da "AURORA" n° 32 (Febbraio 1996)

RECENSIONI

 

Carlo Bagni

Il ritorno di Zarathustra

Grafiche Calosci, Cortona '95    pp. 103    £. 18.000

 

Non si tratta, come il titolo potrebbe far pensare, dell'ennesimo studio su Nietzsche. Queste pagine di Carlo Bagni, poeta, scrittore e giornalista (collaboratore de "La Nazione" di Firenze), apprezzato critico letterario (interessantissimo il suo saggio "Il libro segreto di Gabriele D'annunzio", Ellemme Edizioni, Roma '89, pp. 85, £. 15.000), sono un riuscito impasto di sensazioni epidermiche e intuizioni profonde nelle quali, sotto forma di aforismi, l'Autore, ridicolizza i «miti» effimeri di una modernità che pur soddisfacendo i bisogni materiali dell'uomo ne annichilisce la volontà e ne annulla lo spirito.
L'Ubermensch di "Così parlò Zarathustra", come scrive nella prefazione Nicola Caldarone, è qui visto «non tanto come il "superuomo", come in generale viene impropriamente tradotto il termine tedesco, ma "ultra-uomo", ovvero l'uomo che ha oltrepassato la schiavitù imposta dalle catene della religione e della morale e capace di adoperare i suoi poteri in senso creativo». Ossia, il nichilismo non più inteso, nella sua irrazionalità, unicamente come diagnosi del malessere individuale e collettivo, ma anche terapia. Non «solo rifiuto e negazione ma, al contrario, gioco, esaltazione gioiosa, positività piena ed appagata».
Sono pagine, quelle dell'amico Bagni, nelle quali convivono vitalità ed intuito, rigore scientifico e pathos ed hanno per noi, da sempre estimatori del «Profeta» di Röcken, un ulteriore merito: restituirci un Nietzsche non «mediato», quindi svilito e banalizzato dalle «letture» di comodo che in questi ultimi anni si sono susseguite.

 


 

Ruhollah Khomeyni

Lettera al Papa

Ed. all'insegna del Veltro, Parma 1980    pp. 20    £. 3.000

 

Nel 1979 il Papa polacco mandò in Iran un diplomatico vaticano affinché sollecitasse il rilascio dei cosiddetti «ostaggi» statunitensi, cioè i funzionari dell'Ambasciata USA (il «nido di spie») accusati di complotto e di spionaggio ai danni della Repubblica Islamica. All'iniziativa diplomatica vaticana, l'Imam Khomeyni rispose consegnando a monsignor Annibale Bugnini questa "Lettera al Papa", che, al di là dell'occasione per la quale venne scritta, rimane un documento della posizione antitetica assunta da Islam e Cattolicesimo nei confronti dell'imperialismo americano. «Noi non ci meravigliamo degli sforzi di Carter -si legge nella Lettera-. Non ci meravigliamo degli sforzi che egli compie per evitare che le persone in mano ai nostri giovani ci dicano la verità su quello che hanno fatto. Lui, Carter, deve agire così. Ma il Papa? Perché il Papa agisce in questo, facendosi mediatore nei confronti di un popolo oppresso che vuole far conoscere le sue sofferenze e vuol far capire all'umanità e ai diseredati come e in quali modi sia stata esercitata l'oppressione?» 
Alle domande dell'Imam Khomeyni il capo della cattolicità non diede alcuna risposta. Però, di lì a poco, compì gesti significativi, tra i quali ricordiamo il comizio papale di Auschwitz, lo shalom pronunciato all'indirizzo degli ebrei di New York e il contestuale riconoscimento della «elezione» del popolo ebraico, l'abbraccio con Toaff in sinagoga. 
Per terminare con il riconoscimento ufficiale, da parte del Vaticano, dell'entità politico-militare sionista.

 


 

Michel Vâlsan

Il cofano di Eraclio

Ed. all'insegna del Veltro, Parma, 1985   pp. 60    £. 10.000

 

"I predatori dell'Arca perduta", che apparve sugli schermi americani ed europei nel 1981 con Harrison Ford nel ruolo del protagonista Indiana Jones, è senz'altro da annoverarsi tra quei prodotti cinematografici che recano evidente, dato il loro carattere parodistico, il marchio della guénoniana «contro-iniziazione».
Sul tema dell'Arca dell'Alleanza è ritornato recentemente uno studioso inglese, Graham Hancock, il quale nel suo "Il mistero del Santo Graal" localizza in Etiopia la cassa di legno e di oro che avrebbe contenuto le "Tavole della Legge".
Quella Hancock non è tuttavia una «scoperta», anche se è stata presentata come tale.
Nel "Quaderno del Veltro" intitolato "Il Cofano di Eraclio" è stato infatti pubblicato, accanto ad alcuni scritti di Michel Vâlsan, un articolo di Denys Roman che risale ad una ventina di anni fa e, sulla base delle testimonianze di alcuni studiosi, fornisce dati assai interessanti circa il «tabot» (così è chiamata in Etiopia l'Arca dell'Alleanza, che sarebbe custodita nella cattedrale di Axum). Il volumetto in questione, come si è detto, riunisce alcuni scritti di Vâlsan.
Si tratta di testi relativi ad un simbolo (il «tabut», che può essere un cofano, un'arca, una cesta) che tutta una serie di dati tradizionali consente di definire come un supporto della presenza divina e anche di riferire alla funzione imperiale. Vâlsan si occupa in particolare del cofano con le immagini dei profeti che l'imperatore bizantino Eraclio avrebbe mostrato ai messi del primo Califfo, ma cita anche il caso della cesta che salvò dalle acque dell'Eufrate Sargon il Grande.
Non va dimenticato però che in alcuni miti greci (Danae e Perseo, Auge e Telefo) e romani (Romolo e Remo) ricorre il medesimo simbolo dell'arca o della cesta. Non solo: anche nei miti greci e romani ricorre il simbolismo della luce, quale indice di futura regalità del bambino rinchiuso nell'arca o nella cesta. E su ciò opportunamente si sofferma il prefatore del libro.

 


 

Pietro Petrarolo

Castel del Monte, corona imperiale

Sveva Ed. Andria 1993            pp. 72   £ 15.000

 

In Puglia e in Lucania sono diversi i castelli Svevi: Trani, Gioia del Colle, Lagopesole, Manfredonia, Melfi, Ora, Otranto, per citare solo i meglio conservati. È evidente che si tratta di fortificazioni, che non pongono problemi di troppo difficile soluzione. Invece Castel del Monte, che Federico II di Svevia fece erigere nei pressi di Andria da un gruppo di costruttori e lapicidi noti come «Magistri de Apulia», pone un interrogativo essenziale: a quale scopo venne costruito?
Sulla funzione di questo edificio federiciano, non ancora chiarita, sono fiorite supposizioni di natura esoterica, magica, astrologica, alchemica; lo si è messo in rapporto col Santo Graal e coi templari; se ne è studiato il simbolismo numerico e geometrico, connesso alla pianta ottagonale e alla ripetizione dell'ogdoade nelle modanature architettoniche.
Il libro di Pietro Petrarolo non è un nuovo tentativo di risolvere il problema della destinazione del castello. È semplicemente una guida, un manuale utile a chi intende visitare Castel del Monte sala per sala, rendendosi conto delle sue strutture; ma, data la ricchezza dell'apparato iconografico (numerose fotografie a colori, piante, ricostruzioni ideali), il libro risulta utile anche a chi voglia studiarlo «a distanza».

 

 

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