da "AURORA" n° 37 (Ottobre - Dicembre 1996)
20 Settembre Gaspare Ferretti Fantauzzi
L'oblio Per il tacito accordo catto-massonico, anche quest'anno il 20 Settembre è passato sotto silenzio. Né erano da aspettarsi, dagli uomini di questo regime, guizzi di sincera passione italica ed energici richiami a quel pensiero nazionale unitario alimentatosi per secoli nell'animo della nostra Gente migliore. Meglio il silenzio che l'insulsa retorica massonica su Porta Pia e l'ipocrisia vaticana che apprezzerebbe come «Provvidenziale» l'unità d'Italia e la fine del potere temporale dei papi. L'uso del termine «Provvidenza», ricco come è di implicazioni teologiche, dovrebbe essere più cauto ed appropriato da parte di certi ambienti, perché come a taluno andava istintivamente la mano alla pistola al solo sentir parlare di intellettuali, noi siamo pervasi da analoga spontaneità al solo accenno di cose provvidenziali. Che ne è stato dell'«Uomo della Provvidenza»? Transeat. Per procedere oltre correttamente,- precisiamo subito che la Religione Cattolica, in quanto comunità di fedeli e «popolo di Dio», non costituisce oggetto delle presenti note, le quali si limitano al solo esame dell'agire politico del Vaticano e del Cristianesimo in generale, in sede storica. Sostiene il cattolico Lodoli: «A differenza di ogni altra confessione cristiana e di ogni altra religione, la Chiesa Romana è inoltre una potenza fra le potenze. Ha aspirazioni di dominio, di controllo, ha ambizioni, forse nostalgie di potere temporale, di guelfismo, di direzione e influenza determinante nel maggior numero possibile di situazioni. E strutturata in modo d'usare tradizionalmente anche i mezzi di Cesare per affermare e diffondere la parola di Dio. (...) Malgrado numerosi inviti e qualche ricorrente tentazione a tornare alle origini, giudica tuttora indispensabili alla sua azione sovranità e dicasteri, diplomazia e codici, burocrazia e persino residui di forze armate, alleanze e trattati e protocolli ed altri metodi propri ai potenti di questa terra». (1) Ne consegue che, all'interno della Chiesa, è impossibile una netta distinzione fra gli aspetti giuridico-politico-istituzionali e quelli di origine divina. L'intrusione nel «temporale» è così codificata: «(...) compete alla Chiesa il diritto e il dovere non solo di tutelare i princìpi dell'ordine politico e religioso, ma anche di intervenire autoritativamente nella sfera dell'Ordine temporale quando si tratta di giudicare dell'applicazione di questi princìpi ai casi concreti». (2) È da ritenere pertanto che la persistente commistione fra contingente e trascendente non soltanto non giovi affatto alla propagazione della fede del Cristo di Dio, ma che le arrechi bensì grave nocumento. Infatti, mentre la Chiesa cerca adesioni e vocazioni in lontani continenti e i partiti politici sono erosi da progressiva perdita di consensi, la Nazione patisce l'onta di una minacciata secessione, a fronte della quale quella stessa stampa, cattolica e non, che qualche anno addietro aveva registrato e amplificato tutte le insinuazioni velenose intorno alla «mala unità», al «Risorgimento, come operazione brigantesca», al «Tricolore massonico e straccetto privo di dignità storica, inno nazionale retorico e frivolo e, quindi, da sostituire», al «brigantaggio del Sud come patriottica manifestazione d'indipendenza», nonché la propalazione dell'infelice asserto del sedicente storico inglese D. M. Smith per il quale il Risorgimento costituirebbe «(...) in realtà un capitolo della storia dell'imperialismo inglese», ecc., finge ora indignazione e mal celato stupore. Cialtroni. A Curtatone, a Milano, a Brescia, a Ponza, sul Gianicolo, a Mentana, a Calatafini, a Porta Pia, non c'erano massoni ma il fior fiore della gioventù italiana. Nondimeno ciò nulla toglie alla verità storica che attesta il Risorgimento essere stato realizzato -segnatamente per i primi moti da ristrette minoranze, le quali rischiarono la vita per dare compimento all'evento più importante della nostra storia dopo 1.500 anni. Il 20 Settembre, infatti, comportò la ricostituzione della unità territoriale italiana spezzatasi nel lontano 568 d.C., in conseguenza dell'invasione longobarda. Soltanto il fascismo, attraverso un'appropriata azione educatrice, una diffusa socialità, la conquista dell'impero, ecc., tenterà con successo una moderata nazionalizzazione delle masse. La Chiesa, fondata sulla Rivelazione e su princìpi dogmatici ed assoluti, nonché propugnatrice dello Stato di origine divina, non potendo né tenere in non cale il Risorgimento, né, in quanto movimento politico che prendeva le mosse dal liberalismo, fautore della libertà di coscienza dei cittadini e dell'autonomia dello Stato di costituzione umana, potendolo favorire, lo osteggiò con tutte le forze, avvalendosi anche di quelle straniere. Dopo circa un secolo, potè essere persino immaginata la bugiarda equazione del Risorgimento uguale alla resistenza che -salvo rarissime eccezioni- fu voluta e attuata da quanti sciaguratamente propiziarono la sconfitta della Nazione e, successivamente, il suo asservimento ad un nemico, che aveva preteso, con bestiale tracotanza, la resa senza condizioni e la sovranità limitata.
