da "AURORA" n° 34 (Aprile - Maggio 1996)

L'INTERVENTO

Caleidoscopio

"Babeuf"

È di questi giorni la notizia della scomparsa, per suicidio, della poetessa Amelia Rosselli (intellettuale tutt'altro che radical-chic, visto che venne «scoperta» da un poeta nazionalpopolare come Pasolini). Nell'esprimere il mio cordoglio ai familiari, colgo l'occasione per tentare un'analisi (senza pretese accademiche) di Carlo (padre di Amelia) e Nello Rosselli.
La Toscana può essere considerata la capostipite delle innovazioni e delle ribellioni (nel bene e nel male) in ambito italiano. È stata la Toscana il centro del Rinascimento, che a sua volta ereditò tutta la tradizione culturale precedente, da Dante a Petrarca a Pietro l'Aretino. Sarebbe troppo lungo elencare tutti i passaggi storici in queste righe, basta ricordare, per completare il quadro, che avrà enorme importanza, alla fine del secolo XVIII, la costituzione a Firenze del Gabinetto Letterario Vieusseux, dal nome di una famiglia calvinista di origine ginevrina che, dopo un soggiorno di quasi trenta anni ad Oneglia in Liguria, si trasferirà nel capoluogo toscano attorno al 1792. Da allora la Toscana è un fermento di battaglie ideali di tutti i generi: è la regione che, insieme all'Emilia Romagna, darà all'Italia la più grossa percentuale di giacobini, bonapartisti, carbonari, mazziniani, garibaldini e, in seguito, di repubblicani, anarchici, socialisti delle varie sfumature, sindacalisti rivoluzionari, futuristi, fascisti della prima ora, legionari fiumani (dei quali molti diventeranno Arditi del Popolo, dopo la delusione, per la svolta del '21). È sempre in Toscana, nella città di Livorno, che nel '21 viene fondato il Partito Comunista d'Italia.
Ed è in tale contesto culturale che si formano Carlo e Nello, elaborando in senso democratico (ma anche «nazionalistico») il pensiero di Giuseppe Mazzini, che alla libertà unisce la responsabilità, ai diritti unisce i doveri dell'uomo (non sono d'accordo con chi a priori esclude i primi). I fratelli Rosselli, da buoni mazziniani intransigenti (con venature libertarie e anarchicheggianti che li portano a scrivere un saggio sui rapporti tra il patriota genovese e Michail Bakunin), non possono accettare un fascismo che, nel '21, si è posto al servizio della monarchia, dell'alto clero e del grande capitale (loro sono repubblicani intransigenti, anti-clericali e non certo per snobismo, ma per una sana concezione laica, più che laicistica, della società, tanto che teorizzano, mutuandola, forse dal Bakunin, l'autogestione delle imprese da parte dei lavoratori). È vero che parlano di «socialismo liberale» (che appare una contraddizione in termini), ma il loro «liberalismo» non va confuso con quello filo-capitalista né, tantomeno, col termine «liberal», mutuato, in tempi recenti, dal linguaggio anglosassone. Il loro movimento, "Giustizia e Libertà", può, sotto certi aspetti, considerarsi il precursore del "Partito d'Azione", di quell'azionismo però, si badi bene, che il compagno socialista Enrico Landolfi, definiva, su queste stesse pagine, «idealistico» e «volontarista», ben distante quindi da quello bancario e speculativo che verrà a prevalere nel dopoguerra (e anche durante la guerra civile), soprattutto nel capoluogo subalpino. (1)
Non riesco, infine, ad immaginarmi Carlo e Nello Rosselli nei panni dei due La Malfa, dei Giorgio Bocca o dei Marco Pannella ante-Polo delle libertà!
Al termine «autogestione», il movimento «giellista» non conferiva il significato di «capitalismo di Stato». Ci si batte per un'economia mista; ciò li porterà a prendere le distanze dal comunismo sovietico, specie dopo l'involuzione staliniana. Nel '36 la coerenza mazziniana porterà i fratelli Rosselli a combattere in Spagna, contro il fascismo che aggredisce, non dimentichiamolo, un governo eletto dal popolo che in un primo momento Mussolini aveva riconosciuto. Una decisione, questa, che porterà molti giovani del GUF a prendere le distanze da Mussolini e dal fascismo. (2)
Le formazioni volontarie di "Giustizia e Libertà", unitamente ai repubblicani di Pacciardi, accolgono nelle loro fila quegli anarchici che in mancanza di una formazione propria sul luogo non hanno alcuna intenzione di arruolarsi e confondersi con le brigate staliniane. Da quel momento i fratelli Rosselli avranno due nemici: il fascismo-regime (rappresentato, soprattutto, dal loro concittadino Galeazzo Ciano, tra i principali responsabili dell'operazione «Spagna», a quel tempo ministro degli Esteri e che voleva ingraziarsi il Vaticano), e gli agenti della CEKA (il compagno Josif non sopportava, come storicamente acclarato, sinistre «concorrenziali». La FAI e il POUM di Barcellona ne sanno qualcosa!).
Nel '37, Carlo e Nello vengono assassinati in Francia a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro. Su esecutori e mandanti le ipotesi sono diverse. Ma un dato è certo: quei delitti furono una carognata, chiunque li abbia ordinati e compiuti. Un conto è uccidere l'avversario in combattimento, un altro e farlo assassinare a tradimento!
Anni orsono qualcuno scrisse circa le affinità (indubbie, almeno in campo economico-sociale) esistenti tra il fascismo-movimento e il giellismo (già Palmiro Togliatti le sottolineava nelle sue "Lezioni sul fascismo" del '35); un senatore del MSI, ad esempio, le mise in evidenza attribuendole, però, al Partito d'Azione piemontese del periodo '43/'45, riducendole (ahimè, che tristezza) «al divieto di sciopero che anima i due movimenti». Scrivendo immaginarie lettere al «caro Nemico» fucilato nelle Langhe, l'on. Franco Franchi, si dimenticò di scrivere che certi azionisti piemontesi (della tesi culturali dei quali certa «sinistra» ufficiale è oggi tanto innamorata...) erano legati a filo doppio con le banche torinesi (e non solo), responsabili tra l'altro, con il concorso dei finanzieri milanesi, dei massicci bombardamenti che l'US Air Force attuò sull'Italia centro-settentrionale, soprattutto su Milano. Banchieri e finanzieri che avevano del diritto di sciopero la stessa opinione che hanno i musulmani del maiale e che, nel dopoguerra, dopo aver disarmato i social-comunisti (con il determinante concorso degli Alleati) attueranno all'interno delle fabbriche una politica di repressione anti-operaia che non ha riscontri nella storia italiana, compreso il regime fascista e le parentesi più «destre».
Veniamo ora alla fantastoria.
Se Carlo e Nello non fossero stati assassinati, senza dubbio avrebbero dovuto riparare in Francia, dopo la vittoria di Franco. Il loro movimento, che aveva avuto un certo successo, si sarebbe fuso con quello di Pacciardi o forse no (chi lo sa!). Certo con l'arrivo dei tedeschi a Parigi, il movimento, che nel frattempo aveva inglobato varie sinistre eretiche, compresi diversi gruppi anarchici, si sarebbe dato alla macchia, insieme alle formazioni che costituiranno il Maquì.
Ma nel '43, se il fascismo non avesse proclamato le leggi razziali (i Rosselli erano di origine ebraica, anche se ben lontani da ogni tentazione sionista), chissà se si sarebbero incuriositi per quella Repubblica Sociale di Mussolini? Chissà se nell'udire l'aria delle vecchie canzoni degli anarchici adattate dai combattenti repubblichini (...Vogliamo scoprire una lapide \ incisa sui muri di Troia \ a morte la casa Savoia... A cui si aggiunsero strofe che parlavano di conventi e chiese bruciati), se udire la voce del socialista Carlo Silvestri che discettava di socializzazione e partecipazione li avrebbe portati a scelte (condivise persino da alcuni comunisti: come accadde a Venezia dopo il Congresso del Partito Fascista Repubblicano a Verona), definite, pudicamente, inspiegabili da certa cultura progressiva. È proprio surreale, pensare a Carlo e Nello Rosselli aderire, non al PFR (essi non avrebbero mai rinnegato il loro antifascismo, il loro a-fascismo o comunque il loro non-fascismo!), ma alla RSI magari militando nel Raggruppamento Repubblicano Socialista di Edmondo Cione?

