da "AURORA" n° 34 (Aprile - Maggio 1996)

LA POLEMICA

Il mito del voto nella «Terra dei cachi»

Giorgio Vitali

Ho sostenuto per decenni la tesi dell’inutilità del voto. I fatti hanno ampiamente confermato le posizioni di coloro che, in analogia o in collaborazione con la FNCRSI, sostennero negli anni il voto «scheda bianca».
Oggi il quadro è meno chiuso, la caduta del muro di Berlino ha sicuramente aperto alcuni chiavistelli che fino a pochi anni orsono facevano dell’Italia una sorta di «prigione» culturale, ove a fronte di un progresso economico truccato (ne fa fede il debito pubblico), nulla si muoveva sia in campo politico che sociale, culturale, normativo, giuridico. Tutto era, in maniera clericalmente ovattata, sotto un perfetto controllo. Se qualcuno usciva dai ranghi, ci pensavano i Servizi, la mafia, la magistratura, la stampa, i terroristi e gli psichiatri, farlo rientrare in un modo o nell’altro all'interno del circuito chiuso.
La prospettiva che presentano le elezioni del prossimo 21 aprile ha indubbiamente degli elementi di «novità» rispetto al nostro passato recente, che è bene prendere in considerazione onde non perdere quella bussola che dovrebbe guidare ogni persona che voglia agire politicamente al di fuori di questo guazzabuglio che, a mio avviso, non è destinato a durare in eterno, e comunque certamente non per altri 50 anni. Ciò che si dovrebbe cercare di interpretare non è la varietà degli schieramenti, ma cosa cela questa apparente rutilanza di sigle e di simboli. La maggioranza degli Italiani resta per lo meno interdetta di fronte al traboccare di nuove formazioni, che giudica in negativo come la solita pagliacciata all'italiana, ma non riesce a cogliere, dietro a queste arlecchinate di facciata, i pochissimi elementi omogenei, che sono invece quelli che dobbiamo cercare di evidenziare.
Fino a pochi anni orsono, il bipartitismo imperfetto (comunismo-anticomunismo) con il suo terrificante corredo (pericolo comunista, imperialismo, pericolo nucleare) era sufficiente per tenere concentrata l'attenzione degli elettori, solo una minoranza dei quali si permetteva alcuni lussi clientelari votando per i partiti marginali. Oggi, la frantumazione delle vecchie coalizioni fa riemergere le infinite tendenze presenti in una società come la nostra che unisce vecchie forme ideologiche di aggregazione con nuove strutture di tipo corporativo, professionale, volontaristico, sociale (pensionati), ambientalistico, regionalistico, localistico, assistenziale, sindacale, finanziario, carismatico (vecchie personalità del mondo politico precedente che ritengono di poter ritornare in campo).
Ogni frantumazione però, più si atomizza, più è destinata a ricomporsi in un grosso corpo omologato ed omologante. Il problema è infatti vedere su quale fondamento avviene questa omologazione. A questo punto occorre fare un distinguo: esistono elementi comuni alle società del XX Secolo, che sono conseguenza di una evoluzione strettamente correlata allo sviluppo tecnologico ed alle ideologie che lo sostengono; esistono anche delle forme di condizionamento ideologico che sono estranee al tessuto sociale concreto di ogni singolo paese, e che vengono imposte per piccoli impercettibili passi, attraverso politiche culturali che si avvalgono degli strumenti mass-mediali.
Gli elementi in gioco in queste elezioni, a mio parere, sono tre: Presidenzialismo, Centrodestra e Centrosinistra.
Esiste anche un Centro, una palude, che soddisfa il bisogno di compromesso e di mediazione di una popolazione come quella italiana, peraltro notevolmente invecchiata e dove bazzicano ostentatamente vecchi democristiani, che ha poca importanza in un clima di bipartitismo. D'altronde una foltissima palude c'era anche durante la Rivoluzione Francese, passando relativamente indenne attraverso le varie purghe con le quali le ali rivoluzionarie si eliminarono reciprocamente, talché Napoleone dovette attingervi buona parte della sua classe dirigente (per estinzione fisica degli altri possibili concorrenti).
Il problema è vedere cosa si vuole ottenere con questo bipartitismo.
Ai tempi di Pacciardi, la soluzione «americana» si prestava a rappresentare una svolta alternativa alla stasi partitocratica. Ma, pur essendo Pacciardi un amico degli americani, si trovò completamente emarginato dalla vita pubblica. Una prigione dorata. Evidentemente le esigenze di controllo dell'Italia, paese geograficamente a rischio, escludevano qualsiasi trasformazione, essendo più che mai utile un sistema gestito con la corruzione ed il paternalismo della partitocrazia.

