da "AURORA" n° 43 (Agosto - Ottobre 1997)

IL  DIBATTITO

Noi, «collusi» con il Governo

Francesco Moricca

Si dà seguito all'Editoriale del n°42 di "Aurora" con alcuni argomenti che dovrebbero costituire una risposta esaustiva a quanti ci accusano di essere «teneri» nei riguardi del governo Prodi: siano essi appartenenti alla sinistra marxista «dura», o fascisti sedicenti «ortodossi» oppure «eretici».

Ai critici marxisti si può rispondere con un rimando al "Marx contra Marx" pubblicato sul n°41 del nostro mensile, invitandoli preventivamente a una critica corretta che, cioè, tenga nel dovuto conto che noi non siamo marxisti né possiamo diventarlo solo per far piacere a chi lo è o ritiene di esserlo per «opportunità di metodo».

Ai fascisti «ortodossi» facciamo osservare che essi ragionano secondo una logica che o li rende -come in effetti li rende- succubi del berlusconismo, oppure, vanificando la loro intenzione polemica nei nostri confronti, non solo conferma la nostra posizione, ma la rafforza di gran lunga. Infatti il governo Prodi, per le varie ragioni riferentisi alla crisi forse irreversibile del comunismo internazionale, pur definendosi ed essendo definito di «centrosinistra», è assai più a destra di tutti i governi di centrosinistra della c.d. «Prima Repubblica». Conseguentemente, essere «teneri» verso esso, equivarrebbe a spingerlo sempre più a destra con esiti tendenzialmente «rivoluzionari».

Infine, ai fascisti «eretici» possiamo rispondere che le nostre posizioni sono le loro stesse (anche nelle attuali scelte tattico-strategiche), ma sostenute in piena indipendenza, e senza preoccupazione alcuna di soddisfare un malinteso senso della «identità fascista», spesso in passato resosi complice di assai equivoche alleanze con il nemico di ieri e con forze anti-nazionali quanto anti-rivoluzionarie. Possiamo aggiungere che la nostra divisa politica è questa nostra indipendenza, da cui discende, al momento, la nostra esigua forza politica, di cui facciamo vanto e che un giorno certamente ci farà guadagnare in consenso. È questo il nostro modo di intendere il «legionarismo» del XXI secolo.

Guardiano ai grandi spazi e costruiamo la nostra azione sui tempi lunghi.

L'Editoriale cui facciamo seguito dimostra tuttavia, con il realismo e la pacatezza delle sue riflessioni (sostenute da riferimenti ad Autori non fascisti e qualificati presso la pubblicistica accreditata), che non manchiamo di attenzione per l'attualità più viva, che siamo capaci di un sereno esame dei fatti, senza l'arroganza propria ai dottrinari, ma neanche con quella falsa modestia con cui i dottrinari occultano la loro connaturata arroganza per meglio perseguire i propri fini.

Alcuni punti vanno tenuti ben presenti prima di muoverci delle critiche, in particolare riguardo alla sostanza dell'Editoriale che ha scandalizzato col suo ribadire la nostra, linea «favorevole» all'attuale governo.

Anzitutto il nostro socialismo nazionale che riprende, sviluppandola e adattandola alla contemporaneità, l'esperienza del primo e dell'ultimo Mussolini.

In secondo luogo il fatto che noi non ignoriamo né possiamo ignorare la sua esperienza per così dire «trasformistica»: ciò che a Mussolini consentì di affermarsi sulla scena politica nazionale fino al conferimento della carica di Primo Ministro (quanto del «trasformismo» mussoliniano attiene alla fase del «Regime» e della dittatura è cosa su cui non abbiamo mancato di pronunciarci con notevole ricchezza di prospettive e con toni anche fortemente critici).

