da "AURORA" n° 43 (Agosto - Ottobre 1997)

POLITICA  E  SOCIETÀ

Giorgio Bocca e le stragi antifasciste

Gaspare Fantauzzi Ferretti

Il ventiduenne camicia nera Bocca Giorgio, per ordine del Federale, faceva il razzista in quel di Cuneo. Indulgente, Sergio Romano lo difende sostenendo che non si possono rimproverare a nessuno i peccati commessi a quella età; età in cui però la maggior parte dei giovani della RSI, almeno da un lustro, si dilettava nello sport del «salto del pasto» ed era allietata dai soavi piaceri della persecuzione politica derivante dalla «libertà» per conquistare la quale il Bocca, opportunamente abbandonata la camicia nera, aveva fieramente combattuto. Ma queste bazzecole poco importano all'illustre Giorgio, il quale -disdegnando la saggia norma del «non chiedere chi ha detto questo, ma bada solo a ciò che è detto»- pensa solo a se stesso. Fateci caso: il suo nome campeggia sulle copertine dei suoi libri con caratteri almeno 5 volte più grandi di quelli dei titoli. Solipsisticamente -nel senso che l'unico contenuto della conoscenza è il soggetto che conosce- Bocca ama se stesso e il proprio riverito nome: è uno scrittore di razza, appunto.

E se un giorno apprendessimo i nomi dei pubblicisti, scrittori, politici, artisti, uomini d'affari ecc., presenti nei libri paga della CIA? Non si pensi subito a Biagi Enzo (partigiano, ma che percepì fino al 27/4/45 lo stipendio di un noto giornale della RSI) e che, orribile a dirsi, tempo addietro fu costretto a recarsi persino in America Latina per intervistare un Pincopallino il quale, al suo ritorno in Italia, trovò ad attenderlo un solerte magistrato che lo ammaestrò su ciò che avrebbe dovuto rispondere l'indomani ai propri colleghi. E neppure ai poveri Craxi Bettino e Andreotti Giulio che, per qualche accenno di alzata di capo nei rapporti con il padrone americano, secondo il rito antico, approvato e accettato USA & GETTA, stanno passando guai a non finire.

Ad ogni buon conto, in una sorta di rivisitazione onirica, il «nostro» Bocca (mal)tratta di Ustica, delle stragi di Stato e dei (mis)fatti della Somalia ("la Repubblica", 19/6/97), dando l'impressione di rivolgersi ormai soltanto a quello speciale reparto del Cottolengo riservato agli affetti da encefalite letargica.

Ustica. Scenario: il DC9 Itavia parte da Bologna e, seguendo la rotta usuale, sui cieli di Siena incrocia 4 velivoli, dei quali 2 sono F104 italiani partiti da Grosseto e diretti ad Aviano, il terzo è un altro DC9 della stessa Compagnia diretto a Ciampino, e mentre un quarto aereo «non identificato» s'inserisce nella scia del primo DC9, i 2 F104 invertono la rotta e ritornano alla base. Sul cielo di Ponza la situazione si fa allarmante: in direzione del DC9 per Palermo, e ovviamente sull'aereo che gli si è affiancato, si dirigono altri aerei «probabilmente» militari; due provengono dalla Corsica, due (sembra) dall'Italia meridionale, due dalla Sardegna e altri due misteriosi velivoli (forse elicotteri diretti all'Aeroporto di Pratica di Mare); totale 9 aerei sui cieli di Ponza. Poco dopo, nella compresenza di un numero non ancora precisato di aerei, sui cieli di Ustica, si consuma il dramma.

Da questo momento, con i dati fatti conoscere al pubblico, non si capisce più niente. Al fine di confondere le idee, taluno ha persino tentato di racchiudere nei labili limiti di una ipotesi l'enorme realtà oggettiva di una portaerei. Il garbuglio delle perizie e controperizie è inestricabile. Nessuno ha fornito spiegazioni plausibili circa la deviazione di eventuali aerei libici nello spazio aereo nazionale con tutti i rischi (salvo una possibile compiacenza Nato) che essa comporta.