Presidenzialismo

Va premesso che noi, della FNCRSI, non potremmo che essere presidenzialisti. Le due Costituzioni progettate per la RSI erano a carattere presidenzialista, e non per garantire il potere a Mussolini. Ma che tipo di presidenzialismo?
Un presidenzialismo che rappresentava il culmine di una piramide la cui base ed i livelli intermedi erano costituiti dalle rappresentanze del lavoro e della cultura. Una presidenza come punto d'arrivo, di coordinamento, ma anche propulsiva, come sempre quando l'esecutivo ha un effettivo potere. (Franco Franchi: "Caro Nemico", Ed. Settimo Sigillo).
Ma, detto ciò, occorre anche aggiungere che un «presidenzialismo» all'americana, alla francese e, volendo, all'«amatriciana», in questo particolare momento -nel quale abbiamo notato che tutte le forze politiche convergono, sia pure con risibili distinguo, nell'ammettere l'esigenza di rafforzare l’esecutivo- potrebbe servire soltanto a garantire al potere mondialista un pedissequo esecutore di ordini perentori.

Le due forze in campo

Per cercare di evidenziare gli aspetti salienti delle due forze che si contendono il voto degli italiani, dobbiamo premettere alcune note riguardanti l'Antropologia delle Società Complesse.
L'entrata in gioco nell'economia della nuova forza produttiva che è la scienza, per sua natura tendente ad allargare continuamente ed incessantemente la propria base, impone una visione diversa dello sviluppo economico e civile dei popoli, e lo stesso rapporto di interdipendenza fra le varie economie implica una visione comune anche dei problemi culturali, psicologici, sociali. Questo rapporto di interdipendenza diventa immediatamente «dipendenza» quando un popolo non riesce a procurarsi quegli elementi di valutazione e di decisione che gli permettono di affrontare un problema nella sua globalità.
Tutto il resto è chiacchiera. Per fare un esempio banale, se continuiamo nella mitologia della liberazione, secondo cui siamo in debito morale con gli americani che, liberandoci, ci hanno redento, è ovvio che non possiamo esimerci da un rapporto di sudditanza anche in tutti quei settori intellettuali (la ricerca) che sono i soli a permettere, oggi, la realizzazione dell'aspirazione all'indipendenza. Ad es., la storia recentemente emersa su "Panorama", del tentativo comune Germania, Italia, Francia di costruire una bomba atomica, subito fallito per la defezione italiana a seguito di banali pressioni americane.
Non ha senso pertanto dire che l’attuale evoluzione scientifica dell'umanità sia senz'altro buona; v'è tuttavia un legame assai stretto tra l'evoluzione come dato di fatto e il problema morale. Occorre pertanto porre questo problema, non attardarsi fra posizioni pretestuose, come l'ingenuo progressismo (si chiamano ancora «progressisti»!) o l'intransigentismo anti-progressista che va dal dogmatismo religioso, all'Arcadia bucolica, al tradizionalismo sicuramente male inteso.
Uno dei problemi più seri legato alla tecnica è sicuramente l'inquinamento. Inquinamento delle acque, dell'aria, del suolo; ma, oltre a poche dichiarazioni di principio, il problema non viene mai posto in modo adeguato dai concorrenti al seggio parlamentare. D'altronde, vecchi giornalisti chiacchieroni e tromboni e parlamentari vecchi, di mentalità anche se non di età, difficilmente riuscirebbero ad afferrare concetti squisitamente culturali e tecnici come quelli legati all'inquinamento. Ma anche nell'informazione la tessera d'identità è l'inquinamento, e precisamente quello morale, ed il condizionamento psicologico che, portato alle estreme conseguenze, significa la distruzione dell'intelligenza individuale come facoltà autonoma, la riduzione dell'uomo ad una vera e propria schiavitù intellettuale. Attraverso il condizionamento (inquinamento) tecnotronico, passa il meccanismo che lega l'individuo alla sua società. Il controllo sociale è radicato nei nuovi bisogni che esso ha prodotto. (È il concetto di introiezione elaborato da Marcuse).
A questo punto ci troviamo di fronte ad uno degli aspetti fondanti della società industriale avanzata: il carattere razionale della sua irrazionalità. Dal canto suo, Franco Ferrarotti ammonisce che: «i mezzi tecnici e la razionalità strumentale hanno raggiunto un tale livello di perfezione e di auto-giustificazione da sfuggire a qualsiasi controllo efficace e da svuotare la stessa vita politica democratica che ancora si svolge in forme e secondo moduli ottocenteschi sempre meno persuasivi e sincronizzati con le realtà tecniche della società industriale di massa» ("Cinque scenari per il 2000", Laterza, '85).
Di fronte a questa situazione ci sembra che il dibattito sulla «par condicio» sia un puro esercizio labiale per bambini scemi. Il discorso potrebbe proseguire a lungo. È necessario, comunque, chiarire ulteriormente alcuni concetti, soprattutto per chi ritiene di dover agire in uno spazio politico «alternativo», che si muove all'interno di una cultura politica basata sulla valorizzazione dell'uomo che produce, dell'uomo che lavora, dell'uomo che crea.
Premessa culturale di una azione politica di tal fatta è il rispetto dei diritti umani, dove ogni uomo deve essere tutelato e garantito nella sua dignità, sviluppo, presa di coscienza. È ovvio che noi si debba combattere affinché le istituzioni (scuola, università, giustizia, sanità, economia) si sinergizzino alla concretizzazione di azioni atte a motivare l'individuo alla collaborazione sociale attraverso una graduale autogestione della sua dignità e delle sue potenzialità creative.
Esattamente il contrario di quanto di fatto propongono i due schieramenti attualmente in lizza.
È chiaro che il signor Dini, uomo del FMI, agisce indisturbato all'interno delle nostre istituzioni apparentemente democratiche, in realtà ferocemente oligarchiche ed asservite ai potentati economico finanziari d'oltreoceano
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Sostanziale omogeneità socio-culturale dei candidati.
Omologazione dei Partiti in lizza.

