da "AURORA" n° 33 (Marzo  1996)

EDITORIALE

Schierarsi

A. De Ambris

Non vi è, nell’opinione pubblica italiana, una marcata tendenza che lasci intravedere quale del due poli, la sera del 21 aprile, a bocce ferme, avrà i numeri per governare il Paese. Anche se lo schieramento di Destra, a nostro parere, è in leggero vantaggio sulle Sinistre. Una prevalenza che può essere annullata in queste tre settimane che ci separano dal voto e che comunque non è tale da garantire al duo Fini/Berlusconi un numero sufficiente di seggi per poter governare. I margini saranno talmente stretti da prolungare all’infinito la fase di instabilità apertasi con l’inchiesta «Mani Pulite». In quanto alla Sinistra, essa ci pare destinata a pagare il fio dei suoi troppi errori; lo sbilanciamento troppo marcato verso il centro, la debolezza della leadership di Romano Prodi, l’alleanza con il trasformista e reazionario Dini, lo spazio concesso a personaggi discutibili come il tecnocrate Maccanico e il pluri-inquisito De Mita, il lasciarsi condizionare da temi tradizionalmente di destra, qual’è quello della «rivolta fiscale» dei lavoratori autonomi. Quando, invece, sarebbe stato necessario il coraggio della chiarezza. Perché, è pur vero che in Italia vi sono migliaia di commercianti ed artigiani onesti, ma è altrettanto vero che parte consistente dell’evasione fiscale è attribuibile a quelle categorie che, mediamente, dichiarano meno dei loro dipendenti.
Occorrerebbe coraggio. Un coraggio che la Sinistra non ha, per sostenere la verità, per dire ai lavoratori autonomi che la crisi del loro settore è strutturale, che il tempo delle «vacche grasse» (il tempo, per intenderci, nel quale la DC di De Mita, Andreotti e Forlani e il PSI di Mancini e Craxi avevano stretto un patto di ferro con le potenti lobby del lavoro autonomo: scarsi controlli fiscali; ossia evasione fiscale surrettiziamente consentita in cambio di voti) non tornerà più, che in Italia gli esercizi commerciali sono troppo numerosi (uno ogni 180 potenziali clienti. La Germania, tanto per fare un esempio, ne ha uno ogni 930) e spesso sono solo un doppione, in miniatura, e con prezzi raddoppiati, dei supermercati magari di proprietà del loro «nuovo» protettore; Silvio Berlusconi). I lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere i soli tartassati da un fisco sempre più opprimente. È tempo di sanare le sperequazioni: pagare meno, pagare tutti.
Questo dovrebbe essere il linguaggio della Sinistra. E non certo per dividere e contrapporre, gli uni contro gli altri, lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti, ma per promuovere quel «cambiamento» che a parole tutti auspicano, e nella realtà tutti temono, in quanto priverebbe la partitocrazia e gli interessi economici ad essa collegati di un formidabile strumento di controllo sociale: quello fiscale.
Questo detto, la Sinistra Nazionale, non può estraniarsi dalla realtà, non può né deve ignorare i pericoli insiti nella, al momento probabile, vittoria delle destre. Schierarsi in questa congiuntura è un dovere. Un dovere che indispone e cagiona qualche mal di pancia, ma che va comunque assolto!
Noi voteremo compatti a sinistra.
Per una Sinistra della quale ben conosciamo i limiti e le contraddizioni, ma alla quale, pur con tutti i distinguo e le riserve critiche, sappiamo di appartenere.
Questa la nostra posizione, certo non condivisa da amici e camerati, con i quali Sinistra Nazionale ha instaurato da tempo rapporti di collaborazione proficui, quasi sinergici. Noi comprendiamo e rispettiamo la posizione della Federazione Nazionale dei Combattenti della RSI: non ignoriamo la storia, anche di estrema coerenza personale di coloro che di questa organizzazione, non meramente reducistica, ma attivamente e positivamente «politica», sono l’anima. Ed è per motivi di rispetto e di stima, oltreché di un comune sentire su gran parte dei temi di fondo, che riportiamo integralmente il «Foglio d’orientamenti 1/96» con l’indicazione di votare scheda bianca.