Certamente non a scopi di chiarezza, Bocca scrive: «... pare che la causa prima della sciagurata azione siano stati i MIG libici che, partendo dalla Jugoslavia, cercavano di passare per lo spazio aereo italiano, dunque NATO, nel cono d'ombra del DC9».

A nostro parere, i MIG libici sono una sporca invenzione americana alla quale gli italiani hanno aderito per abituale vassallaggio. Andiamo avanti: il primo giudice istruttore, stando a quanto affermò Giuliano Amato dice il falso e viene sostituito dal giudice Priore, il quale non è esente da amicizie craxiesche; craxieschi, guarda caso, sono anche l'attuale capo dell'Antitrust, il presidente della Commissione Antimafia e non pochi altri in posti di governo e di sottogoverno. Il garbuglio delle perizie e controperizie è inestricabile. Nessuno ha fornito spiegazioni plausibili circa la deviazione nello spazio aereo italiano degli aerei libici. Nello stesso "Giornale" del medesimo giorno, Claudio Gerino, sostiene che: «L'aereo sconosciuto accostatosi al nostro DC9 potrebbe essere un MIG libico (che) ...poteva avere ai comandi un ufficiale dissidente che aveva come obiettivo un altro aereo, un Iliushin in volo dal Congo Brazzaville a Budapest e su cui poteva trovarsi ...Gheddafi. All'ultimo momento, la Nato, apprende di questa «missione» e decide di bloccarla». Siffatta fantasiosa pseudo-ricostruzione dei fatti, nonostante la presenza dei resti di un MIG (libico?) nella Sila (c'è di mezzo anche un morto importante nella faccenda), non può essere né vera né verosimile, per tre ordini di motivi:

a) è troppo simile alla versione ufficiale e sappiamo che, ufficialmente, l'Italia non deve discostarsi da quel che afferma la Nato;

b) che la Nato blocchi un'operazione destinata a far fuori Gheddafi è una fandonia che solo gli americani potevano architettare. Essa verrà clamorosamente smentita dopo qualche tempo con il bombardamento sulla abitazione stessa del leader libico;

c) salvo altri ignoti ma probabili maneggi diretti ad eliminare Gheddafi per mano islamica, ufficiali dell'aeronautica libica hanno a disposizione altri cento modi e occasioni meno rischiosi di uccidere Gheddafi.

Altro fatto inquietante è il ritrovamento accanto ai resti del nostro DC9 di un serbatoio (di quelli che vengono sganciati in caso di avaria o di combattimento) appartenente ad un velivolo americano da portaerei del tipo "Corsair".

Dimentico che le bugie hanno le gambe corte, il Bocca continua a propinarci sciocchezze, «di razza» s'intende: «Questa vicenda aiuta almeno a capire quale fu per quasi mezzo secolo la sovranità limitata dei paesi che facevano parte dell'alleanza atlantica in posizione subalterna; quale fu il prezzo che essi dovettero pagare per la protezione dello "scudo" americano... Ma solo ora ci rendiamo conto che nei vantaggi e negli svantaggi di quella alleanza il prezzo più alto da pagare come libero Stato fu quello della doppia lealtà». Come si vede, in sogno avvengono anche miracoli: con ritardo di mezzo secolo Bocca si rende conto dei danni della sovranità limitata e riesce, da par suo, anche a conciliare il libero Stato con la doppia lealtà; miracolo striminzito però, visto che sorvola sulla non meno onerosa terza lealtà dovuta allo Stato Vaticano e quella occulta, tenuta «in pectore», ma pronta a scattare a pro del Patto di Varsavia, nel caso di un sempre probabile 8 settembre.