Mi limiterò a citare alcuni testimoni ineccepibili.
«Indubbiamente, la richiesta di partecipazione in America è molto forte; occorre vedere però in che termini viene richiesta la tua adesione a quella che sostanzialmente viene considerata come l’unico universo esistente. È un po' la stessa cosa che accade con il sistema elettorale, nel senso che tu puoi votare, a differenza di quello che puoi fare, ad esempio, in Unione sovietica; solo che le tue alternative -i due partiti, democratico e repubblicano- sono estremamente ristrette, molto simili fra loro ... Viceversa io venivo da un paese in cui comunque, per principio, la libertà politica era infinitamente maggiore, (l'Italia, ove solo apparentemente la libertà era maggiore, ma comunque, dal punto di vista formale, era ancora maggiore di quella americana, N.d.R.) per cui mi trovai a sperimentare l'impatto del violentissimo nazionalismo degli americani, fortemente convinti di essere un popolo superiore, più avanzato, più civile, più moderno. Una sorpresa quindi, se vogliamo chiamarla così ,è stato lo scoprire che l'Italia aveva delle forme di libertà che lì erano completamente assenti». (Alessandro Portelli: "Mal d’America", a cura di Ugo Rubeo, Editori Riuniti, '87).
Ho citato questo passo perché mi sembra chiarire la portata del passaggio al bipartitismo all'americana. Senza entrare nel problema della sua funzionalità attuale, è evidente che il meccanismo messo in moto rivela un ulteriore processo di americanizzazione della società italiana, la quale, al momento, non è in condizione di elaborare un discorso politico alternativo e propone come nuovo un sistema di rappresentazioni omologato e funzionale al mondialismo.
«Molto correttamente, C. P. Otero nella introduzione alla mia raccolta di saggi, "Radical Priorities", ha scritto che il sistema totalitario di controllo della mente è molto meno efficace di quello democratico, poiché nei regimi totalitari la dottrina ufficiale strombazzata dagli intellettuali al servizio dello Stato è immediatamente identificabile come pura propaganda, questo di per sé aiuta la libertà di pensiero. Al contrario, il sistema democratico tende a limitare e a condizionare l’intero spettro del pensiero celando i propri obiettivi, che sono presupposti e mai asseriti esplicitamente». (Noam Chomsky: "Il potere dei media", Vallecchi, '94)
«Quando abbiamo invaso Panama, una nota a pie' di pagina del solito libro di storia, nessuno l’ha notato. Cose simili sono sempre accadute, eppure questa era molto diversa. Innanzi tutto, è necessario trovare un nuovo pretesto. Dopo la caduta del muro di Berlino nemmeno la persona più folle ha la possibilità di sostenere che abbiamo invaso Panama per difenderci dai Russi (in Italia, invece, nell'ultima campagna elettorale, Berlusconi basò la sua candidatura sul pericolo comunista, fidando sul riflesso condizionato che queste parole, usate per 50 anni dalla propaganda, avrebbero suscitato - N.d.R.). Dunque bisogna dire che dovevamo difenderci dall'arcimaniaco Noriega e dalle sue orde di narcotrafficanti. La seconda ragione della differenza rispetto all’epoca della guerra fredda l'ha chiarita Elliott Abrams, capo dello staff di Reagan che si occupava dell'America Latina. Egli ha sottolineato che questa era la prima volta in cinquant'anni che gli Stati Uniti erano riusciti ad intervenire direttamente in un Paese straniero senza doversi preoccupare di una eventuale reazione dei Russi. In altre parole, non c'era più alcun dissenso, e questo è un fatto molto importante. Ma a parte il mutamento dei pretesti, tutto procede esattamente come in passato» (N. Chomsky, ibidem).
