da "AURORA" n° 38 (Gennaio 1997)

IL LIBRO


dalla prefazione di ...
"Ciao, rossa Salò"

E. L.

Questo libro viene da sinistra e va a sinistra, frutto, com'è, di documentazioni e, soprattutto, di riflessioni sui seicento giorni della repubblica di Mussolini da parte di chi, come noi, fa riferimento alla complessiva area popolare, riformatrice, progressista. Perché questa direzione? Perché nelle pagine presentate con un titolo paradossale, iperbolico, provocatorio nel senso buono della parola, spicca l'indicazione della esigenza di uscire -per quanto attiene alla tragica guerra fratricida del '43/'45- dalle infeconde e astratte demonizzazioni globali della RSI, dalle avare concessioni in chiave «perdonistica» e «comprensionistica». Ciò al fine di approdare a sponde valutative di carattere laico, ossia razionali, distaccatamente analitiche e quindi non emotive; improntate a un chiaro spirito di ricerca e di approfondimento estraneo a climi storici e culturali, politici ed ideologici, di pregiudiziale e precostituita contrapposizione totale e permanente. Climi le cui componenti fondamentali, tossiche, sono l'odio inestinguibile tramandato attraverso il fluire delle generazioni e una rottura dell'unità nazionale ben altrimenti perversa e dilacerante di quella pittorescamente tentata dal secessionismo leghista.
Non hanno tutti i torti gli antifascisti quando affermano che la pacificazione è realtà fin dai tempi dell'amnistia Togliatti, dell'ingresso alla Camera e al Senato, nelle amministrazioni regionali e degli enti locali, dei rappresentanti di un partito che anche alla Repubblica Sociale Italiana allora si richiamava. Partito che, pur collocato fuori dalle alleanze di governo, era stato spesso e volentieri determinante in vario modo, misura e occasione, per l'elezione del Capo dello Stato nonché per più o meno surrentizi ausilii a traballanti governi centristi, nonostante fosse inassimilabile alle altre forze politiche. Se ciò è vero, come è vero, si tratta ora, a nostro parere, di passare ad una fase ulteriore, più avanzata e aggiornata, sinergica, creativa, del giudizio su Salò; da una situazione di non-rapporto ad altra di rapporto con quella lontana vicenda che ancora oggi suscita passioni, discussioni, polemiche, contrasti, scontri e incontri nella storiografia, nella memorialistica, nella saggistica, nel giornalismo, nella pubblicistica in genere, perfino nella quotidianità esistenziale dei cittadini.
In che cosa consiste tale fase?
Riteniamo sia ormai gran tempo di aprire un dibattito il più largo, esaustivo, qualificato possibile sulla essenza della RSI, muovendo però da una ormai irrefutabile constatazione: la Repubblica del Duce, fiorita e sfiorita sulle rive del Garda entro l'ambito temporale, suppergiù, di un anno e mezzo, mai fu -diversamente da quanto asserito anche da storici valenti, di prestigio- un unicum. Fu, viceversa, uno sfaccettatissimo prisma, un fenomeno pluralistico. Tanto vero che fu in essa presente quasi tutto lo spettro dottrinario e politico: dal più odioso e nefasto nazismo rappresentato da Giovanni Preziosi, capo dell'Ispettorato per la Razza, inviso a Mussolini ma non all'alleato-occupante, alla corrente liberal incarnata dal ministro di Grazia e Giustizia Piero Pisenti e dal senatore di origine liberal-democratica e giolittiana Vittorio Rolando Ricci; dalla componente filo-tedesca più moderata capeggiata da Roberto Farinacci e da Guido Buffarini Guidi, ministro dell'Interno, al filone militare e politico riconoscentesi nelle figure del maresciallo Graziani, ministro delle FF. AA., e del principe Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas; dalla frazione ortodossa modellata sull'intransigentismo e sull'anti-conciliatorismo del ministro segretario del PFR, Alessandro Pavolini, del ministro della Cultura Popolare Fernando Mezzasoma, del ministro comandante della GNR Renato Ricci alla tendenza sociale moderata del ministro della Economia Corporativa e poi della Industria e Commercio