Il nostro (si fa per dire) non ci pensa e procede imperterrito: «Abbiamo stentato a crederci ...i debiti grandi e grandissimi che avevamo (non ce li abbiamo più?) verso l'alleato americano che per due volte aveva mandato i suoi figli a salvare le periclitanti (termine desueto rintracciabile soltanto nella nota allocuzione di Pio XI diretta ad osannare l'Uomo della Provvidenza) democrazie europee ...». Ma non s'era detto che anche nella benemerita Istituzione del Cottolengo era ormai risaputo che quei figli di ...americani erano sbarcati in Europa per motivi diversi da quelli indicati dal Bocca-pensiero? Dallo sconcertante scritto si evince dunque che, non avendo le democrazie fascista e nazionalsocialista alcuna vocazione a periclitare, quei figli di ...americani sarebbero stati mandati a salvare le oligarchie plutocratiche inglese, francese, belga, olandese, ecc. le quali, mentre ingannavano e sfruttavano i rispettivi popoli, ogni tanto ponendogli una scheda elettorale in mano, angariavano e dissanguavano spietatamente le loro immense colonie, le quali, guarda caso, sono poi passate direttamente o indirettamente sotto il controllo di quei figli di ...americani.

Svegliati, Giorgio, ché la guerra continua!

Ricapitoliamo. Gli Italiani, dunque, avrebbero contratto due diversi tipi di debiti con gli americani, debiti grandi e grandissimi. L'incerta proposizione (il sonno fa davvero brutti scherzi) si regge su un «avevamo», quindi non può essere interpretata che nel senso che Bocca e quel vergognoso branco di italioti fuoriusciti, inetti e rissosi imposti all'Italia stremata dalla guerra avrebbero contratto debiti più o meno grandi con i loro padroni. Debiti che gli Italiani, quelli veri, energicamente contestano, mentre si preparano ad esigere da quella marmaglia l'immenso credito derivante dai danni morali e materiali prodotti dalla loro venuta non richiesta e non gradita.

Secondo Bocca, comunque, quei debiti-indebiti: «... facevano passare in seconda linea e in certo modo assolvevano (altro termine ecclesiastico) i sistemi "duri" del protettore». Ad onta di Morfeo, il termine «protettore» calza a pennello sulla penna del supremo Bocca. Nel sordido mondo delle prostitute e dei lenoni, il protettore è figura dominante che, tuttavia, ripugna alle caste e timorate italiche genti.

Ma il «nostro» non essendo un moralista -nel senso filosofico e teologico di cultore della scienza morale- vuole semplicemente rifilarci l'ennesima panzana missistico-ordinovistica (i balordi sono sempre accomunati da qualcosa) la quale consiste nel far credere che lo scudo di cui sopra sarebbe servito a proteggerci dall'Armata Rossa. Ma, ad un vero guerrigliero -quale egli sostiene essere stato- non dovrebbe sfuggire che il suddetto organismo militare sovietico fu una cosa seria fin tanto che restò nelle mani del suo animatore e fondatore L. D. Trotzkij, ma che, passata in quelle dello zar Stalin, divenne tanto zarista che il medesimo Stalin dovette abbondantemente «purgarlo» per restituirgli un minimo di affidabilità. Fedele ai patti di Yalta, l'Armata Rossa, comunque non mosse un sol dito senza il placet del sempre alleato Pentagono, il quale l'aveva salvata, in exstremis quando le armate dell'Asse erano alle porte di Mosca. E di ciò l'antica camicia nera Bocca Giorgio dovrebbe sentire un qualche orgoglio, se è vero che la Legione Tagliamento portò il proprio Labaro in vista del Cremlino. Invece, insensibile ai richiami della gloria, sempre in stato di dormizione e senza un minimo di accortezza, continua: «Solo oggi con le indagini (...) si comincia a dire a chiare lettere (...) che c'era un sovrintendente della CIA (...) che gli autori delle trame nere erano protetti dai servizi segreti americani ...», così insinuando (ma ci crede solo lui) che le trame erano soltanto nere e che KGB fosse estraneo alle vicende politico-poliziesche di una Nazione che, modestamente, vantava il più grosso partito comunista dell'Occidente «libero». E non si avvede di contraddirsi quando, poco dopo, aggiunge: «Ma quella era una delle miserie della guerra fredda dell'una come dell'altra parte; affidare l'equilibrio mondiale a dei sistemi militar-polizieschi che dovevano prima di tutto autogiustificarsi e automantenersi ...». Dopo ulteriori oniriche divagazioni intorno a Piazza Fontana e alla Somalia, con fare desolato, ammette: «Che anche nel caso della Somalia abbia funzionato l'omertà atlantica (...) evidentemente i vincoli militari e polizieschi (solo questi?) dell'alleanza sono ancora fortissimi».

