dalla prefazione di ...
"Ciao, rossa Salò"
E. L.
Questo libro viene da sinistra e va a sinistra,
frutto, com'è, di documentazioni e, soprattutto, di riflessioni sui seicento giorni della
repubblica di Mussolini da parte di chi, come noi, fa riferimento alla complessiva area
popolare, riformatrice, progressista. Perché questa direzione? Perché nelle pagine
presentate con un titolo paradossale, iperbolico, provocatorio nel senso buono della
parola, spicca l'indicazione della esigenza di uscire -per quanto attiene alla tragica
guerra fratricida del '43/'45- dalle infeconde e astratte demonizzazioni globali della
RSI, dalle avare concessioni in chiave «perdonistica» e «comprensionistica». Ciò al
fine di approdare a sponde valutative di carattere laico, ossia razionali, distaccatamente
analitiche e quindi non emotive; improntate a un chiaro spirito di ricerca e di
approfondimento estraneo a climi storici e culturali, politici ed ideologici, di
pregiudiziale e precostituita contrapposizione totale e permanente. Climi le cui
componenti fondamentali, tossiche, sono l'odio inestinguibile tramandato attraverso il
fluire delle generazioni e una rottura dell'unità nazionale ben altrimenti perversa e
dilacerante di quella pittorescamente tentata dal secessionismo leghista.
Non hanno tutti i torti gli antifascisti quando affermano che la pacificazione è realtà
fin dai tempi dell'amnistia Togliatti, dell'ingresso alla Camera e al Senato, nelle
amministrazioni regionali e degli enti locali, dei rappresentanti di un partito che anche
alla Repubblica Sociale Italiana allora si richiamava. Partito che, pur collocato fuori
dalle alleanze di governo, era stato spesso e volentieri determinante in vario modo,
misura e occasione, per l'elezione del Capo dello Stato nonché per più o meno surrentizi
ausilii a traballanti governi centristi, nonostante fosse inassimilabile alle altre forze
politiche. Se ciò è vero, come è vero, si tratta ora, a nostro parere, di passare ad
una fase ulteriore, più avanzata e aggiornata, sinergica, creativa, del giudizio su
Salò; da una situazione di non-rapporto ad altra di rapporto con quella lontana vicenda
che ancora oggi suscita passioni, discussioni, polemiche, contrasti, scontri e incontri
nella storiografia, nella memorialistica, nella saggistica, nel giornalismo, nella
pubblicistica in genere, perfino nella quotidianità esistenziale dei cittadini.
In che cosa consiste tale fase?
Riteniamo sia ormai gran tempo di aprire un dibattito il più largo, esaustivo,
qualificato possibile sulla essenza della RSI, muovendo però da una ormai irrefutabile
constatazione: la Repubblica del Duce, fiorita e sfiorita sulle rive del Garda entro
l'ambito temporale, suppergiù, di un anno e mezzo, mai fu -diversamente da quanto
asserito anche da storici valenti, di prestigio- un unicum. Fu, viceversa, uno
sfaccettatissimo prisma, un fenomeno pluralistico. Tanto vero che fu in essa presente
quasi tutto lo spettro dottrinario e politico: dal più odioso e nefasto nazismo
rappresentato da Giovanni Preziosi, capo dell'Ispettorato per la Razza, inviso a Mussolini
ma non all'alleato-occupante, alla corrente liberal incarnata dal ministro di Grazia e
Giustizia Piero Pisenti e dal senatore di origine liberal-democratica e giolittiana
Vittorio Rolando Ricci; dalla componente filo-tedesca più moderata capeggiata da Roberto
Farinacci e da Guido Buffarini Guidi, ministro dell'Interno, al filone militare e politico
riconoscentesi nelle figure del maresciallo Graziani, ministro delle FF. AA., e del
principe Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas; dalla frazione ortodossa
modellata sull'intransigentismo e sull'anti-conciliatorismo del ministro segretario del
PFR, Alessandro Pavolini, del ministro della Cultura Popolare Fernando Mezzasoma, del
ministro comandante della GNR Renato Ricci alla tendenza sociale moderata del ministro
della Economia Corporativa e poi della Industria e Commercio Angelo Tarchi; dal gruppo
degli esponenti di varie sensibilità della sinistra antifascista disposti a collaborare
per l'attuazione del Manifesto di Verona (Nicola Bombacci, Carlo Silvestri, Edmondo Cione,
Germinale Concordia, Pulvio Zocchi, Walter Mocchi, Sigfrido Barghini) all'aggregazione
più coerentemente e conseguentemente rivoluzionaria, socializzatrice, popolare-nazionale,
libertaria. Disponibile inoltre, questa ultima, e anzi fautrice, del dialogo con
l'antifascismo, proclive alla più ampia democratizzazione della Repubblica, decisa a
resistere alle interferenze e alle rapine naziste, inequivocabilmente
antiborghese e anticapitalista.
