da "AURORA" n° 41 (Maggio - Giugno 1997)

UNA CERTA IDEA DELLA SINISTRA

Non c'è pace fra l'Ulivo,
ma la «cosa due» nascerà ad ottobre

Enrico Landolfi

 

Con la primavera in fiore, dunque, vanno sfiorendo gli ideali del socialismo? Stando alle interviste «ulivistiche» che il vice-Presidente del Consiglio dei Ministri ha concesso nel mese di maggio al settimanale "Panorama" non si potrebbe che giungere a tale conclusione. A Stefano Brusadelli che, per conto della rivista mondadoriana, gli chiedeva se ritiene che, parafrasando una celebre locuzione berlingueriana, «il socialismo abbia esaurito la sua spinta propulsiva» così rispondeva: «Si è esaurita con la caduta del Muro di Berlino. Col Muro è finito il tempo della ideologia. E con esso l'idea di un modello di società alternativa».

Il rispetto, la stima, la simpatia da noi sempre nutrite per Walter Veltroni non ci vietano di esternare una esaustiva dissensione su questa e varie altre sue prese di posizione, diciamo così, consequenziarie. Di più; l'attitudine liquidatoria rispetto al socialismo -inteso in tutte le sue possibili versioni- assunta non dal solo Veltroni ma dall'insieme dell'ala ulivista del PDS ci stupisce, ci amareggia, ci fa pure un po' paura. Ci mette anche in imbarazzo, nella misura in cui provoca in noi un forte sentimento di estraneità, magari di diffidenza, nei confronti del maggior partito della Sinistra. Fortunatamente siamo mitridatizzati rispetto ai veleni culturali esalati da certo exismo post-comunista. Anzitutto, mai siamo caduti nella trappola borghese della cosiddetta «fine delle ideologie», formula reazionaria e oscurantista, filiata dal più retrogrado pensiero conservatore. Fukuyama, insomma, non ci appartiene; non siamo per nulla persuasi di essere arrivati alla «fine della storia». Né crediamo che contro il liberismo selvaggio, scatenato vitalisticamente allo stato brado da un capitalismo che ha messo una volta per tutte la mordacchia al movimento operaio internazionale, la Sinistra altro non abbia da fare che rinnegare sé stessa per irrazionalisticamente proiettarsi lungo le fallaci traiettorie del mondialismo a direzione statunitense e della globalizzazione obliteratrice delle creative e identificative distinzioni nazionali.

Col «Muro», infatti, non è finito il «tempo dell'ideologia» -ossia della pluralità delle espressioni intellettuali nell'ambito della politica, del dibattito conflittuale e fecondo, delle sintesi superiori perché superatrici-, ma del comunismo o, meglio, di una sua gran parte. Se non ricordiamo male, sulla Cina, sulla Corea del Nord, sul Vietnam, sulla Cambogia, su Cuba ancora sventola la bandiera rossa con tanto di falce e martello. E sarà appena il caso di ricordare che il socialismo, non è finito sepolto sotto le macerie del «Muro», ma anzi dal crollo di quel capolavoro di idiozia edile partorito dal cervello disseccato di Ulbricht è uscito rafforzato dall'apporto culturale della componente revisionista del marxismo-leninismo e dall'ingresso nei suoi ranghi della medesima, peraltro rincalzata dagli elementi dogmatici proclivi a far tesoro delle dure repliche della storia e perfino della cronaca (ivi compresa quella nera).

Veltroni non ristà dall'accettare il pollice verso nei confronti di «un modello di società alternativa». Ma allora, vivaddio, cosa mai ci sta a fare a Palazzo Ghigi in qualità di n° 2 di un governo nel quale la Sinistra, tutta la Sinistra, è così massicciamente impegnata. Duole, questa sua determinazione, anche perché molti ritengono, e noi fra questi, che vi abbia lavorato, vi stia lavorando molto bene, con risultati eccellenti anche nel ministero dei Beni Culturali e Ambientali. E si stenta a credere che un uomo del suo livello, delle sue qualità, non si accorga che il minimalismo politico è destinato a fruttargli solo autogol e boomerang. Peraltro siamo al paradosso: noi crediamo al suo primario ruolo in una strategia del cambiamento in profondità della società italiana più di quanto non ci creda lui stesso.