Come si vede, il Bocca-pensiero (che non è né debole né forte, ma che nel sonno smarrisce lucidità e prudenza) non apportando alcun indizio o analisi nuovi sulla tragedia di Ustica, si limita ad invitare la gente a mettersi l'anima in pace perché il vero motivo di quella strage: «...non lo sappiamo e probabilmente non lo sapremo mai».

Gli odierni svarioni di Bocca sono la prova delle sua cinquantennale non buona coscienza di scrittore politico, ma quel che maggiormente ce lo fa avvertire come nemico sta nel suo fingere di non aver compreso che, nel fascismo, la componente «destra» costituisce un'intrusione equivoca e transeunte e non indica affatto il discrimine tra fascisti di destra e fascisti di sinistra, bensì quello tra fascisti e quelli che fascisti non sono. La sua ultima negativa riflessione ci obbliga comunque a fare una digressione che tuttavia non esula dal tema. L'esigenza di ricostruire gli eventi importanti che li riguardano e il dare loro una collocazione storica è una delle più spontanee e naturali attitudini dei popoli; ciò in gran parte è negato al popolo italiano, per un quadruplice ordine di motivi; il Vaticano, la Fiat (e il capitalismo finanziario), la Nato e la massoneria, ciascuno dei quali persegue proprie finalità transnazionali estranee e spesso contrarie all'interesse dello Stato italiano. Presenti più o meno palesemente nei centri vitali del mondo politico, economico, amministrativo, della informazione, ecc., queste forze hanno neutralizzato nel popolo italiano, fra le altre cose, quel che i tedeschi chiamano «Aufklärung» vale a dire la piena idoneità a compiere, in effettiva autonomia e in tutti i campi, le scelte inerenti il destino storico della Nazione.

A queste forze negative si deve aggiungere la mafia, antica organizzazione a carattere rurale che, via via, ha acquisito connotazioni spiccatamente criminali. Scrive Emanuele Macaluso ("Espresso", 8/5/97): «bisogna chiedersi qual'è il ruolo della mafia nella preparazione dello sbarco (...) la mafia viene svegliata e attivata in Sicilia non tanto per motivi militari, ma come sperimentato strumento di controllo sociale e politico. Questo (...) ci fa vedere come sin dai primi vagiti della democrazia in Italia, la mafia assolva a compiti di braccio di Stato». Queste sono cose vere, dette e ripetute migliaia di volte da prefetti, questori, comandi di Carabinieri, giornalisti, sindacalisti. Ma chi, se non gli americani, conferiscono potere, protezione e prestigio alla mafia? Chi, se non il colonnello Poletti, responsabile del governo militare alleato, decretò che «dagli ordini e dalle disposizioni del governo italiano è esclusa la Sicilia»?

Come si vede, a fronte della improcrastinabilità di radicali cambiamenti in senso ontologico della Società italiana, la bicamerale appare come l'ultimo trastullo di una classe politica demenziale.

Chi nega questa realtà non può capire nulla di quel che sia avvenuto o stia avvenendo in Italia e, innanzitutto si preclude la via alla comprensione di un fattore storico-politico fondamentale: la prometeica fatica compiuta da Mussolini nel tentativo di liberare l'Italia da tali forze equivoche e perverse.

