da "AURORA" n° 41 (Maggio - Giugno 1997)

COMBATTENTI

 

Federazione Nazionale Combattenti Repubblica Sociale Italiana

Foglio di orientamento n° 1 /1997

 

Premessa

Fondato per continuare la RSI, il MSI divenne presto strumento dell'antifascismo. Venuta meno tale funzione, lo strumento è stato immesso da parte. Chi, come noi, prese parte alle primissime riunioni ed ai primi «giornali parlati» tende a respingere l'ipotesi (ancorché verosimile, ma priva di concreta dimostrabilità) che il MSI sia sorto dalla iniziativa promossa dal Viminale al fine di incanalare in un alveo prestabilito la diaspora dei «repubblichini» sbandati e pericolosi.

Pur disponendo di vaste clientele, di solidi appoggi interni e internazionali, nonché di cospicui finanziamenti, il neofascismo si è dissolto per non aver compreso i tempi nuovi che urgevano e per non aver intuito l'importanza fondamentale delle istanze di indipendenza e di giustizia che emergono dagli otre tre quarti dell'umanità oppressa. Per non aver, innanzitutto, colto che da quelle stesse esigenze scaturisce l'essenza delle intuizioni mussoliniane e l'universale messaggio di civiltà del fascismo. Per avere abiurato al fascismo ed essersi posto al servizio di forze politiche dirette alla corruzione e alla disgregazione del popolo italiano. Non a caso, Mussolini disse che: «Il fascismo è una concezione religiosa (...) è educatore e promotore di vita spirituale. Vuole rifare non le forme della vita umana, ma il contenuto, l'uomo, il carattere, la fede (...) l'autorità fascista non ha niente a che vedere con lo Stato di polizia (...) l'impero non è soltanto un'espressione territoriale (...) ma spirituale e morale».

Chiusasi l'epoca in cui la DC fu lo «strumento della massoneria americana per scristianizzare l'Italia» (Del Noce) e il MSI lo strumento per de-fascistizzare i fascisti, che ne è dei fascisti superstiti?

La fine di un'epoca determina sempre grandi sconvolgimenti e periodi di transizione durante i quali si enucleano i nuovi modelli di convivenza e di coesione socio-politica; in tali periodi sopravvivono soltanto quelle forze che sono capaci d'incidere positivamente alla formazione della civiltà in gestazione, le altre vengono travolte fra le scorie dell'epoca passata.

In questa fase il fascismo repubblicano sociale deve essere messo in grado di dire tutto quello che gli fu impedito di dire a causa della guerra e della persecuzione che ne è seguita. È ora che esso riacquisisca il diritto di cittadinanza piena all'interno del mondo che lotta per il cambiamento e vi operi con tutta la propria inconfondibile originalità rivoluzionaria; che si misuri liberamente con le problematiche poste da una lotta di lungo periodo la quale non potrà essere efficacemente affrontata se non sulla base di salde risorse spirituali e culturali; che recuperi un equilibrato rapporto con la comunità nazionale e internazionale e ne tragga apprezzamento e consenso mediante programmi socio-economici e linee politiche d'avanguardia. I diversi possibili scenari che la scienza della previsione sociale ci pone dinnanzi, avvertono univocamente che una umanità più giusta per tutti non può che scaturire dall'esito positivo della lotta per l'affrancamento dell'umanità dalla tirannide plutocratica, alla quale ci si deve preparare con la consapevolezza di chi sa di compiere un dovere sacro.

In questa prospettiva, poiché il fascismo appartiene più al futuro che al passato, il nodo cruciale non sta nei vaghi richiami nostalgici, ma nella corretta individuazione degli obiettivi, nel come raggiungerli e nelle idealità che debbono orientarci.