La Patria degli Italiani Al di là delle mistifiicazioni e dei compromessi di cui era aggrovigliato l'intreccio dei problemi politici, religiosi, diplomatici e militari che costituivano la «questione» romana, con il 20 Settembre gli Italiani ebbero finalmente la loro Patria, la quale, senza Roma, sarebbe stata una Patria dimezzata. La patria però non è soltanto il luogo in cui siamo nati, ma è anche quella dei Palestinesi, dei cattolici Nord-Irlandesi, dei Ceceni, dei Cubani, degli Iraniani, dei popoli Sudamericani; la patria è dovunque vi sia virile ribellione contro l'oppressione e dovunque per essa si combatta e si muoia. Sintesi del pensiero, del lavoro e dei sacrifici di quanti per essa vissero ed agirono conferendole un suo proprio bagaglio di civiltà e di tradizioni, la patria è carnalmente parte di noi stessi. Il patriottismo, pertanto, è un'attitudine spontanea e irreversibile; opporvisi o sottrarvisi è contro natura, poiché la patria, in quanto anima che s'incarna nella nazione, costituisce un quid di essenzialmente spirituale, ma che pulsa anche nell'intelletto, nel sangue e nel suolo; chi non avverte quel palpito è un infelice, gli manca molto, è spiritualmente handicappato: privo della dimensione etica dell'esistenza e della storia, non comprenderà mai la subordinazione necessaria della materia allo spirito e dell'uomo ai valori più alti e perenni che rappresentano il terminus ad quem ove soltanto è dato attingere una più ampia misura di verità e di religiosità. E, quantunque la patria possa divenire -come l'Italia attuale- una «Patria difficile», ad essa nondimeno deve consacrarsi il nostro amore e la nostra fedeltà. In essa sono confisse le nostre stesse radici che nessun evento potrà estirpare. Ad essa ci offrimmo nei momenti più dolorosi e drammatici della sua storia e la sorte volle che le donassimo i nostri figli ai quali abbiamo insegnato a «portare ciascuno la sua pietra al cantiere», perché fosse più libera, più saggia e più forte. Ciò abbiamo fatto, pur col cuore ricolmo di sterminata tristezza nel vederli crescere in un contesto etico-culturale neo-guelfo ottusamente subalterno a mode, e a vuoti stili di vita stranieri. Chi pensa che l'amor patrio porti fatalmente al nazionalismo o all'avversione verso altri popoli è in errore, in primo luogo perché trattasi di un sentimento semplice, disadorno e naturalmente rivolto al bene, in secondo luogo, perché il nazionalismo vanifica e dissolve ogni concezione universalistica della vita e della storia. È noto, per altro, che l'alleanza del fascismo col nazionalismo ebbe effetti esiziali in ordine allo sviluppo rivoluzionario di quel grande movimento di popolo. I veri fascisti, sebbene portatori di profondo senso della nazionalità, non furono e non saranno mai nazionalisti. Il trinomio «Dio-Patria-Famiglia», origine di deleterie commistioni e di comodi alibi, si spezzò irrimediabilmente quando Dio se ne andò, per così dire, in montagna e non proprio per una salutare escursione. Come non rendersi conto che l'allearsi con le democrazie pluto-massoniche, le quali asserivano «(...) che non può esistere alcun Dio inviolabile, alcun limite inoltrepassabile, alcuna struttura, legge, ordinamento immutabile» (3), avrebbe condotto alla dissoluzione di ogni più alto vivere e sentire? Nel più profondo rispetto per ogni religione e nella doverosa salvaguardia dell'istituto familiare, a nostro avviso, quel trinomio avrebbe dovuto essere sostituito col più appropriato e realistico motto «la patria prima di tutto, la patria sopra tutto». La fedeltà -che è più forte del fuoco- non ammette equivoci e dualismi. Rousseau affermò non essere possibile una equilibrata politica negli Stati cristiani a causa della duplice obbedienza cui sono costretti i cittadini, la quale è fonte di quelle ambivalenze e incoerenze che il Cristianesimo introduce nell'organizzazione sociale. Pietro Scoppola, coerentemente ammette: «Non è facile vivere in un atteggiamento di impegno e di distacco insieme, di pieno coinvolgimento nelle dimensioni laiche della politica e della professione, al tempo stesso, di interiore libertà cristiana». (4) A lungo andare, il precario rapporto tra fede religiosa e la fedeltà alla patria viene irrimediabilmente compromesso. L'auspicabile instaurazione di nuovi rapporti tra entità tanto diverse quali sono appunto lo Stato e la Chiesa, destinati ad agire, per loro natura, su piani distinti e separati, è opera quanto mai difficile. Oggi sic stantibus rebus, impossibile. Non v'è dubbio tuttavia che il sentimento religioso possa informare di sé le leggi e i costumi dei popoli e che ben intese religioni abbiano svolto nella storia un ruolo efficace di connessione politica e di stabilità sociale. Ma ciò deve avvenire in un contesto etico pervaso di chiarezza e di lealtà, anche la patria essendo sacra e sacro essendo il dovere di difenderla. Debito morale quest'ultimo che ben si accorda col Comandamento cristiano «onora il padre e la madre». La fedeltà quindi è l'elemento spirituale essenziale perché la patria viva. Una fedeltà che, per gli Italiani, viene da molto lontano: mentre andava esaurendosi il principio medievale della monarchia universale, gradualmente albeggia e si afferma nella coscienza dei veri Italiani -anche se non sempre con l'irruenza del mito risolutore- l'idea di una Patria unita e di un unico Stato Italiano volto all'instaurazione di un'era di giustizia, di libertà e di grandezza spirituale degne dell'antica Roma. Dapprima sembrò un sogno. Un sogno sorretto da un filo intessuto di vaghe speranze; ora deciso e robusto, ora sottile, male annodato e confuso, eppur sempre vitale, che