da "AURORA" n° 35 (Giugno 1996)

IL MOVIMENTO

Il vecchio ed il nuovo

Carmelo Santonocito

Scusandomi con "Aurora" e con l'amico Luigi Costa per la discontinuità, nonostante le promesse, della mia collaborazione al nostro mensile, in occasione dell'opportuna ripubblicazione dei punti programmatici della Sinistra Nazionale, mi permetto di intervenire con alcune note propositive in relazione agli stessi.
Ferma restando, in linea generale, l'accettazione e la condivisione dei punti suddetti, anche in seguito a lunghe e vivaci discussioni prodottesi all'interno del nostro gruppo, ritengo opportuno, per quanto concerne il discorso sulla «ricomposizione di tutte le fratture interne al movimento socialista», ampliare la gamma dei soggetti presa in considerazione. A mio avviso, infatti, tre sono le problematiche che hanno determinato la suddivisione in fazioni, spesso l'una contro l'altra armate, nella storia del Socialismo: quella «nazionale», quella «social-rivoluzionaria» e quella della libertà. Fu in virtù dell'avvertita necessità di acquisire al Socialismo la «Nazione» che determinò la rottura del '14. Del resto, anche in considerazione della ben nota «guerra delle parole» sviluppatasi attorno a questi argomenti, occorre definire con chiarezza, onde evitare le possibili strumentalizzazioni, il significato dei termini che vengono utilizzati, ossia sottolineandone l'assoluta anteticità con le distorte interpretazioni borghesi che ad esse hanno conferito valenze negative rendendole sinonimo di militarismo, imperialismo, aggressività e razzismo. Occorre ancora riaffermare, poiché ciò è necessario, che l'unico «concetto di nazione» da noi ritenuto possibile è quello che riconosce, difende e promuove l'identità dei popoli, le loro tradizioni, la loro cultura, il loro stile di vita. Questa asserzione non può non essere valida per tutti; per ogni popolo che si riconosce quale «nazione», nel rispetto delle altre «nazioni»: specie laddove esso è chiamato alla lotta contro l'imperialismo e la prevaricazione altrui, contro tutti i tipi d'oppressione e sfruttamento, contro l'«omogeneizzazione» più o meno subdola. In questi frangenti deve essere presente chi, come noi, è impegnato in una analoga lotta per la libertà, per la difesa e la promozione delle singole identità nazionali.
Mi pare, comunque, riduttivo considerare unicamente questo pur fondamentale aspetto quale causa scatenante dell'eresia mussoliniana. Altre e non meno rilevanti concause contribuirono a quella «divaricazione» storica. Per costruire il «nuovo» occorre non sminuire né sottovalutare l'importanza dell'interpretazione «comunista» dal congresso di Livorno in poi. La necessità del «momento rivoluzionario» che, in quanto tale, prospettava una radicale rottura col riformismo socialista moderato e compromissorio al punto da rischiare l'omologazione e l'integrazione nel fronte opposto dei «nemici di classe», conferiscono alle scelte di Gramsci, Bombacci, Terracini e Bordiga un valore proporzionale alle profonde motivazioni che lo determinarono. Ciò va detto, ferme restando tutte le possibili e giustificate critiche alla teoria marxiana ed alle degenerazioni del marxismo realizzato. Ma occorre, a mio avviso, tenere nella dovuta considerazione e nel dovuto rispetto le motivazioni che erano alla base dell'esperienza comunista, con particolare riguardo alla polemica antiriformista.
Oggi possiamo, dopo il «terremoto» del 1989, considerare di fatto conclusa quell'esperienza anche se, su di essa, continuano le dispute di parte. Al di là di questo, però, nella valutazione politica e storica, è importante tenere ben presente la costruzione teorica che fu alla base di quell'esperienza che non può, però, essere disgiunta dalla necessità di una maggiore libertà che gran parte di coloro che agirono in quel frangente storico avvertivano. Le varie svolte social-democratiche avvenute in paesi diversi e in momenti diversi, hanno alla base questa necessità e sono il tentativo, certo tardivo ma non per questo meno importante di conciliare libertà e giustizia sociale. È ben vero che oggi, di fatto, le social-democrazie sono evolute in variante edulcorata, e neppure troppo, del capitalismo per il quale costituiscono un comodo ed utile paravento «socialisteggiante», ma, qui occorre sottolineare, come sopra ribadito, la necessità di prendere in considerazione, per quanto ci riguarda, non tanto le realizzazioni pratiche e le degenerazioni politiche ed umane, ma le motivazioni «ideali» che ne erano alla base.