Con questa scelta, non dettata da mere considerazioni tattiche e personali, ma risultante dal vasto ed articolato dibattito svoltosi nel Movimento, la Sinistra Nazionale opera l’ultimo strappo, recidendo definitivamente il cordone ombelicale col neofascismo che, in questi anni di riflessione ed analisi, era andato via via assottigliandosi.
Altre scelte erano impensabili per chi, fin dal suo coagularsi in movimento politico aveva individuato nella ricomposizione delle fratture verificatesi a sinistra, nella prima metà del XX secolo, una delle possibili risposte ai drammi ed alla complessità della modernità, oltreché la sola concreta possibilità di ricomporre il tessuto politico/sociale della Nazione, lacerato dai mai sopiti rancori che da quelle tragiche e sanguinose fratture abbiamo ereditato.
Proseguire nella scelta astensionistica significava cristallizzare il Movimento nell’inazione, nella passività propria alle «scorie della storia» quali noi non siamo, ne vogliamo essere. E comportava altresì una valutazione del panorama politico falsa e demagogica, a strumentale giustificazione di una scelta che sarebbe stata pavida ed incoerente. Non è vero che Destra e Sinistra sono sovrapponibili: ciò può essere sostenuto, e solo parzialmente, per i vertici dei due poli; ma gli uomini, i singoli individui, le categorie sociali che in essi si riconoscono sono l’una dall’altra profondamente diverse. 
La differenza è profonda, antropologica, sia nelle sensibilità che nei valori. Da una parte: sta il culto del privato, del profitto, della difesa delle «roba», della supremazia del mercato sempre e comunque, anche a fronte dei diritti, della necessaria solidarietà tra connazionali, dei sentimenti. L’«azienda Italiana» di Berlusconi e Fini, non ci piace, noi non siamo liberisti, quindi non siamo, per nulla persuasi che le azioni individuali sommate l’un l’altra esauriscano il concetto di «Comunità»; queste sono panzane che solo i «babbei» della «destra sociale» possono «sparacchiare» senza arrossire. 
Dall’altra, la Sinistra che, nonostante tutto, conserva sensibilità sociale; per la quale la solidarietà non è si ridotta a pietismo, ad elargizione del ricco al povero, ma è rimasta un «dovere sociale» e la giustizia non è unicamente un insieme di norme giuridiche atte a redimere, più o meno giustamente, i contenziosi tra interessi contrapposti, ma armonia dei rapporti sociali e regola di vita collettiva; il lavoro non è solo mezzo egoistico di affermazione individuale ma dovere/diritto individuale e collettivo; la partecipazione non e solo clientelismo ed assistenzialismo ma diritto di ogni singola personalità ad esprimersi al meglio e di realizzarsi all’interno della più vasta Comunità nazionale.
Tutto ciò non è prosa, non sono deduzioni, ma quanto abbiamo potuto constatare, specie negli ultimi due anni, nei proficui e frequenti confronti con la base della sinistra.
In cambio del nostro voto, come scrive F. Moricca in queste stesse pagine, noi non chiediamo nessuna contropartita. Né, vi è da aggiungere, rinneghiamo anche solo in parte quelle che erano e rimangono le nostre convinzioni. Noi abbiamo -e lo diciamo con orgoglio- l’ambizione di innestare nell’«albero» della Sinistra le «gemme» della «Partecipazione», della «Socializzazione» e della «Nazione».
Quella che oggi può apparire come l’eresia estrema, l’utopia più spudorata, la farneticazione collettiva di un gruppo di «pazzi», non è detto non possa in un futuro, neppure troppo lontano, contorni del tutto diversi.

A. De Ambris

 

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