da "AURORA" n° 44 (Novembre - Dicembre 1997)

ISTRUZIONE E SOCIETÀ

L'oligarchia liberista

Filippo Ronchi

 

L'attuale quadro politico italiano -caratterizzato dal consolidarsi di una oligarchia disponibile all'alternanza (tra èlites omologhe) ma non all'alternativa (tra politiche sociali opposte, tra idee di società antagonistiche)- è quello di una democrazia dell'unanimismo dei fini e della differenziazione (parziale) dei mezzi o dei «ceti politici» che li perseguono. Tale situazione ha trovato una evidente conferma anche nella vicenda, apparentemente marginale, che ha portato all'approvazione in Parlamento del nuovo esame di maturità, dopo trent'anni di un esame sperimentale trasformatosi in una sorta di fictio juris, una specie di rito che consentiva di valutare ben poco.

 

Un gigante dell'Ulivo

È noto che Luigi Berlinguer vorrebbe essere ricordato come il più importante ministro della Pubblica Istruzione dai tempi di Giovanni Gentile, dimostrando che le sorti dell'educazione nazionale sono in cima ai pensieri dell'Ulivo (e infatti l'ultima Finanziaria contiene... un'ulteriore riduzione del 3% del personale docente nelle scuole di ogni ordine e grado). Ha deciso, perciò, di incassare il suo secondo successo di «immagine» dopo l'Autonomia scolastica, ingaggiando un braccio di ferro per far passare la maturità riformata entro settembre, e introdurla a partire dal giugno '98.

 

Prassi politica

Così, dopo quattro mesi di discussione in Commissione, il 26 giugno '97 il Senato ha approvato il disegno di legge varato dal governo. A fine luglio, alla vigilia della chiusura estiva dei lavori parlamentari, l'opposizione del Polo e della Lega ha dato vita, però, alla Camera all'ostruzionismo, provocando il rinvio della discussione. Anche alla ripresa dei lavori si preannunciava una dura battaglia di emendamenti in senso ultra-liberista. Essi spaziavano dall'abolizione del valore legale del diploma di maturità alla soppressione delle norme che prevedevano un atteggiamento di maggior rigore nei confronti dei cosiddetti «diplomifici». Non a caso il capofila di questa opposizione era tal Nicandro Marinacci, deputato CDU nonché proprietario di un istituto privato che dal '92 ha diplomato alcune centinaia di ragionieri, fra cui molti che «hanno portato quattro anni in uno». Dinanzi alla ripetuta mancanza del numero legale al momento delle votazioni per l'assenza dei deputati di Polo e Lega, Berlinguer decideva di cambiare rotta e prometteva di inserire un emendamento che accoglieva le richieste dell'opposizione proprio riguardo alla norma che limitava l'accoglimento delle domande di idoneità da parte degli istituti privati, perché «l'interesse primario è quello di giungere ad una soluzione in un clima non arroventato». Iniziava allora il gioco delle parti al quale siamo abituati ad assistere ormai da un anno e mezzo: la legge passava grazie al «soccorso azzurro» dei deputati di Forza Italia e Alleanza Nazionale che, con le loro «assenze strategiche», permettevano questa volta al governo di salvarsi. Rifondazione Comunista, infatti, dopo aver approvato i singoli articoli di legge e dopo aver ottenuto (bloccandola per mesi) anche quei cambiamenti nella composizione delle commissioni d'esame che oggi provocano le proteste degli studenti, alla fine decideva di votare contro perché -tuonava Bertinotti- «la scuola privata viene aiutata ad essere un diplomificio». I deputati dello schieramento ultra-liberista di Polo e Lega dovevano, però, recitare fino in fondo la loro parte, come quelli di Rifondazione. Si lamentavano ancora con i colleghi liberisti-temperati dell'Ulivo perché ogni commissione d'esame di scuola privata sarebbe stata abbinata ad una commissione statale, ma l'esito di tutta la vicenda non era che una triste conferma delle considerazioni iniziali sull'oligarchia che domina l'Italia. La revisione della legge al Senato cadeva nei giorni dei boatos di crisi governativa, allora Forza Italia chiedeva il rinvio del dibattito in attesa di un chiarimento del «quadro politico» e la proposta era prontamente accettata dagli schieramenti contrapposti (o presunti tali). Successivamente è arrivato al Senato il «sì» definitivo, in seconda lettura, alla legge di riforma, ma le prove del prossimo giugno si svolgeranno sulla base della vecchia normativa.

