da "AURORA" n° 37 (Ottobre - Dicembre 1996)

ECONOMIA E SOCIETÀ

 

La manovra finanziaria:

un cappio al collo per i lavoratori

 

Giovanni Luigi Manco

 

Che la finanziaria di quest'anno sia più popolare rispetto alle precedenti, nel senso che salvaguarda le categorie più deboli è una pia illusione. I 62.500 miliardi della Finanziaria addizionati ai 16.500 della cosiddetta manovrina di luglio, assommano a 80.000 miliardi destinati a pagare gli interessi per i titoli di Stato incettati quasi interamente da banche, industrie, speculatori ed evasori.

Un provvedimento così pesante sulle spalle dei lavoratori non si ricordava dal 1992, dai tempi del governo Amato. In pratica la famiglia con uno stipendio lordo superiore a 20 milioni annui, si vedrà decurtare il reddito di 3 milioni, di cui uno a titolo di tributi. Ci vuole veramente una gran faccia tosta per includere tra i soggetti non deboli chi presenta un «modello 101 » con un introito lordo di poco superiore ai 20 milioni.

È vero che nella manovra si comprende una addizionale Irpef «una tantum» per l'Europa, ma viste le esperienze precedenti c'è poco da fidarsi sul suo carattere di temporaneità, e comunque il resto di tutte le altre misure sono chiaramente strutturali, tali da ripresentarsi, insieme ad altre (c'è da giurarci), negli anni a venire.

L'addizionale Irpef graverà soprattutto su lavoratori e pensionati che non tossono sfuggire al fisco. Su un salario-pensione di 1.500.000 -2.000.000, l'imposta si aggirerà sulle 300.000-500.000 lire.

L'espediente di Maastricht (ammesso e non concesso che sia condivisibile il coordinamento dei potentati d'Europa, la moneta unica, l'unità dei grandi capitali sotto il controllo del F.M.I. e della BundesBank, sia per rispondere alla sfida della globalizzazione, sia per perpetuare e aggravare il divario tra paesi ricchi e paesi poveri, con i prevedibili disastri per l'intero genere umano), usato dal governo per giustificare le misure antipopolari non regge.

Non è solo l'ex-ministro degli esteri Martino ad essere euro-scettico ma lo è perfino Fazio, il governatore della Banca d'Italia, che così si esprime in un'intervista rilasciata a "la Repubblica" il 10 luglio: «I parametri di Maastricht? L'unico paese che li rispetta sono gli USA (...) se l'Italia non aderisse all'Unione monetaria europea ma rispettasse comunque i parametri del 3% del PIL non ci sarebbe nessun effetto negativo per l'Italia. L'importante è avere i conti in ordine».

Bertinotti è di tutt'altro avviso. Dopo aver marciato alla testa di cortei contro Maastricht si è scoperto un oculato gestore del capitalismo internazionale. È stata la CGIL a tenere al riparo dalla manovra, pensioni e sanità, ma il merito se l'è preso tutto Rifondazione Comunista e nessuno l'ha contraddetto per conservargli credibilità e far passare tutto il resto. Il governo ha comunque stabilito il divieto di detrarre dalle imposte le prime 250.000 lire spese per la sanità. In questo panorama la recessione non è purtroppo evitabile (già quest'anno l'incremento del PIL dello 0,8% è risultato molto inferiore al 2,4% previsto), soprattutto se si pensa agli effetti del blocco dal «turn-over> all'interno della Pubblica Amministrazione, vale a dire il mancato rimpiazzo della forza lavoro in uscita; all'elevazione del numero degli alunni per classe scolastica comportante la perdita di 20.000 posti di lavoro; la riduzione del 10% sulla corresponsione delle ore di straordinariato per tre anni.

Il "Patto per il lavoro", assicura comunque il governo, creerà nuovi posti di lavoro.

Ma sarà vero? Vediamo:

La contrattazione regionale, lasciando alle parti di stabilire la flessibilità salariale, reintroduce di soppiatto le «gabbie salariali».

La legalizzazione del part-time per i lavoratori del pubblico impiego serve solo a dirottare eventuali rivendicazioni economiche sulla ricerca di un secondo lavoro (strana maniera di fondare la pace sociale).

Lavoro interinale consistente nella legalizzazione dell'infamante pratica del caporalato. Si da il potere ad agenzie autorizzate di assumere disoccupati e di «affittarli» ad altre imprese.

Estensione della cassa integrazione per i dipendenti dell'Anas, delle Ferrovie, delle Poste.

E fatto grave è che l'accettazione di sacrifici, di misure antipopolari, con l'incoraggiamento della sinistra governativa, non serve a sanare un sistema politico che perde acqua da tutte le parti, serve più che altro a indebolire la situazione dei ceti più deboli, a fiaccare la «speranza», le energie rivoluzionarie e, per converso, a far alzare la testa a quell'1% di italiani che da soli possiedono il 31% di tutte le ricchezze nazionali e a spostare a favore del padronato i rapporti di forza tra le classi. C'è poco da fidarsi di chi gestisce il potere.

Con ciò non si vuol dire che un governo di sinistra equivale a uno di destra. Prodi, sia pure obtorto collo, data la sua estrazione politica, non può ignorare del tutto gli interessi del suo blocco sociale di riferimento nel quale rientrano i lavoratori penalizzati, nelle condizioni e nei diritti, dalla ristrutturazione capitalistica.

La borghesia esigerebbe maggiori sacrifici, e non vi ha rinunciato, aspettando solo il momento opportuno per farsi sentire in modo più pesante. Corteggiando il centrosinistra sa che finirà col provocare disorientamento nei lavoratori e lo svuotamento delle loro organizzazioni, finendo col ricostituire un governo di centrodestra a lei più congeniale. Con un buon governo di sinistra, non annacquato da formazioni conservatrici sarebbe diverso ma la sinistra governativa si illude se immagina di poter conservare i consensi ottenuti agitando lo spettro della destra. Abbiamo già sperimentato che ciò non è stato sufficiente in Francia, Spagna e Inghilterra.

Solo tenendo uniti i lavoratori, nello spirito di classe, resistendo allo smantellamento dello Stato sociale e, anzi, perfezionandolo, rendendolo più funzionale, de-burocratizzandolo e liberandolo da Enti e spese superflue, la demagogia di destra avrà serie difficoltà ad attecchire.

A chi non si arrende restano come armi di lotta i sindacati, quelli autonomi dai partiti, non addomesticati dalla vittoria mondiale del capitalismo in organi che mercanteggiano le rivendicazioni proletarie con il mantenimento della pace sociale che assume il significato di abdicazione e resa al potere borghese.

I lavoratori devono mostrarsi capaci di muoversi autonomamente con i mezzi e i programmi di classe contro i «poteri forti» e la politica antiproletaria del governo che resta inerte a fronte dei licenziamenti comminati dalla Fiat e dalle altre grandi industrie sovvenzionate dallo Stato.

 

Giovanni Luigi Manco

 

 

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