P.S.: Sia chiaro: quanto di buono e di sociale c'è nel Fascismo è innovativo e moderno, non riconducibile in nessun modo alla cosiddetta «tradizione storica» (sebbene questa abbia aspetti positivi dal punto di vista culturale. Ma solo culturale, appunto, che non va confuso, ma nettamente separato dalla politica e dall'ideologia). Se si vuole «stare a sinistra» si deve valorizzare ciò che unisce e non ciò che divide. Altrimenti il confronto tra compagni non-conformisti e fascisti-anomali è solo tempo perso.

"Babeuf"

Note:
1) Una conferma a quanto scritto è data dalla circostanza che mentre il Partito d'Azione toscano, nel '44, condannava senza esitazione l'assassinio di Giovanni Gentile, nei «covi» bancari di via XX settembre a Torino, con annessi servizi igienici (ove potenti uomini d'affari e gentili signore combattevano la loro guerra -Cèline docet...- mentre sulle montagne idealisti delle due parti si immolavano per le proprie convinzioni), il Partito azionista piemontese applaudiva all'assassinio del Filosofo di Castelvetrano!
2) Tempo fa, nel corso di una conferenza, l'On. Pietro Ingrao affermò che l'intervento in Spagna gli fece crollare il mito di un fascismo nazionalpopolare. Lui, come molti giovani del GUF, non ritenevano moralmente giustificata l'aggressione ad un povero paese come la Spagna. «Si fosse trattato (disse testualmente) di invadere l'Inghilterra, egli non si sarebbe posto alcun problema».
3) V. F. Deakin "Storia della repubblica di Salò", Einaudi, Torino 1963.

 

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