La FNCRSI richiama l'attenzione su due documenti che dimostrano come -anche in anni intrisi di subdole trame e di aperte persecuzioni- sia possibile restare fedeli alla Causa:

1) «I tempi sono maturi per un attacco a fondo contro il MSI, tale da ridurlo agli occhi di tutti per quello che è in effetti. Un partito che si è inserito nel sistema antifascista, sotto la direzione di antifascisti, per sorprendere la buona fede dei fascisti, allo scopo di raggiungere finalità che nulla hanno a che vedere con il fascismo» (B. Ripanti, Segretario nazionale della FNCRSI, 10/12/1966)

2) «Del marxismo noi non neghiamo, anzi confermiamo, in termini originali e categorici, il supremo anelito alla giustizia sociale, ma confutiamo l'errore della sua metodologia collettivista e materialista, pertanto lo scavalchiamo a sinistra della sua cristallizzazione di partito, del suo permanente furore persecutorio e della sua infernale gerarchia di setta, per confinarlo nel suo pesante ruolo di comprimario della reazione». (P. F. Altomonte, Presidente della FNCRSI, 28/5/72).

Uno di essi, accusato del delitto di «vilipendio alla nazione», fu processato in Corte d'Assise, per avere stilato e fatto diffondere nelle scuole della Capitale un manifestino nel quale si diceva che «l'Italia era diventata una nazione scettica e corrotta».

 

Ultima quaestio

Fra le comunicazioni pervenute alla FNCRSI negli ultimi tempi, ve n'è una che può essere assunta a modello dello stato di incertezza in cui versa l'ambiente dei Combattenti della RSI. Per la sua esemplarità e in quanto formulata da persona di sicura onestà intellettuale, esige una risposta definitiva, ancorché penosa.

Essa pone due questioni:

a) «È mai possibile che persone come noi, che hanno sacrificato tutta la loro vita per un Ideale, che hanno subito duramente le più ignobili persecuzioni per la loro Fede, non sappiano trovare un accordo e non riescano ad operare uniti?»;

b) «Dobbiamo lasciare ai posteri il nostro prezioso patrimonio ideologico, storico, culturale e morale?»;

questioni ineludibili che coinvolgono la condotta passata, presente e futura dei Combattenti della RSI.

Orbene, poiché nulla accade senza una causa, sorprende la sola constatazione degli effetti e non pure la individuazione delle cause che hanno determinato l'attuale situazione; non meno inquietante è la convinzione di taluni, secondo la quale nulla sarebbe stato fatto per evitarla. Nella storia vanno ricercate le responsabilità dei popoli, come quelle dei singoli.

Dopo le deviazioni atlantiche e l'apparentamento coi monarchici, la FNCRSI, invitò gli aderenti a riflettere su un dato incontestabile: «Nessun partito o movimento dello schieramento politico italiano rappresenta l'Idea fascista» (DN 1956). Su tale constatazione, J. V. Borghese, presidente della FNCRSI, in vista delle elezioni generali della primavera 1958, notificò a Michelini che, ove il MSI avesse persistito nella collusione con la destra conservatrice, avesse candidato ancora monarchici, antifascisti e partigiani, i Combattenti della RSI avrebbero votato scheda bianca. La tardiva e poco acconcia risposta di Michelini determinò il fatto che, al fine di contestare globalmente il sistema antifascista, per la prima volta in Italia, un gruppo di cittadini decidesse di votare scheda bianca.

Tale decisione riproponeva in effetti l'antinomia fra fascismo-partito e fascismo-movimento; contrasto che sembrava aver trovato adeguata composizione nella RSI. All'allarme nel MSI, fece riscontro qualche ripensamento in seno alla Federazione. Borghese, contrariamente a quanto, anche dietro sua proposta, era stato deciso in sede di DN, fece pubblicare un numero speciale per l'Abruzzo del Secolo d'Italia, con il quale invitò a votare per il missista L. Turchi. A seguito dell'Assemblea Nazionale dell'aprile '59, Borghese venne espulso per indegnità dalla Federazione e sostituito con G. Pini.