Angelo Tarchi; dal gruppo degli esponenti di varie sensibilità della sinistra antifascista disposti a collaborare per l'attuazione del Manifesto di Verona (Nicola Bombacci, Carlo Silvestri, Edmondo Cione, Germinale Concordia, Pulvio Zocchi, Walter Mocchi, Sigfrido Barghini) all'aggregazione più coerentemente e conseguentemente rivoluzionaria, socializzatrice, popolare-nazionale, libertaria. Disponibile inoltre, questa ultima, e anzi fautrice, del dialogo con l'antifascismo, proclive alla più ampia democratizzazione della Repubblica, decisa a resistere alle interferenze e alle rapine naziste, inequivocabilmente antiborghese e anticapitalista.
In modo particolare ci diffondiamo -oltre che sulle migliori motivazioni che indussero un numero niente affatto irrilevante di giovani e meno giovani ad arruolarsi nelle forze armate repubblicane- su questa ultima espressione del regime di Salò. Dal modo come ne trattiamo le fasi, le battaglie, le oppugnazioni, le vicissitudini, i programmi, i propositi, emerge il nostro interesse per essa e per i suoi più noti esponenti: Giorgio Pini, Concetto Pettinato, Carlo Borsani, Manlio Sergenti, Ugo Manunta, Bruno Spampanato, Ernesto Daquanno, Edgardo Sulis, Giuseppe Castelletti, Mirko Giobbe, Stanis Ruinas, Luigi Fontanelli, i ministri Carlo Alberto Biggini (Educazione Nazionale), Domenico Pellegrini Gianpietro (Finanze), Giuseppe Spinelli (Lavoro), Giuseppe Micheli e, soprattutto, Giovanni Gentile. Le punte più avanzate di questo fronte -illustrate non soltanto dai nomi testè elencati, ma da tanti altri che al momento ci sfuggono- si spinsero sul terreno revisionistico fino a caldeggiare il superamento dello stesso fascismo allo scopo di favorire lo scongelamento dei rapporti con l'opposizione antifascista, in ispecie quella di sinistra, provocando con ciò terremoti ideologici e maremoti politici da non dire.
Dalla documentazione che offriamo al lettore in proporzione, riteniamo, sufficiente, scaturiscono aspetti salienti ma in vasta e varia misura ignorati della breve e complessa avventura della RSI. Per esempio: gli elementi di vero e proprio comunismo egalitarista e libertario affiorati allorché il governo -per combattere mercato nero e carovita, speculatori ed accapparratori- procedette alla requisizione generalizzata di taglio collettivistico dei ristoranti per crearne mense del popolo a prezzi bassi e fissi. Emblematico l'episodio del ministro delle Comunicazioni, Liverani, che mangia allo stesso tavolo del lift del suo ministero.
E ancora:
L'astuto salvataggio della comunità ebraica di Cremona posto in essere perfino dal filo-hitleriano Roberto Farinacci.
La tesi del tutto utopica -come i fatti si incaricheranno di dimostrare, ma non per questo meno interessante e, perfino, affascinante- della disseminazione di «mine sociali» nella Valle Padana da far scoppiare fra le gambe degli eserciti delle «plutocrazie» occidentali, al fine di consegnare il potere alle masse proletarie chiamate dalla RSI a difendere la socializzazione espropriatrice della borghesia capitalistica agraria e industriale.
Il recupero del pensiero e dell'immagine di Giuseppe Mazzini, effigiato negli uffici statali dove non era previsto pari onore per personalità viventi e, quindi, neppure per Mussolini. Ciò nell'ambito di uno sforzo di democratizzazione dello Stato e di superamento di quello che a poco più di un decennio di distanza Nikita Krusciov avrebbe definito «culto della personalità».
La decisione di Mussolini di far liberare da una Costituente -rinviata per motivi inerenti allo stato di guerra- la piena legalizzazione di tutti i partiti politici, e in primo luogo di quelli inseriti nei Comitati di Liberazione Nazionale.
Naturalmente una quota non rilevante di detta programmazione restò a livello di progetto e di immaginario di Regime; come, peraltro, lungo l'iter della storia italiana era capitato alle varie repubbliche, giacobine o meno che fossero.

E. L.

 

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