In modo particolare ci diffondiamo -oltre che sulle migliori motivazioni che indussero un
numero niente affatto irrilevante di giovani e meno giovani ad arruolarsi nelle forze
armate repubblicane- su questa ultima espressione del regime di Salò. Dal modo come ne
trattiamo le fasi, le battaglie, le oppugnazioni, le vicissitudini, i programmi, i
propositi, emerge il nostro interesse per essa e per i suoi più noti esponenti: Giorgio
Pini, Concetto Pettinato, Carlo Borsani, Manlio Sergenti, Ugo Manunta, Bruno Spampanato,
Ernesto Daquanno, Edgardo Sulis, Giuseppe Castelletti, Mirko Giobbe, Stanis Ruinas, Luigi
Fontanelli, i ministri Carlo Alberto Biggini (Educazione Nazionale), Domenico Pellegrini
Gianpietro (Finanze), Giuseppe Spinelli (Lavoro), Giuseppe Micheli e, soprattutto,
Giovanni Gentile. Le punte più avanzate di questo fronte -illustrate non soltanto dai
nomi testè elencati, ma da tanti altri che al momento ci sfuggono- si spinsero sul
terreno revisionistico fino a caldeggiare il superamento dello stesso fascismo allo scopo
di favorire lo scongelamento dei rapporti con l'opposizione antifascista, in ispecie
quella di sinistra, provocando con ciò terremoti ideologici e maremoti politici da non
dire.
Dalla documentazione che offriamo al lettore in proporzione, riteniamo, sufficiente,
scaturiscono aspetti salienti ma in vasta e varia misura ignorati della breve e complessa
avventura della RSI. Per esempio: gli elementi di vero e proprio comunismo egalitarista e
libertario affiorati allorché il governo -per combattere mercato nero e carovita,
speculatori ed accapparratori- procedette alla requisizione generalizzata di taglio
collettivistico dei ristoranti per crearne mense del popolo a prezzi bassi e fissi.
Emblematico l'episodio del ministro delle Comunicazioni, Liverani, che mangia allo stesso
tavolo del lift del suo ministero.
E ancora:
L'astuto salvataggio della comunità ebraica di Cremona posto in essere perfino dal
filo-hitleriano Roberto Farinacci.
La tesi del tutto utopica -come i fatti si incaricheranno di dimostrare, ma non per questo
meno interessante e, perfino, affascinante- della disseminazione di «mine sociali» nella
Valle Padana da far scoppiare fra le gambe degli eserciti delle «plutocrazie»
occidentali, al fine di consegnare il potere alle masse proletarie chiamate dalla RSI a
difendere la socializzazione espropriatrice della borghesia capitalistica agraria e
industriale.
Il recupero del pensiero e dell'immagine di Giuseppe Mazzini, effigiato negli uffici
statali dove non era previsto pari onore per personalità viventi e, quindi, neppure per
Mussolini. Ciò nell'ambito di uno sforzo di democratizzazione dello Stato e di
superamento di quello che a poco più di un decennio di distanza Nikita Krusciov avrebbe
definito «culto della personalità».
La decisione di Mussolini di far liberare da una Costituente -rinviata per motivi inerenti
allo stato di guerra- la piena legalizzazione di tutti i partiti politici, e in primo
luogo di quelli inseriti nei Comitati di Liberazione Nazionale.
Naturalmente una quota non rilevante di detta programmazione restò a livello di progetto
e di immaginario di Regime; come, peraltro, lungo l'iter della storia italiana era
capitato alle varie repubbliche, giacobine o meno che fossero.
E. L.
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