da "AURORA" n° 44 (Novembre - Dicembre 1997)

IL LIBRO

La revisione del marxismo in Mussolini e Lenin

Carlo Buonsanti

 

Tra le pubblicazioni che arricchiscono creativamente il panorama delle intelligenze volte ad approfondire senza pregiudizi i momenti più salienti della storia contemporanea è senz'altro il bel libro di Renato Pallavidini "Dalla crisi alla diaspora" (Edizioni Barbarossa, Milano '96), non solo per l'accuratezza dell'indagine ma anche per quello che suggerisce e fa intuire.

Tema della ricerca è la posizione ideologica da due grandi princeps rivoluzionari, Mussolini e Lenin, nell'ambito della crisi della IIª Internazionale, fra il 1912 e il 1915.

Come è noto, la visione deterministica del materialismo storico, cioè la persuasione di un crollo oggettivo del capitalismo, sull'onda delle sue intrinseche modalità di sviluppo, lasciava ai partiti socialisti solo due avvilenti possibilità: o continuare per atto di fede in una condizione attendista, o abdicare alla democrazia borghese per massimizzare il quantum di giustizia possibile al suo interno.

Al superamento di questa difficile impasse contribuirono soprattutto i due grandi princeps oggetto della ricerca di Pallavidini, ma anche la Luxemburg, con una chiave di lettura delle opere di Marx che ne riscopriva l'aspetto dialettico, fino ad allora snaturato da sovrapposizioni positivistiche.

L'emancipazione del proletariato rimane un fatto storico inevitabile ma non si crede più all'irreversibile collasso delle strutture della società borghese.

Considerando che la dialettica opera fra forze produttive e rapporti di produzione, ma anche fra struttura economica e sovrastruttura ideologica, ne consegue che l'uomo ha spazi di libertà per fare la storia anziché subirla, entro i limiti, naturalmente, delle condizioni storiche oggettive. Da qui la valenza del Partito, come formazione di strateghi in grado di cogliere le opportunità offerte dalla classe rivale, di attivare e orientare contro di essa le forze destabilizzanti. Per Mussolini il Partito può svolgere questo mandato assicurando un'adeguata omogeneità ideologica al suo interno; rifuggendo incapacitanti compromessi e innaturali alleanze politiche: studiando di aggregare a sé tutti gli elementi proletari. Ma non solo. Se il partito dà il via alla rivoluzione il proletariato deve essere capace di rispondere con la necessaria determinazione, indi di gestire il nuovo ordine. La soluzione la deriva, in un'ottica strettamente marxista, da Sorel e il sindacalismo francese. Nel mito riconosce l'idea forza idonea a spingere il proletariato all'azione collettiva; nelle istituzioni del proletariato vede il luogo privilegiato per educare il popolo al nuovo assetto sociale fondato sull'autogoverno.

Quando si scatena il primo conflitto mondiale, tanto Mussolini quanto Lenin vedono in esso l'occasione rivoluzionaria che aspettavano.

Lenin, potendo fare affidamento su un seguito rivoluzionario, riesce a trasformare la guerra in rivoluzione socialista, grazie anche all'affinamento delle capacità di lotta delle masse popolari nell'esperienza bellica. Da vita ad un nuovo Stato, ma non riesce a informarlo a criteri autenticamente socialisti; qlielo impedisce la sua rigida concezione del materialismo dialettico che ancora lo lega al determinismo della IIª Internazionale.

Mussolini avanza al PSI due indicazioni: non entrare in guerra ma promuovere un'insurrezione per abbattere lo Stato borghese (sebbene consapevole dei rischi in caso di vittoria degli Imperi centrali), oppure muovere guerra ad Austria e Germania e a conflitto avvenuto, approfittando della condizione di vulnerabilità del governo, guidare il proletariato a un capovolgimento della situazione.

Il PSI, nella proverbiale inettitudine politica, efficacemente descritta da Leo Valiani, non si limita a rifiutare le indicazioni di Mussolini ma punisce la sua scelta interventista espellendolo dal partito. Privato della base umana cui ha dedicato tutte le sue energie, gli resta aperto solo il campo della mediazione con le forze della conservazione, e lo fa con intelligenza, con grande spirito di sacrificio. Apparentemente, dal 1920, non è più quello di prima, ma solo apparentemente. Nel Mussolini primo ministro di un governo borghese continua in segreto il rivoluzionario di sempre. I suoi veri intendimenti si capiscono non con le pur notevoli misure di protezione sociale delle forze del lavoro, ma con le posizioni teoriche che affiorano nei discorsi pubblici e privati.

Successiva all'espulsione dal partito è la vitale prospettiva di coniugare l'emancipazione del proletariato ai diritti della nazione di appartenenza contro ogni minaccia esterna; posizione che sarà invariabilmente seguita da tutti i grandi movimenti di liberazione in ogni parte del mondo.

La legge sulla socializzazione dei mezzi di produzione non è stata una carta giocata opportunisticamente all'ultimo momento. La proposta di legge è del '38, non passò per le opposizioni incontrate, ma Mussolini continuò a caldeggiarla apertamente, prima e dopo il fatidico Consiglio dei Ministri del 25 luglio.

Carlo Buonsanti

 

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