«Nei settori a capitale intensivo, come l'agro-alimentare e il farmaceutico, il pubblico paga i costi mentre l'industria privata ne riceve i profitti. (...) L'idea di fondo è che si deve riuscire a monopolizzare interamente il futuro. (...) Con l'intervento dello Stato, l'industria privata americana potrà controllare il futuro nella medicina, nell'agricoltura ed in ogni altra cosa prodotta dalle bio-tecnologie. L'eufemismo usato per indicare questo sistema è: "capitalismo e libero mercato". (...) Qui si tratta di un sistema internazionale e questo è ciò che sta dietro alla politica detta della privatizzazione». (N. Chomsky, ibidem, pp. 134-135).
«Secondo il significato del termine in uso nella battaglia ideologica, cioè il significato politicamente corretto, una società è democratica nella misura in cui è governata da elementi subalterni agli interessi degli investitori americani». (N. Chomsky, ibidem, pag. 119).
«Nel novembre '89, nell'Honduras ci sono state le elezioni politiche che il presidente George Bush ha lodato come un esempio incoraggiante di democrazia nel nostro emisfero. Di fatto, egli esprimeva esattamente ciò che per democrazia si intende nel senso politicamente corretto. Infatti, in Honduras ci furono elezioni con due candidati. Uno era un ricco industriale, l'altro un ricco proprietario terriero. Essi avevano esattamente la stessa posizione politica. Per essere più precisi, non avevano alcuna politica, per la semplice ragione che il governo dell'Honduras è di fatto nelle mani dei militari e dei potentati economici, i quali a loro volta sono sotto il controllo del governo statunitense». (N. Chomsky, ibidem, pag. 119).
«Negli USA i miliardari stanno irrompendo in prima persona nella politica perché ormai l'elezione viene acquistata grazie al denaro investito in costose campagne pubblicitarie, indifferentemente dall’appoggio di apparati partitici». (...) «Berlusconi è l'impresa in prima persona che si propone di governare, ma in Italia già Ciampi, un banchiere, aveva impersonato questa tendenza (con buona pace di chi, anche tra i "progressisti", si era accodato a quell'esperimento), e lo stesso Romano Prodi è stato lanciato come capo di centrosinistra, enfatizzando la sua caratteristica di manager. È un passaggio ulteriore rispetto alla commistione tra affari e politica che già caratterizzava molti sistemi democratici, compresi gli USA (come testimoniato dalle recenti polemiche sugli investimenti finanziari dei coniugi Clinton). Berlusconi ha incarnato un esperimento pilota per questo nuovo capitalismo immateriale, tipico della terza rivoluzione industriale fondata sulle nuove tecnologie. (...) Si tratta quasi sempre di imprenditori e di managers d’azienda, talvolta docenti universitari, che superano ogni mediazione partitico-democratica e si affermano sulla scena politica grazie a cospicui investimenti, ad un uso massiccio e spregiudicato dei mass-media, ad un riferimento diretto agli elettori, in stile plebiscitario e carismatico, usando parole d'ordine semplici e demagogiche». (Fabio Giovannini: "Il pensiero unico nell'Era dei Berlusconi", Synergon Ed., Via Frassinago, 27 - 40123 Bologna, Gennaio '96).

