da "AURORA" n° 34 (Aprile - Maggio 1996)

QUESTIONI DELLA SINISTRA

Le tante anime della Sinistra

Enrico Landolfi

Proprio mentre compiliamo il presente articolo succede questo: il segretario del Partito Democratico della Sinistra, Massimo D'Alema, dichiara urbi et orbi che, dopo la vittoriosa prova elettorale dell'aprile, gli sforzi suoi e della Quercia tutta saranno diretti a creare le condizioni per la formazione del grande partito unificato della Sinistra. Lodevolissimo proposito che però, a nostro sommesso avviso, ha bisogno di essere messo con i piedi per terra. Come? Individuando, per esempio, tutti gli elementi del problema; e su di essi concentrando la necessaria attenzione onde coglierne anche gli aspetti critici: le difficoltà ad essi connesse, qualche dato di astrattezza, la necessaria riflessione sulla esigenza delle fasi intermedie e dei tempi indispensabili per avviare potenzialità e tendenzialità verso il pieno della concretezza. D'Alema è venuto in evidenza in questi quasi due anni della sua leadership come un realista con la testa ben piantata sul collo e con l'occhio fisso al risultato. Con queste caratteristiche è passato di successo in successo rovesciando come un guanto, e nel suo esatto contrario, una situazione disastrosa per la Sinistra e per i suoi alleati cattolici e laici del Centro, con il cartello delle Destre che dopo le elezioni politiche generali e quelle europee celebrava i suoi trionfi e sembrava pronto e attrezzatissimo per una marcia trionfale nelle istituzioni, nella società civile, nel mondo della produzione, nel senso comune dei cittadini, negli strumenti pubblici e privati dove si elabora una esaustiva egemonia culturale. Ecco perché siamo persuasi che egli, nel pensare e nel lanciare la strategia della unificazione della Sinistra -della quale giustamente da una lettura in chiave federativa- ha tenuto presente le questioni che si aprono in connessione ai vari aspetti del progetto.
Adesso qualche nostra considerazione. Noi riteniamo che a relativamente breve scadenza sarà un fatto l'aggregazione di un primo blocco di forze della Sinistra, e precisamente del PDS, della Federazione Laburista di Valdo Spini, della Socialdemocrazia di Schietroma, dei Cristiano Sociali di Pierre Carniti e di alcuni «cani sciolti» più o meno importanti. Ciò perché risulta a noi l'esistenza di chiari accordi in proposito, pur se traspaiono malumori nel raggruppamento carnitiano che si ritiene trascurato dal grande alleato ancora allocato alle Botteghe Oscure in attesa di cambiare sede e, con essa, simbolo. Di ciò che si propongono i Comunisti Unitari di Famiano Crucianelli non sappiamo nulla, mentre tutto sappiamo dei "Socialisti Italiani" (meglio conosciuti come il "SI") di Boselli e di Del Turco i quali, stranamente, dopo una furiosa litigata con i pidiessini hanno ritenuto di poter fare del socialismo collocandosi nel «centro moderato e riformista» fondato dal Presidente Dini. I Verdi e la Rete sono in bilico fra prospettiva aggregatrice e approfondimento delle connotazioni proprie. Comunque nulla esclude che i diversi, i «contro», gli indecisi potrebbero in un secondo tempo venire in evidenza quale ulteriore materiale per la successiva ondata unificatoria, sempre che si riveli senza sbocchi la difficile impresa su cui insiste un movimento elitario di area socialista, la «Costituente aperta per il socialismo» -di cui è presidente il sen. Paolo Vittorelli e segretario il sen. Giuseppe Averardi, direttore di "Ragionamenti sui fatti e le immagini della storia", la rivista mensile intorno alla quale si sono riuniti i parlamentari del PSI e del PSDI non inquisiti per lasciare un loro messaggio rifondativo-, che insiste nel tentativo di creare un soggetto autonomo socialista non unificato con il PDS, ma ad esso alleato nell'ambito di una sinistra pluralista.
Ma l'On. D'Alema sa meglio di noi che il più arduo dei problemi che si trova a dover affrontare circa l'operazione di reductis ad unum nel quale lui è con la consueta tenacia impegnato si chiama Rifondazione Comunista. Essa recalcitra, non ne vuole neppure sentire parlare, allude sprezzantemente ad essa come una manovra egemonica della Quercia diretta, in primo luogo, a spezzare la marcia ascensionale dei neo-comunisti verso traguardi fastosi, al culmine dei quali potrebbe esserci il raggiungimento della parità rappresentativa fra i due «divorziati» del già-PCI o, addirittura, il sorpasso rifondazionista. Così, mentre il «quotidiano fondato da Antonio Gramsci», "l'Unità", si coinvolge senza soluzione di continuità nella visione monopartitica dalemiana ecco il suo carissimo nemico