 

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Proseguendo nella conversazione con Brusadelli il vice-Presidente si lascia andare ad una critica al socialismo europeo che pur manifestando in modo soft non per questo risulta meno tranchant. Dice: «... Ma oggi c'è qualcosa di più nella sinistra. E infatti dopo 20 anni di predominio della destra in Occidente il vento ha girato con le vittorie di Clinton, di Blair e dell'Ulivo, ossia di tre progetti di centrosinistra che hanno poco o niente a che fare con la socialdemocrazia». Beh, qui occorre anzitutto annotare che al contenimento della destra europea hanno contribuito con le loro vittorie elettorali anche i socialisti della Grecia, del Portogallo, della Polonia e che, fino a prova contraria, i laburisti britannici, pur nella versione ultra-moderna imposta da Blair in conseguenza dello scontro con i leaders sindacali, non sono una sorta di Ulivo di oltre Manica, ma mantengono la identità di formazione appartenente al movimento operaio e socialista europeo. Certo, per stabilire se e quanto Tony Blair è di sinistra occorre attenderlo alla prova dei fatti. E l'Ulivo, per il quale chi scrive non si è certo limitato a fare il tifo, pur potendo fortunatamente vantare, anche grazie al lavoro di Walter Veltroni, significativi successi, ancora deve compiutamente dimostrare adeguate capacità realizzatrici e di tenuta.

Ma, verbigrazia, cosa c'entra Clinton con la Sinistra e con il centrosinistra? Per quel che ne sappiamo, è uno dei più strenui saccheggiatori di programmi conservatori parzialmente adottati dopo aver mietuto a man bassa voti progressisti. E la circostanza che suoni bene il sassofono e riempia i settimanali scandalistici -a tacer d'altro- con le cronache rosa delle sue notti brave se pur ce lo rende simpatico non ci induce ad appioppargli una targa di sinistra. Se il PDS dovesse diventare un partito clintoniano, il nostro voto e quelli che, modestamente, saremmo in grado di procurargli se li può scordare. Anche perché per tanti lustri non ci siamo battuti con il sangue agli occhi e la bava alla bocca contro la linea del PCI (e, per vari anni, pure del PSI) di accettazione del ruolo di guida dell'URSS e del PCUS per sostituirlo con quello degli USA e del suo Partito Democratico, il cui emblema peraltro -è bene non dimenticare mai certe cose- è un asino. Francamente non ci alletta la prospettiva di finire sotto una simile insegna.

 

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Secondo il Presidente Veltroni «anche sotto il profilo dell'appeal, le parole socialismo e socialdemocrazia non funzionano più, non riescono a esprimere le nuove potenzialità della sinistra. Non esprimono la ricchezza delle culture liberale, ambientalista, cattolica... Quanti sono i giovani che oggi direbbero "sono socialdemocratico", o "sono socialista"»? Tantissimi, Onorevole, le rispondiamo. Ma il fatto stesso del suo dubitare è da elogiare, sia perché le libere istituzioni sono espressive della «civiltà del dubbio», sia perché, soprattutto, sta ad indicare che lei non è un politicante perdigiorno che se ne va in giro a tastare il polso ideologico della gente, bensì -e questo già lo si sapeva- un uomo politico serio, uno statista che le ore le spende nel lavoro, nell'assolvimento dei doveri verso il Paese prima ancora che verso il partito e la maggioranza. Ma, ripetiamo, il tasso di domanda di socialismo è ancora molto alto, anche quando prende altre sembianze. Per esempio: quel Bertinotti che sembra fatto per èpater les bourgesis -ma fino a un certo punto- non le suggerisce forse il modello «lombardiano» del socialista accattato nelle maggioranze moderate per agire dall'interno di esse come membro di un gruppo di pressione che ha l'obiettivo di strappare quanto più gli è possibile in chiave programmatica all'avversario-alleato?