Quindi, non si può fare chiarezza intorno ad eventi in cui sia direttamente coinvolta una di quelle forze.

Del resto, chi siamo noi italiani per pretendere di sapere perché 81 nostri connazionali siano stati uccisi? A ricordarci chi siamo veramente ci pensa un altro dormiente, Cossiga Francesco (stesso giorno, medesimo giornale), per il quale non siamo più una grande democrazia occidentale, bensì: «Noi siamo un piccolo Paese, siamo dei poveracci, loro, Stati Uniti e Francia, no. Ma ci hanno sbattuto la porta in faccia... Ma volete convincervi che il problema sono gli americani e francesi?». Il «poveraccio» Cossiga -l'anima cristo-massonica a pezzi- pare davvero costernato: «Una vera battaglia. Nessuno (sic) ha mai pensato che ci fosse stato qualcosa del genere (...) mi spaventa e mi getta in una profonda crisi di coscienza». Poi, incalzato dall'intervistatore, ammette: «Andai via da Palazzo Chigi qualche mese dopo. Allora il parlamento disse che si trattava solo di un cedimento strutturale» e, così piagnucolando, continua per un bel pezzo.

Tra reticenze, infingimenti e piagnistei, nessuno responsabilmente fa sapere chi e per quali motivi diede l'ordine ai due F104 di tornare a Grosseto e perché non sarebbero stati identificati tutti gli aerei da essi incrociati nei cieli di Siena. Siamo certi che la verità su Ustica (come del resto quella delle altre stragi) è in Italia e potrebbero rivelarla quel centinaio di ufficiali dell'AM inquisiti e gli altrettanti addetti ai vari centri di controllo, se non temessero di fare la misera fine dei due eccellenti piloti, M. Naldini e I. Nutarelli, ambedue ai comandi di uno degli F104 che, sapendo tutto ed essendo probabilmente decisi a rivelare l'accaduto, sono stati fatti perire nel disastro di Ramstein; disastro ritenuto «assolutamente inspiegabile», data la indiscussa perizia delle due vittime.

E non facciamo come quel giornalista che, tempo addietro, stupidamente domandò all'ex n° 2 dell'Ufficio Affari Riservati del Viminale: «Quanti, italiani e non, la CIA ha ucciso in Italia?» e si sentì intelligentemente rispondere con una verità necessariamente poco veritiera: «La CIA in Italia non ha mai ucciso nessuno». La volontà di conoscere che nasce dalla coscienza e dall'intelligenza del popolo italiano, esige di porre ai c.d. «responsabili» domande più pertinenti e centrate: «Quanti, italiani e non, ha fatto uccidere in Italia l'OSS prima e la CIA poi?».

Ciò detto, si deve concordare con Bocca quando, impudicamente, è costretto ad ammettere: «Il fatto che fossero delle stragi inutili e sproporzionate, delle stragi idiote, conferma soltanto la stupidità dei servizi segreti di tutte le nazioni, compresi gli USA».

È opportuno precisare al riguardo che, dalla prima «strage di Stato» di Portella della Ginestra in poi, il regime antifascista ha sempre palesato congenite tendenze alla irresponsabilità e l'insana mancanza di dignità nell'amministrare la giustizia.

Nessuno si aspetta che soggetti del tipo di Bocca e Cossiga -tracotanti coi deboli e queruli e remissivi coi forti- recitino il mea culpa, ma che vadano ora sproloquiando di non essersi accorti per 50 anni di quello che succedeva in Italia, indica in loro una misura di sfrontatezza davvero inaudita e una carenza di equilibrio interiore impressionante.

Nei confronti di tale impura mescolanza di abiezione morale e di libidine di servilismo, parafrasando il discorso pronunciato da Duccio Galiberti il 26/7/43, confermiamo che la nostra lotta all'intero «sistema» continuerà: «... fino alla cacciata dell'ultimo americano. E alla scomparsa delle ultime vestigia dell'antifascismo».

Gaspare Fantauzzi Ferretti

 

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