da "AURORA" n° 44 (Novembre - Dicembre 1997)

POLITICA E SOCIETÀ

Ottobre rosso

Filippo Ronchi

A Roma e a Mosca

Le difficoltà, per chi voglia contribuire alla costruzione di un movimento politico antagonista, sono oggettive. La situazione italiana non è un caso a parte. A Roma e a Mosca, nelle prime settimane di ottobre, si è svolta, con significativa coincidenza, una quasi identica tragicommedia. Gli «irriducibili» di Rifondazione e del Partito Comunista russo hanno minaccialo di mettere in crisi il governo a causa dei tagli allo Stato sociale nella finanziaria '98; poi, quando sembrava che le dimissioni dell'esecutivo e le elezioni anticipate fossero inevitabili, gli «irriducibili» ci hanno ripensato. Hanno portato il confronto politico sino all'orlo del precipizio facendo all'ultimo momento marcia indietro e permettendo al governo di restare al proprio posto. «Comunisti russi imparate dai vostri compagni italiani», titolava l'editoriale del "Moscow Times", esortando i «compagni» di Russia ad accettare fino in fondo la democrazia e a trovare un'identità nuova nella salvaguardia dei diritti umani dei più deboli, come sta facendo in Italia, appunto, Rifondazione Comunista.

 

Il teatrino

La crisi-farsa che ha animato la politica politicante italiana ai primi di ottobre assume tuttavia, riconsiderata in prospettiva, una rilevanza che oltrepassa la cronaca. Essa ha posto, infatti, da un lato la parola «fine» al comunismo storico novecentesco italiano, dall'altro ha consentito di comprendere meglio la reale natura delle dinamiche in atto a livello politico-sociale nel nostro Paese. Rileggere i resoconti di quei giorni, le dichiarazioni e i discorsi dei protagonisti, in particolare del gruppo dirigente di Rifondazione Comunista, lascia, pur a distanza di tempo, sicuramente amareggiati per la cinica spregiudicatezza con cui gli esponenti della Sinistra che si autodefinisce antagonista si sono mossi: la «finanziaria da ritirare» che si modifica in «finanziaria da riscrivere da cima a fondo», poi in «finanziaria da emendare radicalmente» e alla fine in «finanziaria da correggere». Le «chiusure definitive» che diventano «aperture provvisorie», le «fratture insanabili» che durano un paio di giorni, fino all'«accordo di oggi che è figlio della rottura di ieri» e all'ultima, risolutiva dichiarazione di Romano Prodi: «La finanziaria resterà quella illustrata in Parlamento». Non è tuttavia utile continuare ad ironizzare sullo spettacolo offerto da un ceto politico che sempre più si consuma nei suoi riti; l'importante è tentare di capire quale situazione riflettono i contorcimenti verbali e i comportamenti platealmente contraddittori cui abbiamo assistito.

 

Correnti liberiste

Da tempo su questa rivista andiamo sostenendo che oggi in Italia lo scontro non è tra due blocchi contrapposti, portatori di progetti antitetici, rappresentati da un lato nei partiti che compongono il Polo della Libertà e nella Lega Nord, dall'altro in quelli che costituiscono l'Ulivo. Lo spazio politico è occupato piuttosto da un conglomerato di forze liberiste per molti versi unificate da un fine comune: offrire un adeguato assetto istituzionale al processo di ristrutturazione produttiva in corso, amministrando lo smantellamento della rete di regole e di garanzie che avevano permesso quell'equilibrio tra capitale e lavoro su cui si era basato l'assetto sociale del secondo dopoguerra in Europa. In questo senso, dovrebbe essere ricordato non come una curiosità divertente, ma come un segnale emblematico l'episodio in cui Polo e Ulivo, durante la campagna elettorale del marzo-aprile '96, si accusavano a vicenda di essersi copiati i programmi. Non sono gli obiettivi, dunque, che divergono, semmai le differenze stanno nei mezzi e negli stili. I liberisti populisti di Forza Italia, di AN, dei vari raggruppamenti di ex-democristiani passati al Polo, della Lega Nord sono portavoce delle istanze degli imprenditori piccoli e medi, del crescente esercito degli emarginati dal vecchio patto industrialista che aveva cementato l'alleanza competitiva tra grande industria protetta dallo Stato e sindacati operai, del ceto medio dei lavoratori autonomi in sofferenza per la stretta più rigorosa del fisco e minacciati della grande distribuzione concentrata. Questo liberismo oltranzista che ha puntato allo «sfondamento» per arrivare alla privatizzazione selvaggia, alla totale deregulation del mercato del lavoro, all'eliminazione delle sacche di socialità che ancora sopravvivono all'interno dello Stato è, agli occhi del grande capitale e dei centri finanziari internazionali, pericoloso per impazienza, imbarazzante per mancanza di stile con quel suo becero ritorno alle idee di prima di Giolitti. Questo spiega, almeno in parte, l'isolamento e la rapida fine del governo Berlusconi, nonché la deriva secessionista della Lega Nord. Vi è, però, un liberismo tecnocratico molto più affidabile, che si concretizza in ciò che resta della componente proprietaria del blocco storico della Prima Repubblica: la grande industria del Nord (Fiat), i grand commis del declinante capitale pubblico, Mediobanca. Sono tali settori ad aver fiducia nella possibilità di una soluzione concordata con le rappresentanze sindacali e partitiche di un mondo del lavoro in ritirata, ma pur sempre capace di imprevisti sussulti di protesta. Questo liberismo tecnocratico ha in realtà governato direttamente il nostro Paese a partire dal governo Amato del '92. È questo liberismo tecnocratico che ha puntato al rapido riequilibrio dei conti pubblici con politiche economiche dure, caratterizzate da tagli drastici alla spesa sociale, da una tassazione più severa, da un più libero sfruttamento della forza-lavoro, da un sostanziale blocco dei salari, da una compressione concordata dei redditi di lavoro. La Sinistra riformista ora al governo, insomma il PDS con le spore che germinano alla sua ombra, non rappresenta più da tempo un soggetto politico autonomo, capace di progetto e di programma. Svolge, piuttosto, la funzione di appendice dei liberismo tecnocratico, che delega ad essa i problemi riguardanti l'egemonia sulle masse e le strategie con cui conquistare il consenso indispensabile per vincere in campo elettorale. Il «buonismo» nasce e si spiega in questo contesto, così come il pervasivo controllo dei mass- media operato sotto il governo Prodi.