Altra questione è quella delle «nuove potenzialità» della Sinistra. Lei fa riferimento alle culture liberale, ambientalista, cattolica. E fa bene. Ha torto, però, quando le contrappone a quella socialista, dandone una lettura sostitutiva. Ciò, peraltro, è tanto più sorprendente in quanto l'operazione è fatta da chi si professa non sapremo dire se berlingueriano, o filo-berlingueriano, o ammiratore di Enrico Berlinguer. E questo perché «Re Enrico» i suoi bravi conti con la cultura cattolica li aveva fatti tutti e fino in fondo anche a prescindere dai precedenti e discussissimi ma comunque interessanti contributi di Franco Rodano (basti pensare al famoso carteggio con il Vescovo di Ivrea, monsignor Bettazzi) a proposito della natura del PCI e di un fondamentale articolo dello statuto del partito che la rispecchiava). E lo stesso dicasi per le culture liberale (sulla quale, a vero dire, maggiormente si impegnò la componente riformista) e ambientalista (rispetto alla quale si ebbero e si hanno difficoltà causa la presenza di un partito «verde» organizzato). Ma anche prima di Berlinguer alcuni conti erano stati fatti, almeno nei limiti in cui ciò era reso possibile dal cosiddetto «legame di ferro» con l'Unione Sovietica e con il campo degli Stati ad essa facenti capo.

Che cosa unisce, nel Walter-pensiero, l'Ulivo, il laburismo made in England, il partito democratico americano? Vediamo: «Pari opportunità, tutela dell'ambiente, solidarietà sociale, alta qualità dell'istruzione, tolleranza e mescolanza... Oggi la vera uguaglianza è quella delle pari opportunità. A partire da una buona istruzione per tutti. Questo deve essere l'obiettivo della sinistra. Poi ognuno crescerà per quello che vale». Si badi: in queste ultime parole c'è tutto il senso della scelta veltroniana; la sostituzione della cultura del movimento operaio e popolare con quella liberale -più liberale che liberal, precisiamo- e, pertanto, l'egemonia della cultura borghese progressista sulla masse organizzate e sulle correnti d'opinione della Sinistra. Insomma: l'individualismo, il soggettivismo, il self made man allo stato puro. Chi ce la fa va avanti e si gode la vita con il prestigio, l'influenza, le relazioni con quelli che contano, soprattutto il denaro. Chi, per questo o quel motivo -magari indipendentemente dal tasso di valenza personale- non ce la fa, che si arrangi pure. A questo punto c'è da chiedersi: cosa distingue veramente la Sinistra dalla Destra? E perché mai un Berlusconi o il suo cagnolino scodinzolatore Gianfranco Fregoli non potrebbero convenire su un postulato come questo? Suvvia! ... Quanto al resto, peraltro abbastanza generico, sarebbe proprio impossibile mettersi d'accordo. Sappiamo bene che il Vice Presidente del Consiglio è sinceramente, convintamente, con grande onestà intellettuale, bipolarista e alternativista, ma le idee da lui espresse sono, obiettivamente, da inciucio, proprio per la loro genericità e per quel che concerne lo scarso spazio diversificatore di cui godono rispetto alla piattaforma dottrinaria e programmatica del cosiddetto Polo delle Libertà.

 