non cessò di dare eccellenti frutti: Dante, Petrarca, Machiavelli, Vico, Guicciardini, Alfieri, Foscolo, Mazzini, Cavour, Gioberti, Pisacane, Garibaldi, Cattaneo, Mameli, D'Annunzio, Gentile, Mussolini, ecc. Un filo che non soltanto ci condusse al 20 Settembre 1870, ma che vide gli Italiani combattere uniti come non mai nelle guerre d'indipendenza, al Piave, nelle Ande etiopiche, nelle Sierre iberiche e, infine, nella sfortunata «guerra del sangue contro l'oro», dandosi nel contempo, leggi civilissime che il mondo emulava. Quanti oggi in Italia possono pronunciare la parola «patria» senza arrossire? S'è visto nella carnevalata del Po e, persino, in un blasfemo sbarco a Marsala di una scomposta ciurmaglia di renitenti, di obiettori di coscienza e di congeniti negatori della Patria. Va ricordato al riguardo che già nelle lezioni del 1943-44, il prof. Chabod insegnava che la Lega Lombarda, il giuramento di Pontida, ecc., «(...) costituiscono, per così dire, un motivo ornamentale, una soprastruttura: l'ideale di libertà vagheggiato dai Mazzini, dai Cavour e dai Cattaneo non è l'ideale delle antiche libertà comunali». (5)
Genesi di una contrapposizione millenaria I rapporti tra Stato e Cristianesimo costituiscono un'antica irrisolta questione. Sin dall'enuclearsi delle prime comunità cristiane dopo la Pentecoste, si formarono correnti di pensiero che intendevano more anarchico i rapporti con l'autorità imperiale romana. Lo Stato in quanto tale veniva respinto come un quid di malefico; Roma, corruttrice e peccatrice, era vista alla stregua dell'anticristo e ogni organizzazione statuale come opera del demonio. Né tale infelice concezione dello stato per externationem humanam si è sostanzialmente cambiata nel corso dei secoli. Il documento più significativo che meglio rispecchia siffatta «vocazione» ebraico-cristiana, è la lettera "A Diogneto", di un ignoto apologeta greco del II secolo, opera di notevole importanza storica e teologica -citata tre volte nei documenti del Concilio Vaticano II- ove è descritta la paradossale condizione dei primi cristiani: «Abitano ciascuno la sua patria, ma come stranieri residenti; a tutto partecipano attivamente come cittadini e a tutto assistono passivamente come stranieri; ogni terra straniera è per loro patria e ogni patria terra straniera. (...) Passano la vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo» (6) È di palmare evidenza l'antitesi fra tale pensiero e ogni ben inteso senso dello Stato, e specialmente con la Dottrina del fascismo, la quale afferma: «Né individui fuori dello Stato, né gruppi (...) non è la nazione a generare lo Stato, anzi la nazione è creata dallo Stato. Lo Stato fascista è una volontà di potenza e d'imperio». Dottrina che, pur nella sua indiscutibile originalità, trova ispirazione nella concezione olistica dello Stato di Tommaso d'Aquino il quale, a sua volta, l'aveva attinta da Aristotele. Ancora oggi, talune confraternite, certi ordini religiosi, centri di ascolto, centri di accoglienza, CL, ecc., predicano e praticano una sorta di individualismo anarcoide che rigetta ogni subordinazione a vincoli statuali nel miraggio della creazione di una non meglio precisata società universale tesa al raggiungimento di fini ultra-terreni; via lungo la quale, come osservò Nietzsche, ciascuno «per prima cosa mira alla propria beatitudine». Del pari malvagi apparivano i cristiani a quei Romani che ancora credevano nelle loro tradizioni: la pietas e la fides, costituivano per l'etica romana un tutto omogeneo di intenso impegno civile e di profonda religiosità, onde il civis romanus era, allo stesso tempo, soldato, sacerdote, elettore e padre di famiglia Anche recentemente, in taluni Stati la patria e la religione costituirono un unicum inscindibile. Fino alla fine della II Guerra mondiale, si realizzò in Giappone una ferrea coesione interna, poiché la fede nello Shinto e nell'imperatore sostanziavano l'essenza stessa dell'anima del popolo e formavano il pilastro etico-spirituale su cui poggiava l'Impero Nipponico. Quel magnifico popolo, per non aver conosciuto le miserie e le lacerazioni di una «resistenza», ha saputo mantenere integro il proprio orgoglio nazionale ed ora porta arditamente la sfida al mondo in ogni branca dell'agire umano. A tal riguardo, significativa è oggi l'azione politica della Repubblica Islamica dell'Iran, fondata sui princìpi religiosi del Corano, che implicano il netto rifiuto della senescente civiltà materialistica dell'Occidente. Atteso che gli Stati sono detti «nazionali» in quanto esercitano la propria giurisdizione sui territori delle rispettive nazioni, come spiegare il fatto che il Cristianesimo sia il più convinto sostenitore di comunità multietniche e multiculturali, se non per rendere ancor più precarie le identità nazionali e le specificità culturali dei popoli? È noto che il meticciato dell'America Latina ha la propria radice nell'incontro storico della civiltà cristiana con nazionalità imbelli e con culture traballanti. Ma, a chi giova ora il meticciato se non alla volontà di omologazione mondialista volta all'instaurazione di una umanità indifferenziata, consumisticamente cloroformizzata e, perciò, sempre più agevolmente manipolabile? Vi sarà pure una ragione per la quale, egemone in Italia per mezzo secolo, la cultura cattolica ha propiziato una sottocultura che ha innalzato l'antifascismo a livello di dogma politico e si è risolta storicamente a solo vantaggio di una ideologia già bollata come «intrinsecamente perversa»? Errore grave fu quello della «religione di Stato», che il fascismo si trascinò dietro sin nella RSI e l'attuale regime fino al 1984.
