da "AURORA" n° 36 (Settembre 1996)

L'INTERVENTO

Chi ha strozzato la politica

Agos Presciuttini

Come si sa, il presidente Scalfaro ha detto, in occasione di una recente celebrazione ufficiale, che non esistono oggi (diversamente dal '46) le condizioni storiche per una Assemblea costituente. Opinione che può essere legittimamente espressa o criticata da ogni cittadino. E il capo dello Stato è un cittadino. Ma poteva tale carica esternare quell'opinione pubblicamente ed anzi nel corso di una delle sue funzioni ufficiali? Poteva farlo senza scadere al livello di un comune gregario di partito? O senza esporsi alla taccia di voler attribuire, alla propria opinione personale, il peso di un atto della massima magistratura della Repubblica? Comunque l'ha fatto e tanto vale considerarlo un problema suo. Ben più importanti del quale sono i problemi creati a noi italiani tutti dalla pazza politica dei più recenti decenni. Problemi che (a proposito di «condizioni storiche») rendono la politica d'oggi una politica da dopoguerra.
Ma cos'è dunque la politica? La Costituzione vigente si limita a presupporne il concetto all'art. 49, che sancisce il diritto dei cittadini ad associarsi in partiti per determinare la politica nazionale. Partendo da questa formulazione se ne potrebbe discutere all'infinito. Per brevità poniamo che politica significhi dialettica (a livello di partiti) e azione pratica (a livello di istituzioni pubbliche) dell'organizzazione e amministrazione dello Stato, allo scopo di tutelare diritti, interessi legittimi e benessere dei cittadini: mediante l'uso più conveniente del denaro a loro addebitato dal fisco e cercando di acquisirne, oltre ai soldi, anche il consenso. Donde ricerca dell'equilibrio tra sacrifici imposti ai contribuenti e benefici che si dovrebbero assicurare loro.
I metodi di inseguire il consenso potrebbero essere schematizzati in due tipi. Uno è quello sano di manovrare il pubblico denaro per promuovere la ricchezza nazionale mediante legislazione saggia, amministrazione onesta ed efficiente, infrastrutture e servizi al passo con i tempi. L'altro metodo è quello insano (ma più facile) di barattare il consenso con permissivismo, clientelismo e benessere consumistico, promuovendoli mediante un uso disinvolto e spregiudicato dei proventi delle imposte, che vengono così distolti dalle loro funzioni naturali. Sennonché la pressione fiscale non può crescere indefinitamente, al contrario di permissivismo, clientelismo e consumismo, i quali, come le droghe vere e proprie, esigono dosi crescenti.
Di conseguenza la politica del consenso facile si spinge a dilatare progressivamente la spesa oltre i limiti della disponibilità naturale. Il che accade specie quando i partiti si contendono il consenso con ogni mezzo, fino alla corruzione-concussione ed altre ruberie. Che lo Stato spenda più di quanto ha, può sembrare impossibile, ma una soluzione (insana) c'è. Si tratta del mezzo usato per finanziare le guerre: l'indebitamento pubblico. Che vuol dire ottenere, se possibile, prestiti esteri e/o attirare risparmio interno. Cioè denaro che va in ogni caso restituito, con l'aggiunta degli interessi. Per pagare i quali bisognerà ridurre la spesa tagliando i servizi pubblici e/o aumentare la pressione fiscale. Oppure -e anche- fare nuovi debiti, con ciò condannandoli a crescere per autopropulsione, senza fine.
È precisamente in tal modo che è stato condotto il nostro paese negli ultimi decenni, quelli appunto del centrosinistra e del compromesso storico. Con l'effetto, finora, di oltre due milioni di miliardi (in autocrescita) di debito pubblico e di circa duecentomila miliardi di interessi. Questi anziché investiti vengono bruciati senza contropartita e per di più ingigantiscono ogni anno il debito maturato, accrescendo ulteriormente il peso degli interessi. E così via, in una scalata vertiginosa di oneri crescenti. Il che ha costretto i governi degli ultimi anni a cercar di rallentarne la dinamica a forza di «manovrine». Ovviamente a spese dei contribuenti non evasori e degli utenti dei pubblici servizi. Ben altro occorrerà per sanare sul serio il tremendo dissesto. Il senso del quale non sta interamente nell'astronomia delle cifre, perché comporta per le attività produttive (la vitalità della Nazione) eccessivi tassi di interesse, costi crescenti, inflazione. Ossia economia asfittica, disoccupazione, impoverimento strutturale, degrado sociale. Donde politica strozzata dagli affanni conseguenti e resa inane da impotenza finanziaria.
Partiti sindacati e istituzioni ci hanno insomma trascinato in una situazione che somiglia maledettamente alle conseguenze economiche finanziarie e sociali di una guerra disastrosa; per questi aspetti è addirittura più grave. Quanti anni e affanni ci vorranno per uscirne? I disastri causati dalla Seconda Guerra mondiale poterono essere sanati dall'Italia in tempi insperatamente brevi. Bastarono infatti quattro o cinque anni per riportare gli indicatori nazionali ai livelli d'anteguerra, poi largamente superati fino al «miracolo italiano» degli Anni Sessanta. Volesse il cielo che, al di là dei parametri di Maastricht, ne uscissimo ora in modi analoghi. Purtroppo però nessun esperto azzarda previsioni del genere. Si teme anzi che le conseguenze ricadranno anche sulle prossime generazioni. Intanto le «condizioni storiche» inducono ogni parte a sostenere l'impellenza di profonde riforme strutturali, che una apposita assemblea ri-costituente non potrebbe non realizzare. Mentre commissioni e dibattiti parlamentari, succedutisi in un ventennio, non hanno cavato un ragno dal buco.
Così stando le condizioni d'Italia e le prospettive che ne appaiono, sorprende che gli schieramenti politici si siano tanto sbracciati il 21 aprile per conquistare il cosiddetto potere. Sorprende ancor di più la saggezza che ha guidato trentacinque milioni di elettori a concordare misteriosamente, ciascuno isolato nella sua cabina elettorale, di conferire la diretta gestione dei problemi allo schieramento parente più prossimo di quello colpevole. E nel contempo di assegnare il non meno importante ruolo dell'opposizione alla forza politica presumibilmente più dotata di senso di responsabilità (almeno in ragione della sua sensibilità ai valori legati al sentimento nazionale).

Agos Presciuttini

 

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