Seguendo la propria visione del tutto personalistica dell'Organizzazione (il maresciallo Graziani gli avrebbe lasciato in eredità la presidenza della FNCRSI), Borghese mise in piedi una sedicente unione di ex-combattenti la quale, in quanto appendice reducistica del MSI, conseguì l'alto onore di essere sovvenzionata e guidata dai due co-presidenti monarchici, Lauro e Covelli. In questo clima di irresponsabilità, di strumentalizzazione dell'Idea e del passato di quanti l'avevano onoratamente servita, si giunse alla «marcia su Bolzano», ai vari tentativi (veri o presunti) di «golpe», al manifesto in lingua inglese per far sapere a Nixon che soltanto i missisti erano i servi fedeli degli USA, fino ai recenti incensamenti a Violante, all'assurda partecipazione alla «voce dei vinti» e all'accettazione tacita del XXV aprile come festa di tutti gli Italiani. Questa è la realtà.

Ma quanti di coloro i quali ora si stupiscono delle divisioni, delle scissioni, ecc., a suo tempo abbandonarono le posizioni di comodo al coperto di un partito deviato e deviante, per servire la Causa in organizzazioni non colluse con il sistema antifascista o in una Federazione di Combattenti sempre più povera di mezzi e sempre più fatta oggetto delle attenzioni della polizia e della magistratura?

Soltanto un esame di coscienza fatto con vero spirito legionario e nella convinzione della esigenza della condanna previa di quanti hanno fatto e fanno ancora mercato dell'Idea, può animare un nostro progetto unificante. A chi obiettasse che così facendo, rimarremmo soltanto in dieci, rispondiamo, ora e sempre, che in dieci, in diecimila o in dieci milioni questa è la nostra posizione e da essa non defletteremo di un solo centesimo di millimetro. È inutile illudersi, i fascisti possono essere riuniti soltanto nel e dal fascismo, per fascismo intendendo l'ultima sua concretizzazione sociale e repubblicana.

Una cosa sola resta del missismo: il reducismo sui generis di quelli che, essendo stati risucchiati nella anodina quotidianità borghese, sporadicamente s'illudono di ravvivare, mediante profane àgapi punteggiate di ricordi, di barzellette e di nostalgici canti, quella ormai smarrita dimensione volontaristica che un tempo li portò ad affrontare disagi e pericoli.

 

La concomitante azione nefasta dell'antifascismo e dell'anticomunismo

L'anticomunismo e l'antifascismo hanno prodotto danni gravissimi al popolo italiano il quale, chiusa la parentesi bellica, con la ricostruzione diede ancora testimonianza di ragguardevoli riserve morali e di notevole attaccamento al bene comune.

Giuseppe Rauti fu il primo a valutare lucidamente i pericoli insiti nell'anticomunismo: «... la generica aspirazione anticomunista (...) si divide e si differenzia nettamente. C'è l'anticomunismo di chi difende dei «valori», e c'è l'anticomunismo di chi difende degli interessi. Ci sono quelli pronti a reagire contro la sovversione dilagante, per creare qualcosa di nuovo, e ci sono quelli che sono disposti solo a difendere quello che già esiste. V'è, insomma, un anticomunismo borghese ed un anticomunismo rivoluzionario, quello che per meglio distinguersi, ameremmo veder chiamare col suo più vero nome: antibolscevismo». Alla «... forza del comunismo, bisogna sapere e poter opporre, molto, infinitamente di più che la difesa dell'ordine e della tranquillità esistenti: bisogna poter opporre un'altra fede, un entusiasmo ancor più vivo, una superiore capacità di dedizione e di sacrificio». ("Asso di bastoni", 2/1/55)

Dopo meno di dieci anni, Rauti rinnegò integralmente le sue convinzioni e si pose al servizio «... di chi dietro tutto ciò (...) nasconde solidissimi interessi» (ivi), anziché persistere sul difficile sentiero di un «... nostro anticomunismo (...) che sappia assumere su di sé il compito fascinoso di rinnovare l'intera vita italiana (...) senza sciupare le energie nel vano tentativo di tenere in piedi un sistema che noi per primi denunciammo in crisi e in sfacelo» (ivi). L'inversione di rotta di Rauti fu un cedere, alla violenza o un soggiacere alla convenienza?