Dovrebbe essere scontato -ma è bene non rifuggire dalla banalità se si vogliono evitare equivoci e conseguenti strumentalizzazioni- che noi vogliamo acquistare spazi di azione politica. Se invece di ricorrere ai soliti mezzucci della «politica politicante» (vergognosi mezzucci quando i sedicenti nazionalisti del Polo non si peritano di trattare con Bossi pur di scalzare l'Ulivo a Venezia), noi cerchiamo di presentarci alla pubblica opinione mostrandoci tanto politicamente e culturalmente preparati quanto ragionevoli e moderati (sia pure offrendo il destro per attaccarci a chi potrebbe in noi ravvisare un complesso da «primi della classe»), questo non è poi un gran male; e comunque non può avere relazione con la nostra presunta condiscendenza verso Prodi, perché certissimamente egli non saprebbe che farsene di «primi della classe» che in sostanza non abiurano le loro radici fasciste, e che, essendo effettivamente aperti al dialogo, mussolinianamente aperti al dialogo, sarebbero molto ostici da «gestire» e forse assai temibili «concorrenti».

Per dirla con estrema franchezza, l'accusa rivoltaci di essere «teneri» verso il governo potrebbe sottendere ben altro significato: che, cioè, in qualche modo, noi saremmo «collusi» con esso.

Ebbene, siccome l'impegno fattivo di Prodi -fattivo nonostante i limiti del personaggio, le ambiguità, le incertezze, ma anche le obiettive difficoltà del contesto internazionale- a favore dell'unità europea ha una innegabile valenza anti-americana, noi, potendolo, vorremmo essere «collusi» con lui molto più di quanto potrebbero immaginare i nostri critici più malevoli.

Va detto a questo punto che altri critici, questa volta interessati e ben più malevoli, hanno notato, a ragione, che l'Editoriale in parola si segnalava per un taglio accentuatamente anti-americano, contestato perché «politicamente inopportuno» dati i «successi» della politica di «risanamento economico» di Clinton e le recenti dichiarazioni di quest'ultimo. Non solo l'Editoriale e l'articolo di Mariani contraddicono con argomentazioni fondate e non di parte i «successi» e l'auto-apologetica clintoniani, ma, dimostrano -non temiamo la «retorica»- che a paragone di tutti i «comunisti» e degli altri fascisti «ortodossi», noi siamo fra i pochissimi per i quali «la guerra (contro l'imperialismo anglo-americano) continua: continua per motivi molto seri e con intenti etici, visto che purtroppo ancora fra noi e i comunisti si frappone l'antifascismo immortale (necessitato ma anche di comodo) più che il nostro anticomunismo.

Occorre al riguardo ribadire che il nostro anticomunismo non nasce, come quello del partito di Fini (non a caso alleato con quello di Berlusconi), dalla difesa degli interessi della borghesia, ma da una convinzione: la stessa che spinse Mussolini a prendere le distanze da un certo socialismo, per creare il suo socialismo, cioè il Fascismo. Noi difendiamo una concezione politica, che non vuole affatto distruggere le classi, ma la prevaricazione di classe in quanto tale; che afferma il diritto della comunità nazionale per tutti i popoli; e crede che una data nazione ha titolo all'Impero solo in quanto si fa portatrice di questa idea eminente del diritto, corrispondente alla Tradizione romana della «equitas». Crediamo che la direzione politica suprema debba appartenere a un organismo che non abbia nulla in comune coi partiti moderni (con la loro funzione di classe) ma somigli in qualche modo e nella sostanza a un Ordine, secondo la tipologia degli Ordini monastico-cavallereschi del Medioevo, Ordini presso i quali vigeva il più rigoroso comunismo economico prima che iniziasse la loro decadenza; comunismo ascetico che era diametralmente opposto a quello materialiatico-edonistico teorizzato dal marxismo, comunismo per pochi che, conoscendo la natura umana e la primaria necessità di tenerla a freno e guidarla con l'esempio, conservavano la proprietà privata, come principio di disciplina e di materiale prosperità, per gli altri, e vi rinunciavano totalmente per se stessi.

Diciamo ai comunisti: noi siamo con voi tutte le volte che la vostra battaglia è una battaglia per la giustizia e contro il prepotere dei magnati (per questo siamo stati con voi contro Berlusconi e il suo scherano Fini); siamo e saremo con voi anche se voi non riuscite a capire le nostre ragioni, le ragioni del nostro superiore comunismo. L'importante è che le conosciamo noi, queste ragioni che voi avete la «finesse» di qualificare «idealistiche», «ingenue», degne di «inguaribili romantici» per giunta affetti da «wagnerismo» e magari «in odore di nazismo».

