Federazione Nazionale
Combattenti Repubblica
Sociale Italiana
Comunicato stampa
In ordine alla trasmissione radiofonica "Le
voci dei vinti", il Comitato esecutivo di questa Federazione ha diramato il seguente
comunicato stampa:
Nel 1945, la coalizione anglo-americano-bolscevica
vinse definitivamente gli eserciti d'Italia, della Germania e del Giappone.
Per l'eterogeneità intrinseca a tale coalizione e in forza del ricatto atomico, il mondo
è stato tenuto per mezzo secolo nell'infausta condizione di «non pace - non guerra»,
che ha impedito il libero sviluppo dei popoli.
Caduta, per spontaneo sgretolamento la componente comunista di tale coalizione (che non si
era rivelata nei fatti qualcosa di radicalmente diverso da quella borghese che gli altri
paesi d'Europa avevano compiuto un secolo prima) resta ora in campo la componente
anglo-americana, sola nella tracotante difesa di quei privilegi plutocratici che
costituivano il fondamento della loro guerra, a fronte della nostra «guerra del sangue
contro l'oro».
Orbene, in Italia chi vinse la guerra fu soltanto l'esercito anglo-americano. I
partigiani, avendo concorso in misura militarmente irrilevante (Eisenhower) alla vittoria
altrui, di fatto, non vinsero nulla e nessuno. Ciò è attestato da una imponente mole di
fatti e di documenti inoppugnabili. Questa è la Storia. Punto e basta.
D'altronde, i princìpi etico-sociali per i quali combattemmo e combattiamo non sono stati
né vinti né superati.
La sentenza n° 747 in data 26/4/1954 del Tribunale Supremo militare riconosce la
qualifica di «belligeranti» ai Combattenti della R.S.I. e la nega ai partigiani;
sancisce che al governo Badoglio era vietata «de jure» ogni indipendenza, in quanto il
potere legale era esercitato dal governo militare alleato, mentre tale preclusione non
sussisteva per la R.S.I. che, come recita la sentenza, «emanava le sue leggi e i suoi
decreti senza l'autorizzazione dell'alleato tedesco».
Tuttavia, noi che avevamo combattuto per vincere la guerra, allorché sconfitti,
sinceramente sperammo che i nostri avversari sapessero vincere la pace.
L'art. 16 del «Diktat», la XIIª norma transitoria della Costituzione e le leggi
liberticide (Scelba, Reale, Cossiga, Mancino), tuttora in vigore, comprovano che la pace
fra gli italiani è ancora lontana.
Chi, e per quali ragioni intende oggi creare ulteriori fratture nel popolo italiano,
agitando sciaguratamente la mostruosità giuridico-morale che vorrebbe i belligeranti
essere stati vinti dai non-belligeranti e persino dagli attendisti? A chi, se non
all'intera Nazione, si vuole recar danno col precludere un sereno, obiettivo e paritetico
colloquio ai suoi figli?
Eminenti storici e uomini di cultura, italiani e stranieri, sono concordi nell'attribuire
alla R.S.I. tutte le peculiarità della necessità storica (si pensi agli oltre 600mila
nostri soldati prigionieri in Germania a causa del tradimento della monarchia dell'8
settembre 1943 ed ai sette decimi d'Italia abbandonati al furore teutonico); necessità
storica autentica, dunque, nel senso reale e logico di un ente statuale che non potrebbe
non essere stato e che, non potrebbe non essere stato diverso da come è stato.
Ciò affermiamo, pronti a riconoscere che «l'indipendenza nazionale, da qualunque parte e
sotto qualsiasi insegna difesa, è patrimonio di tutti gli Italiani» (P. Pisenti,
Ministro Guardasigilli della R.S.I.).
Posto che la guerra è la «continuazione della politica con altri mezzi», e, tenuto
conto che le scelte del repubblicanesimo sociale furono e sono scelte politiche e non
militari, in quanto continuatori del progetto politico della R.S.I., i Combattenti
aderenti a questa Federazione rigettano la qualificazione di vinti, in quanto pretestuosa
ed estranea alla stragrande maggioranza degli Italiani.
Consapevoli di essere portatori di una concezione religiosa della vita e della società,
riaffermano la loro implacabile opposizione al materialismo plutocratico volto alla
globalizzazione dei mercati e alla omologazione delle coscienze e ribadiscono il valore
irrinunciabile della supremazia della politica sull'economia e l'istanza sociale insita in
quella dell'uomo sul capitale.
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