L'involuzione del MSI è così sintetizzata nella mozione conclusiva dell'A.N. della FNCRSI (Treviso 23/4/1967): «È inutile ripercorrere le tappe di un cammino ignobile, ma non possono tacersi gli effetti che il sacrificio dell'indirizzo politico rivoluzionario ha prodotto nella stessa struttura organizzativa (...) con l'abbandono della preparazione dei quadri, nella rescissione di ogni rapporto con una dottrina politica derivante da una concezione del mondo (...) Tutta l'azione politica del MSI è stata una testimonianza di questo indirizzo riformista e collaborazionista (...) la stessa qualificazione di destra provocata mediante l'apparentamento coi monarchici hanno fatto assumere al MSI addirittura la funzione di scialuppa di salvataggio o di valvola di sfogo del sistema ...».

Il primo Ordine Nuovo ebbe origine da un piccolo gruppo di ex-militanti del MSI, raccolto intorno a P. F. Altomonte, ex-comandante di un Battaglione di BB. NN., già responsabile culturale del MSI e poi presidente della FNCRSI), con l'intento di delegittimare la dirigenza missista. Il massone Michelini, valutatane la pericolosità, ma anche l'assoluta povertà di mezzi -al fine di procurarsi un mezzo di vigilanza e di condizionamento dei giovani fascisti più volitivi e più culturalmente preparati- affidò a Rauti, giovane tanto intelligente quanto ambizioso, l'incarico e gli fornì i mezzi per fondare un altro Ordine Nuovo che neutralizzasse quello esistente.

Questa operazione si saldò con quella più generale di controllo e di strumentalizzazione nell'«ambiente» posta in atto dal Viminale dopo la promulgazione della c.d. legge Scelba. È da ritenere che quel filo diretto con il Viminale sia ancora operativo. Gli USA e i partiti del CLN non potevano tollerare un fascismo sempre risorgente e che la faceva da padrone nelle piazze e nelle università. Una fattiva collaborazione si era però stabilita sin dal '47 (tanto che il primo segretario nazionale del MSI, l'ottimo Trevisonno, vista la mala parata, si dimise immediatamente) ed era culminata nella consegna al Viminale degli elenchi degli aderenti al FAR da parte di Mieville per ordine di Almirante. Pronubi alcuni massoni presenti nelle direzioni del PCI e del PSI, analoghe iniziative furono attuate dal Viminale anche nei confronti della sinistra. Queste produssero la scissione di Saragat prima e diedero luogo poi ad un antifascismo e ad un anticomunismo di comodo, direttamente funzionali ai disegni della cosca catto-massonica mantenuta al potere dagli USA e dal Vaticano.

«I due fratelli scemi che per mezzo secolo si sono combattuti tentando ciascuno di stabilire a danno dell'altro un rapporto privilegiato con la DC» (G. Accame, "L'Italia Settimanale", n° 4/94), fungevano inoltre da zone di logoramento. Soltanto pochi seppero sottrarsi a tali biechi sodalizi trasversali.

 

Il convegno dell'Istituto Pollio

Sotto il patrocinio dello Stato Maggiore, dal 3 al 5 maggio 1965, si tenne a Roma il famigerato Convegno sulla «guerra rivoluzionaria». L'importanza di questa iniziativa è decisiva nella storia della degenerazione neofascista. Essa segna la fine delle collaborazioni occasionali e dà inizio, in nome della «destra al servizio della nazione» a quella della collaborazione organica e permanente con il sistema di potere DC.