 

Epilogo del comunismo storico novecentesco italiano

La crisi-farsa di ottobre ha sancito il tramonto anche di Rifondazione Comunista, con le sue declamate pretese di «resistenza», di «soggettività altra», ecc.. Bisognerà pur prendere atto una volta per tutte dell'autentica natura del PRC. Si tratta, cioè, di uno spezzone del vecchio PCI lasciato per strada dalla «svolta» del '91 e resuscitato da Cossutta, che sta subendo una interessante evoluzione. L'elettorato del PRC raccoglie attualmente alcune fasce che più sentono minacciata la loro sopravvivenza a causa della finalizzazione di ogni bene sociale alla capacità competitiva in un contesto concorrenziale fattosi feroce e assoluto. L'antagonismo di Rifondazione diviene, così, un generico contenitore in grado di ospitare un vasto spettro di proteste; dall'operaio che non arriva a fine mese al pensionato che vede i sindacati convenire sulla riforma del vitalizio, dall'impiegato statale sottoposto ad una specie di linciaggio morale per i suoi «privilegi» al giovane esistenzialista frequentatore di Centri Sociali, dal sindacalista intransigente all'ex-banchiere (Nerio Nesi). Ma il ceppo originario non si cancella, cosicché questa Rifondazione antagonista accompagna ormai da un anno e mezzo il governo dell'Ulivo e con esso l'Italia verso l'Europa del mercato e del pensiero unici, non solo per «senso di responsabilità nei confronti del primo governo della Sinistra» -come recitano le risposte ufficiali- ma anche e soprattutto per una comune base ideale che cementa l'odierna maggioranza. La presenza di Rifondazione Comunista è diventata, perciò, sempre più spettacolo politico e fonte di legittimazione degli attuali assetti di potere. L'inflazione di discorsi pubblici e di interventi dei suoi capi, uno più superficiale dell'altro, nei dibattiti dei programmi televisivi di successo neutralizza ormai la reale mobilitazione dei lavoratori, funzionando come un surrogato, una droga collettiva. Le vicende di ottobre costituiscono anche in questo senso una svolta. Il sistema di cui l'Ulivo è compiuta espressione digerisce la contestazione, se ne nutre, lascia dire e lascia fare. I cani abbaiano e la carovana passa. La maggioranza si rafforza perché può permettersi perfino di gestire e orientare le forze che a parole la contestano. Quella di Rifondazione, dopo l'ottobre rosso della vergogna, non è più tanto una posizione politica, quanto piuttosto un modo di stare al mondo, una strategia che punta ai tavoli della trattativa e all'insediamento nei Palazzi, ma sempre conservando un proprio stile consistente nella declamazione di una diversità comunista che gli altri compagni hanno abbandonato e che si trasfigura politicamente nei miti romantici del Che o del sub-comandante Marcos. Ecco perché Bertinotti può dichiarare senza falsi pudori che «il nostro antagonismo non si misura dalla collocazione nella maggioranza o nell'opposizione». Ecco perché la manifestazione del 25 ottobre, convocata inizialmente contro il governo Prodi e contro la finanziaria, può trasformarsi in un ordinato e triste corteo senza slogans contro il governo Prodi e la finanziaria, ma nel quale trovano sfogo i piccoli rancori «di famiglia» nei confronti di Cofferati e Massimo D'Alema.

