provenienti metà dal padre e metà dalla madre; dunque un quarto da ogni nonno, un ottavo da ciascuno degli otto bisnonni, un sedicesimo ... E così via, un raddoppio dopo l'altro, fino a potersi ipotizzare che le dotazioni individuali provengono un «gene» per ciascuno da 65.000 progenitori, uomini e donne, della sedicesima generazione a ritroso. Un tal numero di antenati sarebbe stato in grado di costituire i patrimoni genetici anche dei conterranei del nostro tempo. Il che non pare incredibile se si considera che, al ritmo di tre figli ciascuna, 32.500 coppie di genitori originerebbero, attraverso sedici generazioni, ben 42.694.521 discendenti (a decimali trascurati). Certo, la Natura non è altrettanto rispettosa dell'aritmetica; l'esempio sembra però chiarire abbastanza il concreto senso biologico dell'idea di nazione-patria.
C'è poi la comunanza dei caratteri culturali: linguaggio, mentalità, moralità, costumanze, arti e scienze ecc. Queste peculiarità passano tendenzialmente immutate da genitori a figli, da docenti a studenti, da dirigenti a esecutori, da cronisti a lettori, attraverso l'insegnamento, l'imitazione, il condizionamento sociale. Tendono dunque all'ereditarietà. Un italiano d'oggi ed un suo antenato del Quattrocento avrebbero qualche difficoltà a dialogare, anche se dotati di istruzione e condizione paragonabili; ma, nonostante i cambiamenti intervenuti, riuscirebbero a comprendersi e a riconoscersi connazionali (forse con reciproco divertimento canzonatorio) al contrario di chi gli si presentasse parlando un'altra lingua.
L'economia non sembra altrettanto ereditaria, benché anch'essa condizionata da fattori generazionali e ambientali. È comunque ugualmente sostanziosa la sua funzione coesiva di ampiezza nazionale. Vero è che l'attività produttiva si presenta a chi la esercita come interesse distinto dagli interessi altrui; o con essi in contrasto. Ma su tale rilievo si impone la considerazione che nessuna produzione e fruizione di beni e servizi è possibile senza il concorso altrui.
Quale che sia, anche di mero consumo, la parte di ciascuno nell'economia, siamo tutti reciprocamente legati in un groviglio inestricabile e in continuo movimento di interessi, necessità quotidiane e utilità vicendevoli, che fa della società nazionale non un'amorfa miriade di individui, bensì un fenomeno corposo, un vero e proprio organismo. Più o meno vitale secondo il grado di armonia e coesione fra le parti, oltre che secondo l'efficienza della struttura organizzativa e gestionale che ci comprende tutti col nome di Stato (guarda caso, nome nato in Italia e da qui passato nelle altre lingue europee). È dunque l'economia, che scambievolmente ci giustifica e valorizza, tanto da potersi concludere che non siamo quel che crediamo di essere per noi stessi (clienti o fornitori, venditori o acquirenti, progettisti o esecutori, fedeli o sacerdoti, docenti o studenti e così via) bensì quel che ad ognuno riesce di essere per gli altri.
Allora la società-Stato-nazione-patria esiste e vive (come realtà biologica, culturale, economica, ambientale, giuridica, storica ecc.) indipendentemente dal se e come la percepiamo; e continuerà ad esistere, indipendentemente anche dalla «moda». Tra le guerre del Risorgimento e la seconda guerra mondiale era d'uso e quasi obbligatorio un genere di patriottismo nazional-bellico e colonialista (come in tanti altri paesi, anzi molto meno). Le fasi della seconda guerra mondiale resero non meno obbligatoria la retorica anti-nazionalista, comprensiva della demagogia dei diritti personali e sociali, che ha disfrenato individualismi e particolarismi di ogni tipo. Quanto ai doveri, silenzio. E silenzio anche sul tornaconto di sentirsi certo persone, ma anche nazione una e inconfondibile: per affrontare le sfide che la vita pone ognora alle persone e al paese (il debito pubblico!!).
Ci si è messa anche una carenza linguistica: il termine nazionalismo, che dovrebbe significare sensibilità ai valori nazionali (p. es. rispetto e cura degli interessi collettivi interni, dalla nettezza urbana al funzionamento delle istituzioni) ha finito per essere inteso al contrario come sopraffazione armata degli interessi esteri; e soltanto così. Manca perciò il modo di esprimere il significato «interno»; e il tentativo di renderlo altrimenti (p. es. sentimento nazionale) non pare appropriato ed efficace; mentre «patriottismo» sa più di culto che di cosciente attaccamento.
Peccato che, mancando il termine, sia svanito anche il concetto, infine l'esercizio. O viceversa: la varietà dei punti di vista non muta la sostanza. È stata comunque inevitabile una certa disgregazione dell'italico tessuto sociale incrementata dall'ostilità egoistica di partiti, sindacati, classismi, intellettualismi ecc.; oltre che dal disinteresse, se non peggio, della Scuola. Se non fossero queste le radici più profonde dei malanni della Penisola, i nostri guai resterebbero incomprensibili.
Come inspiegabile resta il fatto che la scarsità di coesione socio-nazionale sia emersa proprio nell'ultimo cinquantennio dei due secoli che hanno visto svilupparsi la grandiosa rivoluzione mondiale della liberazione delle nazioni da imperialismo, assolutismo, schiavismo, feudalesimo, pauperismo, insalubrità, analfabetismo ... Una rivoluzione che, non certo per caso, si è svolta parallelamente ad un'altra, quella dell'avvento della democrazia moderna. Senza contare due altri fenomeni coevi: l'impetuoso sviluppo tecno-scientifico e il progresso delle condizioni economico-sociali e sanitarie, con gli effetti del raddoppio della durata della vita e della quintuplicazione della popolazione terrestre (non tutto il bene vien per giovare).
Si potrà discutere se, tra le quattro rivoluzioni universali ricordate, emerga, come fattore delle altre, quella mossa dalla coscienza nazionale dei popoli contro le catene del passato. Resterà per sempre il fatto che, essendosi svolti parallelamente nella stessa epoca, i quattro fenomeni storici vanno recepiti quanto meno come variabili comunicanti, interagenti, indirizzate solidalmente al miglioramento della condizione umana.
Libero chiunque di pensarla diversamente o di non pensarci affatto. Libera purtroppo la comunità delle nazioni di negare dignità di partecipe attivo del concerto internazionale, al paese che non sa di essere nazione e non vuole avere una patria. Sentimenti che, se positivi, sarebbero anche agenti di civismo, pace sociale, solidarietà umana, vivibilità. Perfino efficace tutela di interessi e diritti individuali, resa automatica e gratuita dai comportamenti personali di tutti. Senza poi trascurare il rispetto, doveroso e al tempo stesso fruttuoso, dei diritti ed interessi delle altre nazioni.

Agos Presciuttini

 

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