Che la g.r. di quel convegno non fosse una cosa seria fu subito chiaro, infatti divenne argomento da salotto e da circolo ricreativo. Presieduto da un ufficiale superiore dell'Esercito, il convegno produsse una serie di disorganiche chiacchierate (raccolte in "La guerra rivoluzionaria", Ed. Volpe, Roma, 1965). Rauti, dopo aver sostenuto che: «per quanto si sappia tutti che esiste un apparato (comunista - N.d.R.), pronto a scattare alla prima occasione» e che «non c'è nulla di peggio (per i comunisti - N.d.R.) che l'illustrazione più vasta possibile del tipo di particolare aggressione che essi pensano di poter effettuare in Italia», ammette: «Spetterà poi ad altri organi, in senso militare e in senso politico generale, trarre l'elaborazione completa della tattica contro-rivoluzionaria e della difesa» (ivi, pp. 97-98). È vero, il PCI manteneva un proprio organismo paramilitare clandestino, la cui segretezza però era mal riposta su di un peccato antico quanto il mondo, il pentitismo, nonché sulla sottovalutazione della Benemerita, la quale, catturato un buon numero di partigiani per reati diversi, mediante qualche impunità e qualche sconto di pena, in breve tempo acquisì gli organigrammi dell'apparato e fece cambiare proprietario ai depositi «segreti» di armi e munizioni. Questa essendo la situazione, a che pro tanto convegno?

Rauti era a conoscenza di tutto ciò. Nessuno meglio di Lui era consapevole che Yalta costituiva un sacro dogma a Est come a Ovest; che il PCI in Italia non avrebbe potuto nemmeno pensare al «sorpasso» elettorale e che non c'era bisogno che nascessero il PSIUP e il PDUP per dimostrarlo. Sapeva, inoltre, perfettamente che la g.r. era un maldestro escamotage teso a mascherare il vero obiettivo del convegno: coordinare un gruppo di lavoro politico avente il compito di fornire -secondo lo schema operativo collaudato dalla CIA in Asia e in America Latina- una massa di manovra composta da elementi civili in grado di dare l'aspetto esteriore di un movimento di popolo a probabili attività golpistiche, tese ad evitare ulteriori slittamenti a sinistra dell'asse della politica italiana. In tal modo, la repubblica nata dalla resistenza, acquisiva tutti gli aspetti di una «repubblica delle banane». L'inconsistenza teorica dell'iniziativa e la sua stessa inutilità è dimostrata dal fatto che nel convegno vennero riesumati tutti i luoghi comuni sulla g.r. presenti nella "Rivista Militare" e nelle sinossi redatte dallo SME per i corsi di aggiornamento dei quadri: una congerie di dati eterogenei e di riferimenti teorici desunti dalle riflessioni dei colonnelli francesi, la cui cecità politica li aveva erroneamente indotti alla sola minaccia dell'aviosbarco su Parigi, cioè al solo evento che, se attuato con successo, avrebbe potuto estorcere il placet del Pentagono ad un movimento militare intrapreso in Occidente senza il suo consenso previo. Per una serena valutazione di quel che si disse nel convegno, bisogna intendersi: chiunque può non saper cogliere i «segni dei tempi», senza per questo essere biasimato, ma che, attraverso la frode e il travisamento siano state fatte passare per fasciste teorie anacronistiche e reazionarie, questa è colpa imperdonabile.

È singolare che nel convegno non vi sia traccia della benché minima divergenza, di obiezioni, di confutazione di idee, ecc. tutto risolvendosi in un illogico e pretestuoso convergere sulla necessità impellente di difendere un Occidente che nessuno si sognava di attaccare.

Con un minimo di decoro, la dimensione storiografica e teoretica sulla g.r. sarebbe dovuta rimanere sullo sfondo del tema e lasciar campo all'esposizione critica non tanto delle idee altrui, quanto delle nuove prospettive che stavano concretizzandosi sul terreno in vari continenti, così da fornire un quadro non falsato della tragica realtà della guerra rivoluzionaria.

Per lo Stato Maggiore e per i convegnisti, vale la sferzante riflessione di Clemenceau: «La conduzione della guerra (soprattutto quella rivoluzionaria - N.d.R.) non può essere affidata ai generali».