dirimpettaio, "Liberazione", cogliere ogni benché minima occasione per contestarne contenuti e forme. E poi c'è Fausto Bertinotti, il segretario della vittoria, anzi di più vittorie, che si batte come un leone contro i tentativi di integrazione ai livelli che gli competono. Alla trasmissione di Michele Santoro su RAI 3, "Tempo Reale", ha parlato chiaro. Si è perfino espresso, con il forbito eloquio che gli si conosce e riconosce, in punto di dottrina. Dicendo, anzitutto, che non esiste una sola sinistra, ce ne sono due: una moderata, filo-centrista, riformista socialdemocratica e liberaldemocratica, il PDS & Soci, appunto; un'altra antagonista, di classe, alternativa, movimentista. Le «DUE» possono -entro certi limiti e in rapporto a determinate situazioni emergenziali- anche allearsi, giammai però unificarsi, essendo destinate a battere strade assolutamente diverse e, anzi, divaricantesi. Di più: Rifondazione mai e poi mai si acconcerà a ritenere acquisita una volta per tutte la situazione maggioritaria di cui gode attualmente nel movimento operaio e nella sinistra in genere. Al fine di superarla scatenerà una intransigente campagna concorrenziale diretta a conquistarvi l'egemonia.
Noi auguriamo con tutto il cuore al leader pidiessino di ben riuscire nella realizzazione del suo divisamento unificatorio, magari elaborandone progetto e strategia in maniera tale da renderlo accettabile anche a chi, nella «Costituente aperta per il socialismo», pur essendo compattamente presente nella Sinistra, purtuttavia ritiene in PDS un partito in cui non sono ancora riunite tutte le condizioni necessarie e sufficienti che lo rendano idoneo a perseguire un disegno di totale confluenza delle forze che si richiamano al socialismo su di una piattaforma ideale comune in un partito comune. Ma, ciò detto, riteniamo non del tutto infondate le posizioni del leader di Rifondazione. Troppo grande, infatti, appare la distanza culturale, ideologica, politica, ideale che attualmente separa le due sinistre. Sia perché Rifondazione ha ormai scavalcato la cultura del vecchio PCI, con tutte le annesse e connesse suggestioni togliattiane e suggestività berlingueriane, sia perché il Partito Democratico della Sinistra nel pur meritorio intento di colmare lo iato che lo divideva dal socialismo europeo e di conseguire una alleanza stabile con il Centro -necessaria per battere la Destra- ha quanto meno dato la sensazione di spingersi oltre la quantità e qualità di revisionismo accettabile da ambienti non soltanto rifondazionisti ma anche suoi, o addirittura socialisti. Un certo riequilibrio posto in essere ovviamente da ambedue i tronconi existi sarebbe pertanto ineludibile ove si volesse proseguire nel tentativo di avviare un dialogo della lotta contro una destra combattiva e determinata pur dopo la sconfitta subita nelle urne dell'aprile.
Nel merito delle affermazioni del Bertinotti, noi pur positivamente influenzati dal discorso monopartitico del «deputato di Gallipoli», come lo definisce il rivale Occhetto, reputiamo che, in attesa che i fati si compiano, non ci si debba poi stracciarsi le vesti per l'attuale articolazione pluralistica della Sinistra. Riteniamo, piuttosto, più utile avvertire il segretario di Rifondazione che essa può essere una ricchezza per tutti e non un inciampo, non un campo di battaglia per uno scontro suicida all'interno delle avanguardie democratiche, popolari e progressiste alla sola condizione che venga svelenita mediante la liquidazione delle esasperazioni concorrenzialistiche, degli egoismi bottegai, degli eccessi nello spirito di «drapeau», senza, con ciò negare a nessuno il diritto di libera possibilità di espansione fondato, ecco il punto, non sulla rissa inferiore ma sulla emulazione creativa, sulla solidarietà che si conviene fra i combattenti di una stessa battaglia, sulla sottolineatura forte e convinta della urgenza di privilegiare più ciò che unisce che quanto divide. E sempre avendo presente l'importanza grande di tenere a disposizione dei naturali ceti di riferimento della Sinistra -il movimento operaio, le masse popolari, gli emarginati, gli sfruttati, la borghesia progressista, ecc.- due formazioni: quelle, giustappunto, di cui fa parola Fausto Bertinotti, che però ha il torto di «intuirle» in una chiave polemica, contestativa, talvolta, purtroppo, anche livorosa, mentre vanno «pensate» quali strumenti intercambiabili, fungibili, di lotta politica, alternativamente utilizzabili dalla classe lavoratrice a seconda della situazione, delle circostanze, delle strategie e tattiche dell'avversario, delle esigenze strategiche e tattiche della Sinistra. Insomma: marciare separati per meglio colpire uniti.
