da "AURORA" n° 39 (Febbraio - Marzo 1997)

RECENSIONI

 

Francois Furet

Il passato di un illusione.

L'idea comunista nel XX secolo

Arnoldo Mondadori Editore                              £. 37.000

 

L’allusione a cui allude Furet è il comunismo, un’ideologia che ha trovato fanaticamente applicazione reale oltre che teorica e culturale, e che di fatto ha dominato questo secolo. Ma Furet non si limita a fare la cronistoria della applicazione più o meno esatta dei sogni di Engels e Marx dal ’17 fino al ’91. Al contrario arriva a conclusioni storiche di ampio respiro, più in particolare quando similmente a Nolte si domanda se il fascismo così come è stato avrebbe potuto esistere senza il comunismo? E Furet si addentra con dovizia di particolari nella analisi delle similitudini fra fascismo e comunismo (struttura sociale antagonista al liberismo, anti-semitismo, militarismo, nazionalismo, verticismo, repulsione per la democrazia parlamentare, ecc.) un confronto che a suo dire porta inevitabilmente alla conclusione che la struttura sociale del fascismo fosse comunque di matrice socialista, al pari di quella comunista. Furet dunque include a pieno titolo il fascismo nella grande famiglia del socialismo arrivando, similmente a Bordiga e Galbraith, a definire il fascismo come una sorta di socialdemocrazia autoritaria. In quanto al fascismo presenta una sua visione nettamente in contrasto con gli storici contemporanei studiosi del fenomeno.

«Dalle guerre di religione, pochi sono gli esempi della storia d’una idea politica sconfitta dalle armi che sia stata oggetto d’un interdetto radicale, come l’idea fascista. Eppure era un’idea che era nata e s’era imposta in due dei Paesi più civili dell’Europa, Germania e Italia. Prima di diventare una maledizione, per molti fra i più fini intellettuali aveva rappresentato una speranza. Adesso, alla fine della guerra, esiste solo una demonizzazione che certo assicurerà ad essa una lunga sopravvivenza destinata però a rendere eterni i vincitori!».

Comunque, in sintesi, l’idea comunista così fanaticamente accettata da intellettuali ed economisti pur essendo manifestamente così criminale nella pratica ha potuto vivere fino all’altro ieri grazie ad una serie di fenomeni storici favorevoli: il dopoguerra, la grande depressione, l’anti-fascismo, la vittoria sul fascismo, la guerra fredda. Quando i pretesti storici sono cessati, l’infatuazione fideistica ha lasciato il passo ad una attenuazione delle tensioni ideali nonché alla stagnazione del pensiero. A questo punto, secondo Furet, il comunismo sgonfiato dagli errori dichiarati al XX congresso quanto dai toni trionfalistici dovette lasciar posto al fallimento economico e quindi alla sua stessa fine.

Un libro interessante, non privo di spunti brillanti e riflessioni notevoli, sull’evoluzione pratica delle passioni rivoluzionarie di questo secolo attraverso una chiave di lettura alternativa rispetto alla storiografia contemporanea.

 

 


Riccardo Bertani (a cura di)

Verso l’estremo mattino.
Canti epici siberiani

Ed. all’insegna del Veltro, Parma 1987      pp. 114    £.24.000

 

«Inconsueta e interessante figura di autodidatta padano» (per usare le parole dello studioso di tradizioni popolari Gian Paolo Borghi, che ha firmato la presentazione di questo volume), Riccardo Bertani è un ex-contadino e pastore in possesso della licenza elementare.

Tuttavia, fin da ragazzo si è dedicato all’apprendimento della lingua russa (è nativo di Campegine, provincia di Reggio Emilia, e figlio di un sindaco comunista degli anni cinquanta); successivamente, la naturale attrazione verso la «grande Patria dei lavoratori» ha fatto sorgere in lui un interesse per le nazionalità non russe dell’ex-Impero e per il centinaio e passa di lingue parlate tra il Mar Nero e lo Stretto di Bering.

L’eccezionale poliglottismo del Bertani, unito al contatto epistolare con ambienti universitari sovietici e ad un’applicazione quotidiana allo studio, ha prodotto una mole enorme di lavoro: articoli di contenuto linguistico ed etnologico, compilazioni lessicali, traduzioni di decine di testi, dalle lingue turco-tartare, mongole, paleoasiatiche.

Il presente volume raccoglie per l’appunto quattro brevi poemi tradotti dal Bertani. Si tratta di epopee appartenenti a popoli diversi per razza, lingua e collocazione geografica: Buriati, Dolgani, Evenki (o Tungusi) e Jukaghiri.

Nell’introduzione di Carlotta Capacchi, studiosa dello sciamanesimo eurasiatico, si osserva come «sotto il carattere epico della narrazione è ancora visibile la traccia del pensiero magico-religioso che per secoli ha accomunato i Paesi dell’Eurasia Settentrionale, dalla Lapponia alla Kamciatka, in una grande provincia culturale la cui omogeneità, al di là nelle ovvie differenzazioni regionali, si presenta straordinaria».

Un attento esame dei testi raccolti nel volume ha consentito a C. Capacchi di segnalare numerosi temi che si riconnettono alla dottrina e ai rituali dello sciamanesimo più arcaico e che trovano spesso straordinarie rispondenze della mitologia greca.

I temi in questione, d’altronde, sono stati ereditati soprattutto dalla favolistica e dal folklore dei popoli siberiani, altaici ed ugri-finnici: ciò è stato messo in luce dagli studi sulle fiabe ungheresi effettuati da Anikò Steiner ("Sciamanesimo e folklore") e da Claudio Mutti ("L’asino e le reliquie") e pubblicati nella stessa collana in cui ora compare questo nuovo volume.

 

 

articolo precedente