Analoghe contestazioni ci sono pervenute più volte dai «buoni cristiani cattolici romani» variamente impegnati «nel sociale» e «politicamente», appartenenti alle varie formazioni costituitesi dopo la «messa in liquidazione» della DC. Anche costoro, oggi più degli stessi comunisti, fanno professione di «antifascismo», e secondo noi poiché esiste ancora il Vaticano, con «più ragione» dei comunisti, che, laddove sono onesti e hanno recepito il pensiero di Marx nella sua essenza, dovrebbero trarne conclusioni precise per quanto «sconcertanti», sulla linea, a un di presso, di alcune indicazioni del "Marx contra Marx".

Poiché i comunisti privilegiano le analisi «realistiche» (ovverosia politiche ed economiche), l'Editoriale in parola come l'articolo di Mariani, che ribadiscono con coerenza e scientifica aderenza ai «fatti» la linea del nostro Movimento non dell'ieri o dell'altro ieri, dovrebbero offrire motivi di riflessione seria: una riflessione che tuttavia non vi sarà, o se vi sarà sarà taciuta, fino a quando i comunisti non vi saranno costretti dalla «dialettica storica», da quel «dio» cui essi soggiacciono passivamente e interessatamente non meno dei «cattolici» cui si contrappongono «antagonisticamente». Il discorso è «ad personam», è rivolto all'On. Bertinotti e ai più qualificati esponenti di Rifondazione. Il che ci offre il destro per una considerazione che si riferisce al «duplice volto» del comunismo italiano, alla sua peculiarità che -a nostro modo di vedere- ne fa l'unico valido erede su scala mondiale del comunismo internazionale, e assai più di quel che resta in Russia del vecchio PCUS più o meno legato allo stalinismo.

La scissione del PCI nelle due formazioni oggi guidate dagli On. D'Alema e Bertinotti, al di là delle contingenze e del gioco dei «tatticismi» che fra i comunisti italiani valgono assai poco visto che non è stato poi impossibile sostituire D'Alema ad Occhetto, si spiega con una precisa tattica e strategia derivata dal leninismo: con la scelta di non rinunciare ad andare al governo «coi borghesi», e nel contempo di conservare la impronta «rivoluzionaria» del comunismo; egemonizzando tutte le forze anti-sistema e usandole come strumento di pressione e di «ricatto» verso gli alleati di governo.

Questa tattica e strategia (ma sarebbe meglio parlare di tattica-strategia) è teoricamente ineccepibile e persino da noi condivisibile, se noi non avessimo quanto meno il dubbio che effettivamente il Giano comunista persegua ancora finalità rivoluzionarie in senso marxista: nel senso in cui, come sostenuto nel "Marx contra Marx", sarebbe auspicabile e anzi facilmente praticabile un'alleanza anti-sistema fra destra e sinistra radicali, secondo una linea che si collega ai teorici della «rivoluzione conservatrice».

Come che sia, quello che eufemisticamente abbiamo chiamato «dubbio», non solo non paralizza le scelte degli «inguaribili romantici» etc., ma non impedisce loro di schierarsi a sinistra, con l'Ulivo che è quanto dire col Giano comunista. I finiani badogliani ci fanno un grosso favore a sbraitare contro noi e il nostro preteso «tradimento». Ma i comunisti stiano molto attenti a «strumentalizzare la nostra romantica dabbenaggine». È già accaduto nella «storia», più di una volta che i «meno furbi» alla lunga la spuntasssero contro coloro che tutti ritengono, e perciò si ritengono «furbi». Confucio insegna a «mettersi in attesa in riva al fiume», che questa linea attiva-passiva è l'unica vincente contro un nemico tanto più forte di noi. Questo «nemico» non sono per noi i comunisti in quanto tali, ma i comunisti in quanto espressioni ultime della mentalità moderna e borghese. Ecco, confucianamente (in maniera attiva-passiva), noi sfidiamo i comunisti a dimostrarci, coi fatti, il contrario.

Francesco Moricca

 

articolo precedente Indice n° 43 articolo successivo