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Enrico Berlinguer è sicuramente un punto fermo nell'orizzonte culturale e sentimentale del Veltroni. Al mitico segretario degli Anni Settanta e Ottanta, del resto, il Nostro ha dedicato un pregevole volume. Anche nella intervista a "Panorama" c'è un richiamo a colui che, come recita una frizzante ma non cattiva battuta di Giancarlo Pajetta, «di nobile famiglia sarda, si iscrisse giovanissimo alla Direzione del Partito». Ecco: «... io sono uno che non ha mai amato il modello dell'Est. E amavo Berlinguer perché era quello che rompeva con l'URSS». Ebbene, mai amore politico fu più logico e giusto e degno di apprezzamento. Tuttavia, come non ricordare al leader ulivista che Berlinguer resta nella storia della Sinistra non soltanto per aver denunciato «l'esaurimento della spinta propulsiva dell'Ottobre sovietico», o per aver teorizzato una «terza via» fra comunismo e socialdemocrazia, oppure per aver tentato di battere la strada dell'«eurocomunismo», o anche per il «compromesso storico» e via elencando, ma, anzitutto e soprattutto, per avere strettamente collegato ideazioni e innovazioni all'irrinunciabile tema della costruzione d'una società socialista. Cogliamone l'ispirazione attraverso poche parole della sua elaborazione. «Scegliendo la strada di uno sviluppo verso il socialismo, che si realizzi nella democrazia, e che garantisca ed estenda tutte le libertà civili e politiche, noi non facciamo alcuna rinuncia di principio al nostro carattere di partito rivoluzionario; cioè di partito che vuole cambiare davvero le fondamenta e i fini della società e del suo sviluppo. Al contrario, noi scegliamo la sola strada che in Occidente può fare della classe operaia la classe dirigente, e cioè la forza chiamata a continuare e sviluppare tutte le conquiste e tutti i valori positivi realizzati dalle forze che in ogni epoca precedente hanno avuto una funzione progressiva ...». Alla luce di tali asseverazioni possiamo ben ammettere che Berlinguer avrebbe approvato, ad esempio, queste frasi veltroniane: «Basta pensare alla scarsa incisività riformista del socialismo mediterraneo. Da noi l'Ulivo è già stato capace di riforme radicali nella scuola, nella pubblica amministrazione, nell'immigrazione». Le avrebbe contestate, certo, ma sarebbe andato avanti, oltre, collegando i successi dell'Ulivo a un più organico, generale, complesso disegno strategico e riformatore, proiettato nella direzione della edificazione socialista. Le avrebbe, in altri termini, agganciate a quella concretissima cosa che è l'Utopia, che nessun «pragma» è in grado di sostituire; e senza del quale non si mobilitano consistenti forze popolari per la realizzazione del cambiamento. Ecco, ciò che nel pensiero di Walter Veltroni manca non è soltanto il socialismo o la socialdemocrazia: la vera grande assente è l'Utopia. E senza di essa la partita è perduta, per il PDS, per tutta la Sinistra, per tutto l'Ulivo.

 

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Spiace anche che, sulla falsariga di Tony Blair, vagheggi, consapevolmente o meno, un rapporto conflittuale, ossia un non-rapporto, col sindacato. Le parole sono morbide, la sostanza è dura. Dice: «Sulla riforma dello Stato sociale il partito dovrà fare i suoi passi in un rapporto di reciproca autonomia col sindacato». A buon intenditor poche parole, dedicate, del resto, anche a Rifondazione Comunista, «... dai risultati elettorali non sono impressionato». Beato lui! ...e chi si contenta gode.

La giovane età è talvolta foriera di pessimi consigli e suggeritrice di affermazioni azzardate. Relativamente alla cosiddetta «Cosa 2», Veltroni dichiara: «Non ero convinto fin dall'inizio e l'ho detto subito. Il tempo mi ha dato ragione, unificare i socialisti italiani è un'operazione inadeguata alle nostre ambizioni». Testuale. Meglio, allora, che finiscano con Forza Italia o con Alleanza Nazionale o con liste di disturbo pseudo-socialiste a fini di neutralizzazione di consensi potenzialmente di sinistra. «Che finiscano» chi? Tutta la non disprezzabile virtualità elettorale e attivistica di PSI e PSDI scorrente come un fiume carsico nelle viscere della media e bassa politica italiana.

Si diceva testè di espressioni azzardate. Perché? Perché proprio mentre noi si redige queste note, capita sotto i nostri occhi un quotidiano recante notizia della riunione, prevista per ottobre, degli «Stati generali della Sinistra», destinata a fondare il nuovo partito «riformista ed europeo» con l'adesione di Quercia, cristiano-sociali, laburisti, comunisti unitari, varia gruppettistica socialista. Ciò comunicato dall'Esecutivo del PDS.

Cosa bollisse in pentola doveva essere giunto al vice-Presidente Veltroni se, con indifferibile recupero di cautela, dichiarava al redattore di "Panorama": «Non sto proponendo oggi di fare il partito democratico in Italia. Oggi mi interessa il rilancio dell'Ulivo e la direzione di marcia del PDS».

Quest'ultima, piaccia o meno, è ormai fissata. Per il resto, caro vice-Presidente, siamo felici di comunicarLe il nostro totale, incondizionato, cordialissimo accordo.

Enrico Landolfi

 

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