da "AURORA" n° 32 (Febbraio 1996)

SASSAIOLA

Chiarimento

"Aurora"


«Io non posso soffrire fisicamente coloro che sono ammalati di nostalgia, che ad ogni minuto traggono dai loro petti sospiri e respiri profondi: "come erano belli quei tempi!". Tutto ciò è semplicemente idiota! La vita passa, o signori, e continuamente si ha di fronte la realtà vivente»

B. M.


Tra le tante, spesso intelligenti e costruttive, critiche di cui questo periodico è oggetto, la meno pertinente e la più infondata è senza alcun dubbio quella che ci vuole eccessivamente sbilanciati su temi economico-finanziari. Certo, nessuno nega che negli ultimi tre anni la redazione ed i collaboratori di "Aurora" abbiano compiuto un grosso sforzo per rimuovere quella che ritenevano una grave lacuna, strascico della pluridecennale militanza in un'area politica che, della sua ignoranza ed estraneità a tematiche di ordine economico, finanziario, sindacale, sociologico e tecnologico ha spesso e volentieri menato vanto.
Riconosciuto questo, mi pare di poter affermare, e la raccolta del mensile ampiamente lo conferma, che lo spettro degli argomenti trattati in questi anni è stato ampissimo anche se al di sotto dei nostri ambiziosi obiettivi, e che le pagine dedicate a questioni economiche e finanziarie sono tutt'altro che preponderanti rispetto a quelle dedicate ad altri argomenti. Del resto, lo scrivo per chiarezza e senza intenti polemici, noi non ci siamo mai permessi di criticare l'indirizzo politico e l'argomentare di chicchessia anche quando, per i nostri criticabili gusti, i contenuti di altre riviste ci appaiono del tutto scontati, avvizziti e noiosi nella loro ripetitività.
Penso, comunque che anche questi spietati critici debbano darci atto che è molto più semplice riempire una pagina di argomenti «morali» e «spirituali», per trattare dei quali il «sentire» dello «scrivano» è base sufficiente per portare a termine, in modo esaustivo e niente affatto arbitrario, il «compitino» mensile: altro è, e maggiore impegno e fatica comporta, l'inoltrarsi in un campo nient'affatto empirico o metafisico, come quello delle scienze economiche, per districarsi nelle quali è necessario, se non proprio studiarne meticolosamente gli ultimi trecento anni di teorie ed applicazioni pratiche, indugiare almeno sui frontespizi di qualche centinaio di volumi onde evitare, se non altro, di scambiare Karl Heinrich Marx per uno dei fratelli di Groucho o i Sansimoniani per una setta religiosa di recente costituzione.
Personalmente ho sempre pensato che, aldilà dei «predicozzi» mensili più o meno brillanti e della, senz'altro ammirevole, personale abnegazione di coloro che mantengono accese le ormai rare fiammelle della «speranziella» neo-fascista, per uscire dall'avvitamento necrofilo-ideologico che domina in quell'area è fondamentale fare i conti con la complessità dei tempi nei quali viviamo. E senza indugi, lasciarsi alle spalle la perdurante e perdente logica in virtù della quale un sistema politico, schiantato da una sconfitta militare oltre cinquant'anni orsono, per quanto innovatore e precorrente i tempi, contempli, nella sua dottrina e nella sua prassi, tutte le possibili soluzioni alle questioni poste oggi dalla modernità.
Benito Mussolini, che si autodefiniva «relativista» e «pragmatico» -nell'azione politica, non certo nei «Valori»- tanto da ritenere vacuo, artificioso e demagogico qualsiasi programma di tipo elettorale (il fascismo non ebbe mai un programma definito, ma solo «piattaforme programmatiche di indirizzo» per scelta precisa di Mussolini; da qui le accuse di «incapacità programmatica» costantemente mossegli dai suoi avversari), sarebbe il primo a definire molti dei suoi presunti seguaci di oggi «passatisti» e «antifascisti». Voglio dire che quanto vi è di durevole nelle «intuizioni» del fascismo (ed è moltissimo) è stato svilito e consunto da un neo-fascismo bolso, borioso e funereo che ha sempre confuso l'essenziale con il transitorio; pago di scimmiottare quanto vi era di caduco, di strettamente attinente a quel periodo storico, invece di impegnarsi nella rielaborazione di quanto conserva nel tempo intatta la sua validità. L'economia, come tutte le attività umane, ha subito profondi mutamenti e noi abbiamo l'«ardire» di pensare che anche idee, per la Sinistra Nazionale fondamentali, in quanto discriminanti rispetto agli altri soggetti della cosiddetta «area», quali la Socializzazione (sempre confusa con il Corporativismo che è altra cosa) sarebbe oggi inapplicabile riproposta negli stessi termini sociali, giuridici ed organizzativi del 1944.
Non si possono ignorare la finanziarizzazione dell'economia, la forte contrazione del numero di addetti nei settori primario e secondario, le nuove tecnologie, la dilatazione del terziario.
L'Italia contadina del 1945 non esiste più. Proletariato e borghesia (di cui Benito Mussolini non negava l'esistenza, ma dei quali evidenziava la complessità, aldilà delle semplificazioni marxiste e liberali: «... esistono almeno venti borghesie e altrettanti proletariati: non si può confondere l'industriale che crea un'azienda e lavora per potenziarla con lo speculatore; così come l'operaio specializzato non ha nulla da spartire con il cafone che campa grattando l'arida terra, nondimeno i primi vengono ugualmente definiti borghesi ed i secondi ugualmente proletari») sono altro rispetto a quello che mezzo secolo fa si indicava con queste definizioni. Nessuno discute la validità, all'interno di quel preciso contesto storico, dei «18 Punti di Verona», ci permettiamo solo di rilevare che riproporli tali e quali oggi, senza tener conto delle mutate condizioni, è solo manifestazione di sterile e deteriore nostalgismo.
«Nostalgismo» comprensibile in quanti hanno personalmente «attraversato» quella temperie storica, imperdonabile e politicamente disonesto quando scientemente utilizzato, ingannando quanti sognano impossibili rivalse sulla storia, per il tornaconto personale.
Queste le nostre posizioni, criticabili quando si vuole ma sempre chiare e definite. L'accusa di «sostanziale antifascismo» ci lascia del tutto indifferenti e la stessa utilizzata dai «finioti» negli Anni Ottanta, prima del lavacro di Fiuggi. 

"Aurora"

 

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