Il Papa-re Nelle prime rudimentali strutture preistoriche, una casta sacerdotale reggeva l'autorità suprema e, negli Stati prefigurati da Platone e da Pitagora, il potere politico era sottoposto a gruppi di iniziati. Analogamente, al fine di sottrarsi alla subordinazione dell'Impero, ma principalmente per aver smarrito la fede nel Vangelo, il papato escogitò l'espediente profano della subordinazione dell'Impero alla Curia Romana. Con Gregorio I (590-604) nasce lo Stato pontificio, ma già Agostino, supremo ricusatore di ogni Stato, aveva diffuso il miraggio dell'appartenenza cristiana ad una «città celeste»; e Ambrogio e Leone I avevano sostenuto la concezione secondo cui, il Papa, essendo il vicario di Cristo, era superiore a tutte le autorità terrene. Tuttavia, l'enunciazione più chiara di tale stato di cose venne formulata il 30/4/1303 da Bonifacio VIII, con una lettera inviata ad Alberto d'Asburgo: «Come la luna non ha nessuna luce se non quella che riceve dal sole, così nessuna autorità terrena ha nulla che non riceva dal potere ecclesiastico (...) Ogni potere viene da Cristo e da Noi, come vicario di Gesù Cristo». (7) Sin d'allora s'impose nelle menti laiche più avvedute l'esigenza della distinzione fra la Chiesa, in quanto comunità di fede fondata dal Cristo e il papato, in quanto concretizzazione storica volta a realizzare in proprio la gestione del potere politico. Il Papa-re, infatti, disponeva di una propria diretta giurisdizione, di forze armate, nonché di un apparato organizzativo tale da funzionare anche nella compresenza di più papi e-o di pontefici mediocri, inetti e corrotti. Tale Stato possedè schiavi e non esitò a reggersi -secondo il costume del tempo- mediante la violenza e la frode. Il potere temporale dei papi nasce quindi attraverso lo sbocco logico del processo storico che s'instaura ogni qualvolta si contrappongono due forze irriducibilmente decise ad attuare la supremazia dell'una sull'altra. Dinanzi al vescovo di Roma si pose il duplice dilemma di insinuarsi gradualmente nello Stato per conquistarlo e conservarlo, oppure, lo Stato in quanto Stato, costituendo una forza potenzialmente repressiva del Cristianesimo, abbatterlo mediante la forza repressiva speciale costituita dal Cristianesimo stesso e crearne uno a proprio piacimento. Nel corso dei millenni il papato ha impiegato ora l'uno ora l'altro dei metodi con disinvoltura, tempestività e innegabile successo. Il 20 Settembre di ogni anno, a cura della "Lega del Papa-re", nella Chiesa di S. Spirito a Borgo, viene celebrata una messa in suffragio dei Caduti pontifici di Porta Pia. Tale organismo si dichiara a-politico, ma considera usurpatore la Stato italiano. Benché quello pontificio si sia rivelato il più disorganizzato e corrotto fra gli Stati, i due corni del dilemma leninista -interconnettendosi nel tempo, ma sempre in modo sinergico nel rafforzarsi a vicenda- concorrono alla formazione della storia del papato, il quale continua a perseguire il proprio gioco di equilibri finalizzato alla salvaguardia della propria egemonia spirituale e politica.
La religiosità perduta Quando il Papa, ex abbrupto, impone ai cattolici dei «fratelli maggiori» e proclama essere la socialdemocrazia il miglior sistema possibile di reggimento dei popoli, pone una cospicua parte di credenti in Cristo dinanzi alla altemativa di uscire dalla Chiesa e-o di rimanervi obtorto collo da apatridi: «... in attitudine di sincera fiducia e sempre in rapporto di filiale obbedienza verso l'autorità ecclesiastica». (8) Quale fu il dramma suscitato nelle coscienze degli aderenti alla RSI dalla decisione vaticana di riconoscere soltanto lo pseudo-governo fuggiasco di Badoglio, così escludendoli dal «popolo di Dio»? Alle proteste vaticane per le perquisizioni eseguite dalla polizia presso alcune sedi extra-territoriali, il segretario federale romano G. Pizzirani, con amaro sarcasmo, rispose: «Se non esistiamo, come possiamo aver infranto le norme che regolano l'extra-territorialità pontificia?». E qual'è il senso religioso che informa il recente riconoscimento di uno Stato senza confini come quello di Israele, in stridente contrasto con la coscienza morale e la volontà politica di circa un miliardo di islamici? Cade acconcia qui la pacata riflessione del De Unamuno: «La religione non è fatta per risolvere i conflitti economici e politici di questo mondo, che Dio affidò alle dispute umane». (9) È appena il caso di rammentare che, per i cattolici, la Chiesa è tre volte sacra: perché fondata da Dio, perché madre, perché maestra. In forza di tale triplice sacralità, per il tramite della Democrazia Cristiana, il Vaticano ha governato per mezzo secolo lo Stato italiano, poco importandogli se la DC fosse un assai profano coacervo di gruppi di potere diretti alla difesa di meschini interessi (tanto che non sembrò mendace chi la definì una associazione a delinquere) ai danni del popolo italiano, purché fosse ligia alla Curia ed a patto che la gente andasse a messa la domenica. Lungo questa strada si è raggiunta la quasi totale scristianizzazione della società italiana, a nulla valendo il principio evangelico che il buon albero si riconosce dai suoi frutti. Basta guardarsi intorno: stampa, cinema, teatro, televisione, pulpito, pubblicità, moda, mostrano il trionfo della corruzione in ogni settore della vita pubblica e privata. Del resto, era risaputo che ogni processo di secolarizzazione innesca processi vari di secolarismo, di dissacrazione, di relativismo e di indifferentismo etico-religioso. Siffatta situazione fallimentare, pertanto non poteva non essere prevista. E cardinale Ratzinger, in relazione alle tensioni in atto fra teologia e Magistero, ammette che il dissenso di matrice statunitense è dovuto al fatto che: «(...) la teologia si dà una organizzazione fondata sul principio della maggioranza e stabilisce un contro-magistero, che si configura secondo strutture e rapporti di potere e insiste sul parametro politico della maggioranza (...) mentre con il retrocedere della dimensione della teoresi in quella dei giochi di potere, falsifica anche il suo statuto e la sua natura di scienza (...)». (10) Poiché, oltre a quella statunitense, sono operanti la teologia della liberazione, la teologia africana e quella asiatica, nonché sempre più numerosi teologi europei sono in contrasto con Roma, non si può non riconoscere l'esistenza di molteplici e profonde discordie all'interno del Cattolicesimo, tali quindi da inficiare l'azione parenetica del Magistero. Per riarmonizzare siffatte discrasie, a poco giova la panacea di un giubileo spettacolare carico di illusorio irenismo, ma se ne devono