 

Apologie liberiste

Non è qui il caso di addentrarsi sui misteriosi particolari tecnici del nuovo esame (ad esempio sul giallo della «terza prova scritta» che nessuno capisce che cosa sia, oppure sulla composizione delle commissioni per quanto riguarda i membri interni), né di riflettere ancora sul fatto che, per l'ennesima volta, il ceto politico si è ostinato a intervenire sugli aspetti riguardanti gli atti finali del ciclo di studi, gli esami, senza prima arrivare alla riforma generale della secondaria superiore.

Indicative di una mentalità e di un clima sono, invece, le reazioni delle corazzate della carta stampata «indipendente» filo-ulivista, come "La Stampa", il "Corriere della Sera" e "La Repubblica", che hanno lodato la nuova maturità «più severa e più seria», anche se malinconicamente si sono rammaricate per il fatto che difficilmente si verificheranno quelle belle selezioni di massa in grado -secondo loro- di porre un argine al degrado dell'educazione nazionale. Gli opinionisti non si sono lasciati fuggire l'occasione, comunque, per osannare intanto il laburista Tony Blair che con iniezioni massicce di mercato nella scuola inglese progetta una task-force di «super-insegnanti» manager.

Il disprezzo per chi nella scuola lavora e per gli studenti visti sempre e in ogni caso come una massa di apatici, pusillanimi scansafatiche non è una novità, anzi è parte della tradizione del folclore nazionale.

 

I convitati di pietra

Importante è sembrata, piuttosto, la reazione degli studenti per i segnali, confusi ma degni di attenzione, che essa ha inviato, rompendo il letargo in cui il mondo giovanile era stato costretto, a partire dalla vittoria elettorale dell'Ulivo e dalla nomina a ministro della Pubblica Istruzione di un ministro di «sinistra», dagli apparati delle organizzazioni vicine a CGIL, a PDS ed a Rifondazione Comunista. Il giorno dopo l'approvazione alla Camera della nuova maturità è scoppiata la contestazione di decine di migliaia di ragazzi inferociti contro «un ministro e una maggioranza che fanno i giochetti in Parlamento sulla nostra pelle». La protesta è stata subito liquidata, dai soliti censori ulivisti, come una mobilitazione demagogica di giovani svogliati che si oppongono all'idea che l'esame torni ad essere una cosa seria e, quindi, alla prospettiva di dover studiare veramente. Le cose non stanno proprio così. Questi giovani hanno rotto gli argini e chiesto un esame ove non ci siano prove fatte a forma di test «all'americana» come sarebbe piaciuto a Berlinguer e dove la commissione sia composta di professori interni. Si intravede in ciò il desiderio di cominciare a ricostruire una reale dimensione comunitaria di studio e di lavoro, che rifiuti le mode provenienti, anche in campo scolastico, dal mondo anglosassone, per ritrovare una propria identità culturale. Sono segnali indubbiamente positivi, che aiutano anche a meglio comprendere l'evoluzione attuale del sistema educativo italiano.

 

Dove va la scuola superiore italiana?

Bisognerà allora esaminare un percorso che solo temporalmente sembra essere costituito da tappe isolate (il contratto nazionale di lavoro degli insegnanti 1994/97, la riforma dell'esame di maturità, la proposta di riordino dei cicli scolastici), ma che in realtà lascia intravedere una filosofia generale unica. Sempre più la scuola superiore si avvia a diventare un luogo di assistenza, un luogo dove si cerca di sanare il problema del profondo disagio delle nuove generazioni, che il sistema liberista non può e non vuole affrontare. Famiglie disgregate o stravolte da ritmi di lavoro durissimi arrivano a delegare agli insegnanti la responsabilità del processo educativo, anche per quanto riguarda aspetti che sarebbero di loro competenza (e di qui il moltiplicarsi di «progetti» scolastici per l'educazione alla salute, all'ambiente, alla sessualità, all'educazione stradale!). Il docente si trasforma poco a poco in una sorta di assistente sociale con una preparazione generica nella disciplina che insegna. Riemerge, pure per questo aspetto della situazione attuale, il modello delle scuole statali statunitensi, dove gli insegnanti sanno assistere, si sanno relazionare ma mettono in secondo piano l'insegnamento propriamente detto, perché nessuno lo pretende da loro; simile impostazione è una delle cause del più alto tasso di analfabetismo di ritorno che si conosca.

Coniugare l'aspetto sociale con quello della qualità dell'insegnamento e dell'apprendimento, cioè con quello della serietà e dell'autorevolezza dell'istituzione scolastica statale, è dunque l'impegno arduo che attende chi ritiene la difesa e la riqualificazione dell'educazione pubblica uno dei punti fondanti del programma di una Sinistra Nazionale.

Filippo Ronchi

 

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