 

I diritti dell'uomo

Alla base dell'attuale sistema italiano troviamo, dunque, un'ideologia costruita attorno agli stessi postulati e che rintracciamo nelle diverse formazioni politiche, nonostante la loro apparente differenza. Dal marxismo secondo Rifondazione all'ultra-liberalismo di Forza Italia, passando per tutte le varietà di centrismo, socialdemocrazia e destre istituzionali, ci si trova per l'essenziale, in presenza della stessa visione della società, dello Stato, dell'uomo. Il carattere comune è di assegnare come unica finalità alla società e allo Stato la realizzazione della felicità individuale, sotto forma di benessere economico, per mezzo della razionalizzazione tecnica e dell'uniformizzazione delle condizioni. Diritti dell'uomo, individualismo, razionalismo, economicismo, cosmopolitismo sono i valori fondanti che accomunano le forze di ispirazione socialista o liberale. Le divergenze riguardano soltanto i mezzi tecnici per la loro realizzazione. L'ispirazione è chiara, il modello è quello della cristianità che intendeva abolire con la sua civilizzazione le frontiere e le appartenenze. La versione odierna dei diritti dell'uomo rappresenta il momento della trasformazione del Vangelo in dottrina laica attraverso un insieme di filosofie socio-politiche che nascono dalla laicizzazione del giudeo-cristianesimo. Le forze del Polo delle Libertà trovano in questi punti di riferimento ideali la giustificazione dei propri interessi economici così come della loro visione sociale e politica in cui la difesa della libertà è concepita come rispetto della «legge della giungla» dell'economia liberista. Ma anche le forze dell'Ulivo hanno ampiamente attestato con il loro programma che sono ben decise a coabitare con il capitalismo occidentale, le multinazionali, il Fondo Monetario Internazionale (di cui due figure chiave dell'attuale esecutivo, ossia il super-ministro dell'economia Ciampi e il ministro degli Esteri Dini, sono stati stimati funzionari), dando l'illusione che essi siano gli strumenti i quali, se razionalmente governati, consentiranno la creazione di una società del benessere e del melting pot umanitario, solidale. Il collante tra i partiti dell'Ulivo e Rifondazione Comunista è dato proprio dalla adesione a quei valori fondamentali astratti che abbiamo prima delineato e dallo spauracchio, artificialmente alimentato, del risorgere del nazi-fascismo, per cui le divergenze sono ogni volta ricomponibili.

 

Cercare un'altra strada

L'ottobre rosso del '91 ci ha rivelato che le vecchie ricette sono morte. Un nuovo antagonismo è chiamato a trascendere le antiche partizioni destra-sinistra, socialismo-liberalismo, credenza-ateismo, materialismo-idealismo. Il sistema dell'Occidente industrializzato, appoggiato sullo spazio nippo-anglo-americano, intraprende oggi una gigantesca domesticazione dei popoli, inglobando le opposizioni tradizionali. Il regime morbido dei dittatori dell'organizzazione, dei manipolatori delle informazioni, dei regolatori, dei poteri decentrati smantella i sentimenti collettivi, smobilita le energie, rende i non riconciliati incapaci di osare. Certo, quanto più le società occidentali stanno dando luogo ad un democraticismo di facciata e a ideologie di intimismo quotidiano, tanto più il capitalismo, superando la differenza socialismo-liberalismo, assume dappertutto la forma di una tecnocrazia non patrimoniale a crescita rallentata o zero e a forte disoccupazione. Eppure questo sistema, che non garantisce la giustizia sociale che continuamente proclama di voler perseguire, riesce a legittimare l'assassinio dei popoli e la lobotomizzazione degli individui tramite l'ideologia dei diritti dell'uomo, vulgata riassuntiva ed ecumenica degli umanitarismi liberali, cristiani, socialdemocratici. Processo classico di compensazione: una metafisica benevola maschera sempre una pratica oppressiva. I primi comunisti distinguevano, almeno, tra «libertà formali» (borghesi) e «libertà reali» (socialiste), rifiutando la retorica dei diritti dell'uomo in quanto espressione di una fase storica da superare. I comunisti odierni in Italia, molto più ragionevoli dei loro antenati e più preoccupati della buona creanza umanista, esitano a rinnovare questa condanna del diritto borghese quale discorso di legittimazione economica. Non mirano più affatto alla «sovversione», ma prendono alla lettera nella vita quotidiana le illusorie promesse dell'ideologia occidentale, partecipano ai meccanismi della società capitalistica e ne interpretano radicalmente i predicati per i settori sociali che si affidano alla loro tutela. La presa di coscienza della minaccia che proviene da questa ideologia dell'Occidente è il primo passo per individuare la nuova linea di demarcazione fra le differenti opinioni chiamata a sostituirsi progressivamente alla vecchia opposizione destra-sinistra e per cercare di ricostruire una forza politica realmente antagonista.

 

Filippo Ronchi

 

articolo precedente Indice n° 44 articolo successivo