individuare l'eziologia e porre in atto terapie adeguate, le quali non possono che risiedere in un ritrovato spirito di verità e di carità. Il 7 aprile '71, la Camera dei Deputati approvò un ordine del giorno mediante il quale impegnava il governo a concludere con il Vaticano la revisione del Concordato del '29. In ordine a tale proposito il successivo giorno 18, la DN della FNCRSI, quale fedele interprete del complessivo pensiero della RSI, Stato sorto non soltanto per la fedeltà all'onore militare, ma anche e soprattutto per dar luogo al ritorno sulla rotta tracciata dall'interventismo del '15 e dal programma del '19, assunse tempestivamente la seguente deliberazione: «rilevato che la manifestata volontà di frazionare il problema di fondo nelle molte questioni derivanti da singoli articoli e disposizioni del Concordato, rappresenta una manovra delle forze confessionali della maggioranza per eludere la definitiva soluzione della questione, e che da ciò deriva un inaccettabile stato di inferiorità nei confronti della controparte; costatato come siano venute meno le condizioni storiche, sociali e politiche che presiedettero alla stipulazione dell'Accordo; indica nella denuncia del Concordato con la Santa Sede la riaffermazione della autonomia dello Stato e la sua indipendenza dalle pressioni e dagli interessi di Potenze straniere». Dopo qualche giorno, "Controcorrente", organizzazione giovanile aderente alla FNCRSI, affisse nell'Università e nei licei della Capitale un manifesto con il quale, a corollario d'una pertinente analisi della politica vaticana, si affermava: «Non libera Chiesa in libero Stato, ma un nuovo, libero Stato creatore di una civiltà di uomini spiritualmente, socialmente e politicamente liberi, che in una visione religiosa della vita, sappiano affermare una volontà politica al di sopra della antitesi laicismo-clericalismo». Il nuovo Concordato del 18/2/84, all'art. 1, sancisce: «Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato Italiano». Ma lo sfascio etico religioso, già da lungo tempo nei fatti, era stato reso di pubblica ragione da vescovi e parroci meno sprovveduti. Inoltre, con la propria nota incisività, "Civiltà Cattolica" del 1 ottobre '83 aveva ammesso: «La crisi religiosa ha assunto tali proporzioni che, se guardiamo alla pratica religiosa e all'adesione vissuta dei valori cristiani, l'Italia oggi non si può più definire una nazione cattolica. Infatti, nonostante che all'anagrafe i battezzati continuano ad aggirarsi intorno al 97% della popolazione, tutti i sondaggi e le inchieste confermano quello che già sappiamo per osservazione diretta: l'area dell'indifferenza religiosa, che già alcuni anni fa comprendeva il 60% degli Italiani, è in aumento. Nello stesso tempo i praticanti (abituali e saltuari) sono scesi al di sotto del 30%, vale a dire sono sensibilmente meno di un terzo della popolazione. Perciò non si fa una affermazione esagerata o falsa quando si dice che i cattolici in Italia sono minoranza e che il nostro Paese, dal punto di vista della pratica religiosa e del costume, non è più cattolico, come si poteva ritenere qualche anno fa». La scristianizzazione, per altro, è un fenomeno pandemico che si manifesta nell'intero ecumene cristiano, al cui interno opera anche una sorta di simulazione che spesso scade a livello di frode quando, ad es., un popolo che si professa cristiano compie la straordinaria impresa dello sbarco sulla Luna e, anziché la Croce di Cristo, pianta fra quelle aride pietre l'empio simbolo massonico. Né, al cospetto di Dio e di una coscienza autenticamente cristiana, può trovare giustificazione l'orribile misfatto di milioni di esseri umani che ogni anno muoiono di fame, quando basterebbe a sfamarli «(...) il surplus di grano degli USA (...) l'enormità degli armamenti o il contributo di ogni lavoratore di cento lire al giorno» in «quella che abbiamo dovuto chiamare la civiltà della, paura, la civiltà dell'odio, la civiltà della morte». (11)
Porta Pia A seguito della caduta di Napoleone III, il 20 Settembre 1870, le truppe italiane entrarono a Roma. Per carità di patria è bene sorvolare sulle maldestre manovre diplomatiche che precedettero l'evento. Sta di fatto che non ebbero compimento né il progetto di Bixio, che aveva affermato doversi gettare nel Tevere tutti i cardinali, né le vane speranze dell'infallibile Pio IX, che aveva risposto alla querula e prolissa lettera di Vittorio Emanuele II: «Io non sono profeta né figlio di profeta, ma voi a Roma non entrerete», così dimostrando anche di non conoscere la natura e la funzione del profetismo, il quale non ha nulla a che vedere con la banale «predizione». I Caduti per la presa di Roma furono 33, numero «di felice auspicio per la massoneria». (12) Il plebiscito per l'annessione dello Stato pontificio a quello Italiano ebbe luogo il successivo 2 ottobre e diede il risultato di 77.025 per i SI e 857 per i NO., Pio IX si rinchiuse in Vaticano e i Ruspoli, gli Orsini, i Borghese, i Massimo, gli Aldobrandini, si tapparono nei rispettivi palazzi «per non confondersi con gli Italiani». Per 59 anni, il Vaticano si ostinò nel non riconoscere il fatto compiuto della unità d'Italia. A questo punto, è doveroso rendere omaggio ai rampolli di talune famiglie sopra menzionate, i quali, segnatamente nel corso della II Guerra mondiale, testimoniarono col sangue l'adesione e la fedeltà alla Patria italiana. Secondo il parere del Croce, Pio IX assunse: «(...) il contegno di chi ha soggiaciuto alla forza, dell'oppresso e del sacrificato e protestò in modo più che irato dapprima, meno irato ma non meno deciso più tardi e non abbandonò mai l'asserzione del suo violato diritto (...)». (13) In tale clima di sorda ostilità, si produsse lo sconcertante episodio avvenuto nella notte del 13 luglio 1881: «(...) dovendo essere trasportata la salma di Pio IX dalla sepoltura provvisoria in S. Pietro alla definitiva in S. Lorenzo al Verano, e avendo i clericali organizzato intorno al feretro un grande corteo, gli anti-clericali prepararono una contro-dimostrazione, trascendendo in un violento urto con gli avversari proprio mentre avveniva il trasporto funebre, tanto che vi fu al momento il pericolo che la bara venisse rovesciata nel Tevere». (14) L'inquietante episodio era stato preceduto da non troppo timidi festini svoltisi in taluni palazzi nobiliari in occasione delle sconfitte italiane di Lissa e Custoza. I Patti Lateranensi furono il risultato di laboriose e lente trattative più volte interrotte, ma che nondimeno covarono tenaci malcontenti, forti perplessità e malcelata volontà di rivincita negli ambienti ecclesiastici maggiormente influenti.