Conclusione

Non credo ci sia molto da aggiungere, salvo alcune considerazioni finali. Ci troviamo nel pieno di un processo di colonizzazione, esploso sotto i nostri occhi sotto forma di «tangentopoli» che ha spazzato una vecchia classe dirigente, fra cui i più colpiti risultano coloro che si sono opposti (Craxi ed Andreotti) alle privatizzazioni. La scelta di Prodi a capo della coalizione detta dell'Ulivo, sancisce, ai nostri occhi, l'ampia disponibilità a privatizzare, come capo del governo, già ampiamente dimostrata con la svendita ai potentati finanziari mondialisti di alcuni gioielli (Credit e Comit) di proprietà del popolo italiano. Tra parentesi, di fronte agli stessi ricatti, espressi dagli stessi potentati in conseguenza della crisi del 1989, generatasi, vedi caso, negli USA, noi reagiamo ribellandoci.
Oggi, il popolo italiano è chiamato, superfluo a dirsi, a scegliere fra un centrosinistra che rappresenta con lampante evidenza la sommatoria di interessi finanziari di diversa provenienza, ma sempre finalizzati alla tutela (di tipo usuraio), degli investimenti finanziari non produttivi, ove il guadagno si auto-alimenta attraverso operazioni di vario genere, quasi sempre estranee alle autentiche capacità di creare ricchezza concreta, ma basate sullo sfruttamento nel futuro, delle popolazioni e dei ceti più deboli; ed un centrodestra incentrato sul partito-azienda, che utilizza i media secondo la tecnica ampiamente collaudata del «marketing» consumista. Anche in questo caso, l’uomo in quanto tale non esiste. Il marketing è una finzione che sottomette l’uomo alle esigenze del mercato.
Al momento, non vi sono alternative, anche perché il potere mondialista si sostanzia proprio di queste lotte per il potere locale (l'Italia come l'Honduras). Immettersi in una delle compagini, vuol dire conseguentemente, entrare in una dinamica distruttiva perché la logica che sovraintende i due schieramenti è inevitabilmente anti-politica, negatrice dei valori umani che invece fanno parte del nostro patrimonio storico.
Ringraziamo la situazione attuale che ci permette di fotografare senza scherni protettivi il vero livello di abbruttimento massificatorio cui siamo giunti contro il quale non può che indirizzarsi una linea politica autenticamente antagonista.

Giorgio Vitali

 

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