A nostro giudizio -manifestato in rapporto alla situazione politica dell'oggi- mentre il PDS esprime caratteristiche soprattutto di partito di governo, delle istituzioni, di riforme, di garanzia, Rifondazione è più connotata come partito che fa riferimento in primo luogo alla minuta civiltà popolare, alla fabbrica, al processo produttivo, al movimento delle masse, alla emarginazione sociale. E allora una moderata gara emulativa per il primato può anche andar bene, se non altro perché atta a provocare una permanente attenzione alla esigenza di ininterrottamente migliorarsi, adeguarsi, perfezionarsi. Può andar bene, ottimamente, magnificamente, purché mai venga superata la linea divisoria che fa da discrimine fra lo spirito di confronto, di dialogo, di costruttive relazioni dialettiche e il tunnel delle incomunicabilità, delle inconciliabilità, dei fondamentalismi di stampo khomeynista.
Ma la Sinistra del Duemila non può ormai poggiare solo su due pilastri ideologici e politici. Nei vecchi spazi occupati dalla destra missina c'è dal '94 una novità di cui, purtroppo, solo il Berlusconi ha capito l'enorme, dirompente importanza: il passaggio dall'era del neo-fascismo a quella del post-fascismo. Non l'ha capita soprattutto la Sinistra, il massimo partito della Sinistra, all'epoca governato da un Achille Occhetto che era il meno adatto a comprenderla per la cultura sostanzialmente neo-azionista che dall'Ottanta, magari anche da prima, domina il suo pensiero e il suo agire politico. Non è da escludere che il sorprendentemente più realista, moderno, spregiudicato (nel senso positivo del termine), innovatore D'Alema si sarebbe reso conto, ove già nel partito avesse ricoperto la massima responsabilità, della necessità di intervenire creativamente sulle contraddizioni, sulle novità, sui contenuti, sullo stile del processo innescato dall'esaurimento delle pratiche del superstite, superato, sterile nostalgismo fatto di ritualità morte, di fondamentalismi di baraccone, di liturgie da avanspettacolo. E di intervenirvi per contrastare da posizioni di sinistra sociale, popolare, politica, l'operazione teleguidata di Berlusconi solitariamente diretta a egemonizzare l'area vasta del post-fascismo mediante l'abile e poderoso utilizzo del suo rapporto personale con l'astro nascente (ma ora calante) Gianfranco Fini. Un'area, ecco ciò che Occhetto e occhettiani vari non hanno mai capito -ma neppure Bertinotti e Cossutta, dirigenti di un partito molto interessante, comunismo a parte, ma anche molto settario e fondamentalista- nella quale le pulsioni gramscianamente popolari-nazionali, anti-conservatrici, anti-moderate, anti-immobiliste, spiccatamenti sociali e socializzatrici non solo, specie a livello di base, né poche né irrilevanti. Solo che esse sono sempre state soffocate, messe in non cale, obliterate, stritolate da una tenaglia la cui branchia destra era rappresentata dai finiani e affini interni che incarnavano il neo-fascismo filo-capitalista e conservatore, e quella di sinistra che sparava nel mucchio demonizzando tutto e tutti, settariamente chiusa al dialogo con grande sollievo e soddisfazione dell'Italia moderata e conservatrice.
Alla fine, però, queste correnti popolari nazionali hanno cominciato mettere la testa fuori dall'uscio, e con la testa anche gli strumenti della battaglia politica. Questo periodico su cui pubblichiamo le nostre note, un mensile come "Tabula Rasa" diretto da Antonio Carli sono la prova provata di ciò che veniamo affermando. 
Ma non solo essi hanno esploso le loro cartucce contro la destra. Nelle urne di primavera, infatti, berlusconiani, finiani e frattaglie varie del Polo non hanno trovato tutti i voti che speravano di trovare, quelli che li avrebbero fatti vincere per chiudere definitivamente la partita con la Sinistra e perfino con la democrazia intesa nella sua versione non formale. Ma tutto ciò ormai non basta più, perché stanno venendo in evidenza i primi elementi, i primi aspetti di una sinistra popolare nazionale disposta ad allearsi con la Sinistra storica senza, però, esserne tributaria a livello dottrinario, elaborativo, escatologico.
Ma questo è un discorso sul quale potremo più distesamente e con più spazio a disposizione tranquillamente impegnarci prossimamente in queste e in altra sede. E, perché no?, in qualche sede della Sinistra più tradizionale, nella quale svolgiamo, fra qualche encomio e qualche sberleffo, fra qualche plauso e qualche occhiataccia la nostra onesta militanza.

Enrico Landolfi

 

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