Vaticano e Fascismo Presa coscienza che, per convivere col fascismo -che peraltro si poneva come merce d'esportazione- la Curia, al fine di non rinunciare ai autonomi progetti politici e per meglio contrastarlo, corse ai ripari riannodando i vincoli sotterranei con i «fratelli maledetti» della massoneria. Per contro, dopo la Conciliazione, il governo italiano, fedele ai patti, offrì al Vaticano una immensa opportunità per la propagazione della fede ed una grande prova di difesa del Cristianesimo. La rapidissima conquista dell'Impero e il programmato trasferimento in Etiopia di oltre dieci milioni di lavoratori -ove la plutocrazia non avesse imposto la guerra all'Italia- avrebbe comportato la civilizzazione e la cristianizzazione di gran parte del Continente Nero. In merito è da notare che l'analisi storica, monopolizzata dagli intellettuali catto-bolscevici, risulta essere estremamente carente e meschinamente riduttiva. Inoltre il risolutivo intervento legionario nella Guerra civile di Spagna, la quale metteva gioco con la bolscevizzazione dell'intera area del Mediterraneo le sorti stesse del Cattolicesimo, non fu cosa da poco: uccisi dai miliziani rossi: 13 vescovi, 4.184 sacerdoti, 2.365 religiosi, 283 religiose (15); ben 4.000 furono i Caduti legionari. Tutto ciò non impedì a Pio XII «... durante la guerra, di intervenire presso i cattolici americani attraverso il delegato apostolico Cicognani perché fossero superate le resistenze radicate nella Chiesa americana ad un intervento degli Stati Uniti a fianco dell'Unione Sovietica ...». (16) Né trattenne il Vaticano dal trasformarsi nella centrale di spionaggio più attiva ed efficiente del mondo ai danni delle forze dell'Asse. In realtà, Roosevelt, per il tramite del proprio ambasciatore M. Taylor, aveva ostinatamente tentato di ottenere una dichiarazione pubblica dal Papa in favore della «guerra giusta» degli USA contro la Germania e, non essendo riuscito in tale intento, fece effettuare delle vere e proprie azioni di guerra con fini spregiudicatamente intimidatori nei confronti del Vaticano: il 5/11/43, un aereo americano con pilota americano sganciò quattro bombe in territorio pontificio; l'1/3/44, altre bombe della stessa origine caddero nelle immediate vicinanze dei palazzi apostolici e il 16/3/44, alcuni aerei americani sorvolarono all'altezza di ottocento metri la Città del Vaticano. Si disse poi che tali azioni belliche sarebbero state compiute al duplice scopo di: «provocare la reazione del Papa contro i tedeschi, da loro accusati delle incursioni sul Vaticano e nello stesso tempo provocare la sollevazione della popolazione contro i tedeschi». (17) Per singolari intese sotterranee, di questi accadimenti non si parla; analogamente non è ritenuto opportuno oltrepassare la così detta «pista bulgara» in riferimento all'attentato contro l'attuale Pontefice. In un contesto di rancori e di tradimenti, e non senza l'insipienza politica dei gerarchi del fascismo, si era pervenuti alla congiura-suicidio del 25 luglio, al ribaltamento del fronte dell'8 settembre e si stava per giungere, dopo tre quarti secolo dal 20 Settembre, alla benedizione dei marocchini in piazza S. Pietro. Non poteva essere diversamente, giacché, come sostiene P. F. Altomonte: «Il partito unico (...) il nazionalismo, il confindustrialismo, il corporativismo, la massoneria nel partito, la simbologia dannunziana e il militarismo sono gli aspetti negativi della svolta del '21, che doveva essere provvisoria e fu strangolatrice». (18) D'altronde, la Conciliazione non era stata preceduta e seguita da inconfutabili prove della malafede vaticana? A tal fine andrebbero più attentamente approfonditi non soltanto i rapporti tra fascismo e Vaticano, ma principalmente la natura di cui si sostanzia quest'ultimo. Perché non è vero, come è stato sostenuto anche recentemente, che i Patti Lateranensi avrebbero posto la Chiesa, nel suo insieme indistinto di chierici e di laici, a far parte integrante del regime fascista, quasi componente d'un «blocco storico» catto-fascista, poiché la reciproca strumentalizzazione avviene sì, ma all'interno di differenti finalità distinte e separate, autonomamente perseguite. Difatti il Vaticano ha sempre svolto un proprio ruolo storico autonomo per il cui conseguimento ha svolto azioni, di volta in volta, estranee, incompatibili o di netta opposizione e mai subalterne all'attività politica dello Stato Italiano pre-fascista, fascista e post-fascista. Contributi chiarificatori al riguardo vengono proprio dal mondo cattolico: «Il fascismo, riconoscendone la forza, cerca di utilizzare la Chiesa come fattore di consenso e in parte ci riesce; la Chiesa cerca di utilizzare il fascismo come strumento di restaurazione cattolica e in parte ci riesce; il duplice reciproco tentativo di strumentalizzazione è possibile proprio perché le due realtà si muovono su piani diversi». (19) Il Vaticano, dunque, rimase una realtà a sé stante