Nella comunicazione di G. Accame, si legge: «... le condizioni politiche del proprio paese sono un dato della realtà a partire dal quale i militari devono impostare i problemi della difesa. Sognare condizioni politiche diverse è, in altre parole (...) come l'immaginare un terreno d'operazioni diverso da quello che è, per semplificare i problemi (...) Il malgoverno va accettato come il maltempo». Siffatto pensiero «militare» di marca borghese, consiste in concezioni irrimediabilmente obsolete, già superate nella RSI a seguito della controversia (esercito di coscritti o di volontari) insorta tra Graziani e Ricci. Non si trattò quindi, di aderire soltanto teoricamente a taluni princìpi che ripugnavano a quanti avevano vissuto sulla pelle i due aspetti (difensivo-offensivo) di una g.r. scatenata da coloro nell'interesse dei quali i convegnisti operavano, bensì di consegnare giovani e meno giovani camerati nelle mani di un sistema di potere che li avrebbe umiliati, incarcerati e dispersi; cosa che puntualmente avvenne dopo il riuscitissimo «golpe Borghese», in conseguenza del quale l'intero «ambiente» -secondo la prassi «USA e getta»- venne interamente scompaginato.

L'assoluta centralità della funzione delle FF.AA. borghesi -diffusa a piene mani in tutti gli interventi- si evince con solare chiarezza dalla comunicazione del prof. Filippani Ronconi il quale, delineando una sorta di controguerriglia in chiave sudamericana manovrata dai badogliani dello SM, propone un ruolo operativo del tutto subalterno per la componente civile: «Queste persone che, suppongo, potrebbero provenire da Associazioni d'Arma, nazionalistiche, irredentistiche, ginnastiche, di militari in congedo, ecc. dovrebbero essere pronte ad affiancare come difesa civile (qualcosa come i «Somatèn» catalani durante la guerra sindacale del 1913-23 in Spagna), le forze dell'ordine ...» (ivi, p. 244). Visto che l'illustre cattedratico conosce la storia spagnola, che non ignora che i Somatèn furono valorosi protagonisti della rivolta contro l'invasione francese del 1808, perché, se non per fornire un ulteriore esempio di mentalità e di volontà controrivoluzionaria, fa riferimento soltanto alle modeste comparse del 1913-23?

Ancor più esplicito è G. Pisanò: «Le Forze armate godono la mia e la nostra piena fiducia (a quel tempo erano bolscevizzate almeno al 50% - N.d.R.) sono pronte a fare miracoli, ma non basta ...» (ivi, p. 129). Queste insulse considerazioni venivano proferite, pur avendo sotto gli occhi lo svolgimento concreto (da manuale) di una vittoriosa g.r. popolare come quella dei Vietcong contro l’esercito più potente del mondo.

C'era bisogno di magnificare ancora una volta la forma mentis patologicamente retrograda che trae origine dalla inguaribile «sclerosi piemontese» (D’Eramo) la quale, anche dopo fatti tanto significativi quali le rapidissime campagne della Wehrmacht in Polonia e in Francia, precluse ai generali italiani la comprensione dei concetti della tattica e della strategia d'infiltrazione? Se i convegnisti avessero serbato in sé i fermenti di una superiore visione della vita, avrebbero almeno osato accennare ad una possibile g.r. che si innestasse nei princìpi della «guerra del sangue contro l'oro»; visione di gran lunga più presente in Che Guevara che non in quegli scribi e burocrati prezzolati. I quali fingevano di manipolare ma erano manipolati, s'illudevano di agire ma erano «agiti», simulavano un servizio, ma cedevano alla peggiore delle servitù, tuttavia quel che più ripugna è la cinica loro indifferenza rispetto all'asservimento della Patria ad interessi stranieri.