La ricostruzione dell'unità del Socialismo passa attraverso un esame obiettivo ed onesto delle idealità e delle motivazioni che determinarono queste vicende storiche che non possono certo essere taciute e cancellate, non solo in quanto patrimonio considerevole del Socialismo, ma stante anche la loro utilità nella costruzione delle «nuove sintesi».
Per quanto riguarda, in altro punto, il discorso di «un'Europa unita da Lisbona a Vladivostok» e quello successivo della volontaria integrazione dei popoli in «blocchi sovranazionali storicamente e culturalmente omogenei», mi pare che dovrebbe essere presa in considerazione, in primo luogo, l'area mediterranea. Nonostante le apparenti diversità, esasperate dalla pseudo cultura mass-mediologica, le due sponde del Mediterraneo sono molto più vicine di quanto non appaia. Non bisogna infatti dimenticare che il monopolio culturale-informativo riesce a distorcere diametralmente la realtà, contribuendo a mantenere disunite nazioni dall'unità antica come quelle arabe, mentre, nel contempo si dispera sulle sorti di altri Stati la cui unità artificiosa è universalmente nota e la dissoluzione della stessa del tutto naturale. Non sarebbe errato, a mio avviso, ampliare anche questo punto sottolineando una realtà «mediterranea» che, oltrettutto, è l'unica possibilità per le regioni meridionali dell'Europa (Meridione italiano compreso) di uscire dallo stato di prostrazione economica aiutando, nel contempo, i popoli del Nord Africa ad affrancarsi dal neo-colonialismo.
Ancora una nota sull'interessante trattazione dell'amico Vito Errico («Posizioni chiare, da sinistra», "Aurora" n° 34, pag. 2-3). Innanzitutto va detto che concordo, in linea di massima, con la maggioranza dei concetti e delle sequenze logiche esposte. Mi pare, però, di evincere che si ipotizzi che Sinistra Nazionale sia costituita quasi esclusivamente da (come definirli?) ex-fascisti. Il che non è. Anch'io provengo da quell'area, e ne ho fatto pubblica ammenda sul n° 32 di "Aurora". È ben vero che «noi» siamo stati «di sinistra anche quando eravamo neo-fascisti» ecc.. Ma è anche vero che Sinistra Nazionale non è, non può essere, non vuole, né deve essere una barchetta carica di ex-fascisti o come si vogliono definire. Sinistra Nazionale è oggi, di fatto, almeno per quanto mi riguarda, un movimento serio, nuovo, in fase di costruzione, i cui componenti in parte provengono dalle varie aree politiche, quindi anche dalla sinistra, e in parte, la maggioranza, ora soltanto si affacciano alla politica attratti da un progetto culturale, che ne sta alla base, unico nel suo genere. La sua «novità», oltreché nell'essenza culturale e storica sta soprattutto nella sua «serietà».
Nel corso degli anni abbiamo avuto decine di esempi di gruppuscoli che militavano a destra arzigogolandosi a sinistra, di «ponti» nazi-marxisti o di mostricciattoli nazional-bolscevici. Noi non siamo un'accozzaglia di migratori alla deriva. Noi siamo una piccola -per ora- forza politica, in costruzione su un progetto culturale e sociale serio. La cautela e la lentezza delle azioni e delle iniziative è ulteriore indice di serietà.
La varia provenienza dei nostri militanti è garanzia di equilibrio, le discussioni e, perché no, le polemiche sono prova di vivacità culturale e dimostrano che l'omogenea costruzione prosegue. Il nostro essere di sinistra non è in discussione, ma è nuovo. È nuovo perché non siamo influenzati da nessun tipo di bigottismo e siamo aperti al confronto con tutte le forze della Sinistra. Ciascuno di noi certamente si porta dentro i travagli e le esperienze vissute, ma l'obiettivo deve essere la storicizzazione totale, quindi la consegna, a livello culturale del Fascismo, del vecchio modello di Socialismo e, come da me proposto più sopra, del Comunismo alle analisi degli storici. Occorre prendere atto della sempre più scarsa influenza che queste temperie storiche avranno nel dibattito politico ed anche l'unico modo per trarre da esse gli insegnamenti, le idealità e le potenzialità positive che servono per costruire il futuro.

Carmelo Santonocito

 

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