e spesso ostile agli interessi italiani; realtà in vero inquietante, ove si consideri la sua peculiare natura politropa, in grado di fargli svolgere una funzione storica negativa anche quando, per assurdo, potesse assumere atteggiamenti assolutamente statici. Per banali e consuete che siano, le condanne aprioristiche e manichee proprie della storiografia e dell'attuale mondo dell'informazione, diretti a diffondere false verità, conseguono ancora qualche successo. Ciò è reso possibile dalla carenza di quella linearità di ragionamento che si attinge nella logica, attraverso la quale soltanto da premesse vere si possono attingere conoscenze vere. A prescindere dalle iniziali intenzionalità dei componenti la coalizione bellica antifascista, è incontestabile che, come sostenne Churchill a fine guerra: «abbiamo ammazzato il porco sbagliato» e che le prime bombe atomiche furono lanciate non per fiaccare il Giappone, che aveva già iniziato le procedure di resa, ma per intimorire l'URSS. Vinta la guerra, gli anglo-americani si trovarono in sostanza a dover fronteggiare «il porco giusto», nonché lo spontaneo riemergere nei paesi sconfitti delle idee sociali e nazionali le quali, dato il loro intrinseco proselitismo e la loro carica di aggressività, avrebbero potuto seriamente compromettere l'esito stesso della guerra. Non dimentichiamo che nell'immediato dopoguerra, in Italia le forze nazional-rivoluzionarie contendevano efficacemente ai comunisti il predominio delle piazze e delle università. E se queste due opposte forze si fossero unite in un comune disegno anti-capitalista? Non proprio timide avances in tal senso si ebbero infatti da entrambe le parti. Non mancò ovviamente la pronta contromanovra del blocco occidentale, fondata da una parte, sulla cattura massonica dei vertici dei movimenti nazionali e, sull'anticomunismo dall'altra. Così il sistema pluto-massonico ostacolava sia l'avanzata dei partiti comunisti occidentali, che quella delle ancora efficienti forze fasciste che si ritenevano sconfitte solo militarmente, fattesi poi banalmente strumentalizzare in funzione anti-comunista. Pochi riuscirono a sottrarsi a tale pur evidente macchinazione. Non va dimenticato, inoltre che i più attenti studiosi della «guerra rivoluzionaria» (non sempre e non soltanto militari di professione) non hanno mai preso in seria considerazione l'ipotesi di un'invasione dell'Europa da parte dell'URSS. Ciò conferma la giustezza e validità della sola «risposta» autoctona e veramente nazional-rivoluzionaria elaborata dalla FNCRSI, di contro alle insulse elucubrazioni ordinovistiche attinte dallo Stato Maggiore dell'Esercito, il quale, a sua volta, le aveva mal acquisite dalle esperienze dei colonnelli francesi. Uno degli aspetti più ambigui dell'anticomunismo vaticano è stato reso recentemente di pubblica ragione con la sorprendente rivelazione del fatto che Togliatti, ricevuto in anteprima il testo della enciclica "Pacem in terris", ne fece oggetto di un comizio elettorale a Bergamo il 20/3/63, con oltre venti giorni di anticipo sulla sua pubblicazione avvenuta il successivo 11 aprile. (20), Contemporaneamente, parrocchie, comitati civici, sezioni della DC, ecc, ricevevano precise direttive intese a rafforzare la «diga» anti-comunista. L'anticomunismo, nel contesto del quale il Vaticano svolse una politica quanto mai efficace e subdola, costituì anche l'alibi per attuare, all'interno dei componenti il blocco occidentale, le politiche retrive e corruttrici da tutti conosciute. A disdoro dei suoi acquiescenti protagonisti, il coinvolgimento e la strumentalizzazione del mondo cosiddetto «nazionale» risultò essere pressoché integrale ai fini della stabilizzazione del sistema antifascista. È evidente perciò che le cosiddette «forze sane» erano rotte e mal rabberciate. Premesso che, per volontà massonica, «dittatore» è chiunque ponga in atto opzioni politiche diverse da quelle anacronistiche ed irrazionali proprie al sistema democratico-parlamentare e, atteso che la CIA nell'ultimo mezzo secolo ha sostenuto e poi fatto cadere in tutte le parti del mondo decine di dittatori e di colonnelli, interrogato dal "Corriere della sera" in merito alla corruzione in Italia, William Colby (al vertice della CIA per oltre 20 anni), ha così risposto: «Meglio i ladri dei dittatori. Sono fiero di quello che abbiamo fatto». (21)