L'ulteriore funzione paragovernativa svolta dal MSI e da ON, con la "Guerra rivoluzionaria" (C. Graziani), "Le mani rosse sulle forze armate" (Messalla-Rauti) in difesa del capo di SM Gen. Aloja, l'esaltazione dei corsi di ardimento, la collusioni coi colonnelli greci guidati dalla CIA, le riduttive ed arbitrarie interpretazioni di Julius Evola, il reclutamento di vecchi arnesi della massoneria, quali Birindelli, De Lorenzo, Miceli, ecc., diedero l'avvio ad una vera e propria «svolta antropologica» attraverso la quale i fascisti, dallo stile di vita legionario passarono allo stile di vita mercenario. Tuttavia, questa caduta onto-antropologica da de-individuazione eteronoma, insinua il dubbio se il missista sia mai stato fascista, vale a dire se da una precedente finzione, egli non sia trasmigrato in un'altra ancor più ambigua: il processo, come è noto, si esaurisce in Berlusconi, cioè nel nulla.

Elaborata una propria «risposta» in ordine alla g.r., collimante con la Dottrina e supportata dalle esperienze e dalle riflessioni dei suoi aderenti, la FNCRSI tenne conferenze, organizzò campeggi e volantinaggi e dimostrò in maniera inequivoca una linea politico-militare del tutto autonoma e antitetica a quella dello Stato Maggiore.

Non si poteva essere più chiari: «... è stato teorizzato un tipo di g.r. che si articola unicamente su concetti difensivi. Occorre stabilire che non dobbiamo difenderci da nessuno (...) che dobbiamo ritrovare la forza e la coesione per attaccare e per vincere. A questo punto non è più nemmeno il caso di parlare di g.r., bensì di guerriglia difensiva e di porsi sullo stesso piano dello SM: il che equivale ad una squalifica vera e propria» ("FNCRSI-Notizie", ott. 1968); «Riaffermata la nostra disponibilità anche alla ripresa della lotta armata (...) il problema che si pone è triplice:

a) realizzare la preponderanza ideologica sul nemico( ...);

b) ridestare il sentimento della rivincita europea contro il verdetto che ci vide sconfitti solo militarmente;

c) preparare gli uomini e predisporre i mezzi necessari alla lotta» ("Azimut", febb. '69);

«Si avvicina però il giorno del redde rationem per quanti hanno determinato l'arresto del nostro ambiente nello sterile terreno delle fasi di analisi; come in ogni rivoluzione che si rispetti, la punizione dei traditori costituirà il primo tempo della prima fase operativa» ("Azimut", marzo '70); nel '70, il responsabile romano fu processato per aver stilato e fatto diffondere un manifestino in cui era detto: «Il fascismo non è sinonimo di dittatura (...) ma vuole un rivoluzionario rapporto sociale basato sul senso dell'onore e della lealtà (...) solo una società di schiavi accetta di festeggiare, come liberazione, una sconfitta militare (...) il cadavere straziato di Mussolini è l'immagine del martirio d'Europa».

Ciò abbiamo ricordato non a motivo di vanto, ma per documentare che si sarebbe potuto fare di più e meglio.

 

Ancora sangue nelle piazze d'Italia

La strategia degli opposti estremismi aveva già prodotto stragi esecrabili e si profilavano all'orizzonte stagioni di caos e di sangue. Se i neri non erano neri e le BR non erano rosse, chi era veramente presente in via Fani, prima, durante e dopo il rapimento di Moro? Che senso aveva contrapporre alle BR le BB.NN., che non c'erano? Avremmo potuto tuttavia dar luogo (con ben altra scelta degli obiettivi e capacità offensiva) ad episodi simbolici della nostra g.r., ma a vantaggio di chi? Non certo del fascismo, il quale esige la rivoluzione delle coscienze, l'unione del popolo e non la sua divisione; soprattutto il fascismo non crede nei «golpe», nelle congiure di palazzo e nella guerra civile: il fascismo è la rivoluzione dell'intelligenza o non è. Comunque, apprezzata l'emergenza, l'azione armata si palesava intempestiva e dannosa. A che pro esporci al dileggio di cui ora sono oggetto coloro i quali si sono vantati di aver fatto la «lotta armata» e che meritano, ancora una volta, la strofetta dissacratoria con la quale i nostri ragazzi schernivano gli «eroi» che avevano chiesto l'onore di rientrare nel MSI?:

«Trallallero, trallallà,
le chiappe a Nixon vado a leccà.
Trallallero, trallallà,
viva la pace e la libertà»

("FNCRSI-Notizie", mar. '69)

 

Questa è una triste storia che molti, a destra, fingono d'ignorare. E benché l'Ulivo vi abbia sparso l'olio dell'oblio, è ben conosciuta anche a sinistra. "Strage di Stato" (ed. Savelli, '77), e tanti altri libri, riviste opuscoli ecc, non li abbiamo scritti noi.

Ciò posto, accertate le collusioni di destra e di sinistra con il sistema di potere DC, la FNCRSI ritiene che un solo episodio contro tale potere può essere considerato autentica «lotta armata», l'attentato di Peteano, tutto il resto essendosi rivelato una penosissima tragicommedia. Episodio intempestivo e fuori di ogni contesto organizzativo efficiente quanto si vuole, ma assolutamente unico. Duole profondamente che l'ideatore-esecutore (il quale ha scritto il libro molto importante, "Ergastolo per la libertà", Ed. Arnaud, Firenze 1989) abbia cercato il fascismo e l'abbia trovato solo «nei libri e nei cimiteri», ma non gli si può attribuire altro torto che quello di non aver saputo cercare. Né, data la «compagnia malvagia e scempia» che si era data, avrebbe potuto trovare alcunché di positivo.

Giovane cresciuto nel peggiore neo-fascismo, Vincenzo Vinciguerra, con la dichiarazione resa al g. i. della Corte d'Assise di Venezia il 28/4/84, ha saputo assurgere a livello di autentico fascista: «Mi assumo la responsabilità piena, completa e totale della ideazione, dell'organizzazione e dell'esecuzione materiale dell'attentato di Peteano che si inquadra in una logica di rottura con la strategia che veniva allora seguita da forze che ritenevo rivoluzionarie cosiddette di destra e che invece seguivano una strategia dettata da centri di potere nazionali ed internazionali, collocati ai vertici dello Stato (...) decisi un'azione di rottura che segnalasse a quanti ritenevano inaccettabile il proseguimento di una lotta politica strumentalizzata, la necessità di dare il via ad una battaglia politica indipendente contro il regime politico imperante ...» (ivi, pp. XII e XIII). In quanto portatori di un'etica che non si arresta al mero giudizio di approvazione-disapprovazione dei comportamenti riguardo al bene e al male, ma prosegue il suo iter fino ad inserirsi nell'atto che dà compimento all'azione concreta, riteniamo che, con tale dichiarazione, egli ha conseguito l'apice della coerenza etico-morale, addossandosi l'immane fardello di un «ergastolo per la libertà» di essere niente altro che fascista. Onorevole condizione questa, che viene lealmente apprezzata dalla sentenza del 25/7/87 di quella stessa Corte d'Assise: «Una posizione indubbiamente singolare quella di Vincenzo Vinciguerra (...) la sua figura di soldato politico non è mai venuta meno e mantiene intatta la sua potenzialità offensiva nei confronti dello stato democratico» (ivi, p. XIV).

I carabinieri uccisi a Peteano costituiscono perciò l'incongruo prezzo dovuto non tanto alla lucida disperazione del Vinciguerra, quanto alla infame prassi di un sistema di potere che ha fomentato -avvalendosi di manovalanze ora di destra e ora di sinistra- e attuato l'insana strategia della tensione, delle stragi di inermi e della sacrilega divisione del popolo italiano.

La FNCRSI confida che il presente definitivo chiarimento non sia vano.

 

Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Il Comitato Direttivo

 

 

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