Ladri, dunque Ma nessuno gli ha chiesto se, puta caso, tra i ladri siano da comprendere lo IOR e le altre imprese finanziarie vaticane. Mentre i responsabili della corruzione ora consolidano le proprie posizioni di potere reale mediante l'espulsione dal proprio contesto dei più incauti, a sostituire l'anticomunismo è stato posto il terrorismo internazionale (in nome del quale si può fare tutto e il contrario di tutto), rivolto prevalentemente contro quei popoli (islamici e non) rei di compiere scelte di civiltà anti-capitalistiche, anti-ebraiche ed anti-occidentali. E quindi la guerra, non sempre e-o non del tutto benedetta dal regnante Pontefice, continua. Le suggestive riflessioni di G. L. Mosse riguardanti il coagularsi all'interno dei fascismi di una «volontà generale»: «(...) che si concretizza solo quando tutto il popolo agisce come se fosse riunito in assemblea» e «diviene grazie a una mistica nazionale, un movimento di massa concorde nella fede dell'unità di popolo» che «trasformò l'azione politica in una rappresentazione drammatica della quale si pensava che fosse attore il popolo stesso» (22) contengono alcune verità parziali molto significative; parziali perché il popolo non pensava di essere, ma voleva essere ed era protagonista delle vicende politiche. Verità comunque che, se riferite al solo nazionalsocialismo, imporrebbero, almeno, la ristesura integrale del libro di E. Fromm "Fuga dalla libertà" col nuovo titolo di "Marcia verso la libertà", in quanto il popolo tedesco non fu mai, nel bene e nel meno bene, tanto libero di manifestare se stesso. Nondimeno, le tendenzialità dei fascismi verso una non meglio precisata «religione laica», intrisa di nebulose aspirazioni neo-pagane, potranno essere meglio colte se e quando l'analisi storica e antropologica del periodo avrà sufficientemente chiarito certe intuizioni, quali, ad es., quella di De Felice (23) e di Del Noce in riferimento al mancato totalitarismo del fascismo italiano. Il primo fece cenno al tentativo del fascismo di realizzare una «rivoluzione culturale» negli ultimi anni '30; tentativo fallito nell'incontro-scontro con la realtà etico-religiosa della famiglia italiana, oltremodo permeata di Cattolicesimo. Il secondo, analizzando il pensiero di P. P. Pasolini intorno alla continuità fascismo-antifascismo, sostenne l'esistenza di un «(...) problema di quel totalitarismo che il fascismo non riuscì a realizzare perché si trovò davanti la vecchia Chiesa». (24) Per quanto concerne l'oggetto della nostra riflessione, fatta l'Italia, bisognava educare gli Italiani a porsi quali solleciti tutori della sua unità e specificità, consapevoli del comune destino storico. Molti, troppi, anche durante il fascismo, caddero vittime di quell'esiziale processo di assimilazione conseguente alla secolare colonizzazione etico-religiosa attuata nei secoli dalla Chiesa; processo patologico la cui eziologia risiede nello spontaneo asservimento mentale ad ogni straniero, il quale comporta un sub-processo di sottovalutazione e-o negazione della proprie potenzialità, di cultura e di tradizioni. Il Vaticano -sempre temendo di essere circondato da uno Stato troppo forte e deciso a raggiungere i propri fini- si è sempre palesato quale strumento di sovversione-alienazione in ordine ad un più elevato e virile sentire idealità e sentimenti che non fossero quelli della cristiana rassegnazione e della nietzschiana sclaven moral, attraverso le quali gli uomini divengono docili ricettacoli del modo di pensare e di agire dei colonizzatori. E basta guardarsi intorno per valutarne il successo. Tutto ciò premesso, poiché: «(...) una Rivoluzione non può contentarsi di fare tanto per il popolo: deve fare il popolo», l'avvenire non può che riservarci un altro 20 Settembre.
Gaspare Ferretti Fantauzzi
Note: 1) Supplemento n. 1, anno V de "L'orologio", gen. '67 2) "Mater e Magistra", 52 3) E. Severino, "Il declino del capitalismo", Ed. Rizzoli, Milano '93, p. 143 4) P. Scoppola, "La nuova cristianità perduta", Ed. Studium, Roma '86, p. 202 5) F. Chabod, "L'idea di nazione", Ed. Laterza, Bari '67, pp. 33-34 6) "A Diogneto", Ed. Paoline, Milano '91, p. 89 7) G. Martina, "Storia della Chiesa" Ed. PUL, Roma '80, p. 127 8) "Mater e Magistra", 53 9) M. De Unamuno, "San Manuel Bueno", Salanca '30 10) J. Ratzinger, "Natura e compito della teologia", Ed. Jica Book, Milano '94 11) G. Vattuone, "Libero pensiero e servo arbitrio", ESI, Napoli '94, p. 112 12) "La Voce Repubblicana", 20 settembre 90 13) C. Bonanno, "L'età contemporanea nella critica storica", Ed. Liviaana, Padova '73, p. 219 14) P. Silva, "L'ultimo decennio del governo della destra", Ed. Castellini, Roma '52, pp. 218-219 15) "l'Unità", 21/6/85 16) E. Di Nolfo, "Vaticano e Stati Uniti 1939-1953" Ed. F. Angeli, Milano '68, p. 32 17) cfr. G. A. Gariboldi, "Il Vaticano nella II Guerra mondiale", Ed. Mursia, Roma '92, pp. 226-234 18) P. F. Altomonte, "Un annuncio, una dottrina e una interpretazione", Ed. Hohemberg, Verona '89, p. 94 19) P. Scoppola, op. cit, p. 36; cfr. dello stesso Autore, "La Chiesa e il Fascismo", Ed. Laterza, Bari '71 20) Cfr. 0. La Rocca, "Così Togliatti anticipò l'enciclica di papa Giovanni", "La Repubblica" del 4/9/96, p. 15 21) E. Severino, op. cit., p. 196 22) G. L. Mosse, "La nazionalizzazione delle masse", Ed. Il Mulino, Bologna '77, p. 8 23) R. De Felice, presentazione del libro, "La formazione della classe dirigente cattolica" di R. Moro, Roma, 6/12/78 24) A. Del Noce, "Le intuizioni di Pasolini", in "Il Sabato", 25/8/90 |