da "AURORA" n° 45 (Gennaio 1998)

LA POLITICA

Sinistra, Destra, Centro: ginnastica borghese

Stefano Greco

 

I concetti politici di sinistra, destro, centro, fanno riferimento alla disposizione spaziale dei partiti ideologici nell'emiciclo della camera legislativa; rispetto ai similari concetti di rivoluzione, reazione, conservazione, la novità non è puramente terminologica per il semplice motivo che il parlamento lungi dall'essere un'istituzione neutrale è l'organo per eccellenza, antonomasia, del potere borghese. L'opera delle formazioni parlamentari è assimilabile a quella di équipes di medici, di scuola diversa, che vigilano la salute di un illustre paziente. I consigli sanitari, le terapie, gli interventi proposti contro l'aggressione di un virus o patologia possono essere diversi ma identico è l'obiettivo: la salute dell'organismo.

Équipes di medici di formazione diversa, abbiamo detto, tra le quali una (o più) pretende di poter assicurare, al contempo, la salute dell'organismo e, nel lungo periodo, una sua trasformazione sostanziale con una diligente opera di ingegneria genetica, ma quanto assurdo, contraddittorio, sia questo proposito è evidente. Adeguare l'organismo alle mutate condizioni esterne (a questo si riduce, di fatto, la sua opera), non significa trasformare l'organismo ma salvarlo, perpetuarlo per quel che è. Mussolini chiarisce esemplarmente la questione: «È una pretesa assurda quella di voler "demolire e ricostruire molecolarmente il mondo sociale". È antimarxistico per excellence. È antiscientifico. La società borghese è un organismo in movimento, in continua trasformazione. Reagisce come tutti gli organismi viventi. (...) Solo gli utopisti pre-'48, potevano pensare a questa lenta sostituzione di molecole, l'hanno anzi tentata e si è visto con quale fortuna. (13-2-13)

È l'accumulazione del capitale a presiedere all'insieme delle decisioni, la sua logica ad imporsi. Volente o nolente nessuna formazione parlamentare può sfuggire a questa regola. Possono dire quello che vogliono: la loro opera è sempre, necessariamente, quella di becchini della rivoluzione. Le lotte parziali e quotidiane vengono dirette esclusivamente al conseguimento di obiettivi immediati. Si sacrifica il futuro al presente, si sviluppa l'opportunismo, si riproducono invariabilmente le condizioni alienanti di sempre.

Nei compromessi, nel pragmatismo senza vasti orizzonti, nel realismo senza speranza, le posizioni, anche le più irriducibili, prima o dopo si edulcorano, si omologano sostanzialmente.

Nella prima fase del potere borghese le formazioni parlamentari di Centro rivestono un'importanza preminente, tendono a prevalere sulle altre, quando però l'omologazione ideologica si precisa, cioè le posizioni estreme si ammorbidiscono, abbandonano il carattere antagonistico, si «educano» alla gestione dell'esistente, il Centro abbandona la scena politica nell'indifferenza generale, esaurisce la sua funzione. Così è stato in Italia, così è stato e sarà negli altri paesi, anche se oggi qualcuno si illude di poter ricostruire il Centro con il proposito mal celato di conquistare potere nonostante l'assestamento delle posizioni leaderistiche nei due poli superstiti.

Il pretesto inalberato dai fautori del Centro, la permanenza di un partito antagonistico nella compagine governativa, non regge. Rifondazione Comunista è solo il residuo di un triste passato, un partito privo di progettualità alternativa, autovotatosi a una crescente marginalizzazione e che comunque, a voce del primo ministro Prodi, «ha votato tutte le manovre» ("Corriere della sera", 20-4-97).

Destra e sinistra sono ormai i versi di una stessa moneta giocata da riconoscibili speculatori della maggioranza, da potentati legali ed extra legali che complicano i loro interessi con l'una o l'altra parte.

Volendo riconoscere ai due concetti un minimo di contenuto potremmo dire che la sinistra è in genere più capace di rispondere ai nuovi problemi con originali soluzioni, vanta cioè un'apertura, una marcia in più nel gestire il sistema che in genere la destra (viziata dal retaggio culturale antiprogressista, dall'idea pessimistica della condizione umana) non ha. Ma solo approssimativamente, molto dipende dall'elemento umano.

Come spiegare diversamente le reciproche accuse di Prodi e Berlusconi, nelle ultime consultazioni politiche, di essersi copiati i programmi elettorali? Il crollo verticale del PSI dalle lungimiranti prospettive aperte dal massimalismo di Mussolini ai loschi affari tangentizi; la stessa vicenda mussoliniana? L'abdicazione del PCI in PDS? Ciò nonostante, contro ogni evidenza, si continua a fare riferimento alla destra e alla sinistra, e i furbi della politica approfittano di queste logore etichette per usarle come specchio per allodole, «trappole» di consenso elettorale.

La circostanza è grave se si considera che la sinistra, approfittando del pregiudizio sulla sua natura progressista, riesce a mettere a segno le misure più antipopolari. Il polo avverso avrebbe trovato serie difficoltà ad avvicinare la distanza temporale tra la cessazione del rapporto di lavoro e la cessazione della vita biologica per frodare i lavoratori della rendita dei loro stessi contributi pensionistici. Né Berlusconi né i precedenti governi hanno mai varato come l'attuale di sinistra una manovra fiscale da 100.000 miliardi che ha tutti i crismi di una rapina. Lo confessa candidamente l'ex-presidente della Confindustria: «non c'è nulla di meglio di un governo di sinistra per far digerire alle masse delle politiche di destra».

Volendo essere conseguenti non possiamo nasconderci che riconoscendo nella destra-sinistra la chiave di lettura delle dinamiche politiche e sociali, si dissipano le energie rivoluzionarie nella cultura filo-istituzionale e legalista.

Se, come è stato giustamente osservato, il parlamento dei sindacati (corporativismo interclassista) congela la dialettica delle classi, perché lo stesso discorso non dovrebbe valere per il parlamento dei partiti? In un caso e nell'altro il rapporto è sperequato dalla forza d'incidenza del padronato. Ora, non si tratta di fare la rivoluzione delle parole, di ripudiare la sinistra come categoria politica di riferimento, la tentazione c'è ed è forte, ma farlo ingenerebbe confusione e inutili equivoci, è sufficiente fare chiarezza, approfondire il divario tra sinistra senza aggettivazioni e sinistra istituzionale, quella che nell'alchemica aula parlamentare si tramuta in prezzolata truppa dell'esercito borghese, più pericolosa per alcuni versi della truppa concorrente. Una volta precisata questa distinzione è più facile garantire l'autonomia culturale, ideologica del proletariato. Nel partito, o partiti, di sinistra si vedrà semplicemente una formazione da riguardare certamente con sospetto ma non da gettare alle ortiche aprioristicamente. In un contesto di insufficiente maturità rivoluzionaria può svolgere infatti una limitata, temporanea, funzione positiva se si assume il compito di «saturare di socialismo le organizzazioni economiche, circondare il movimento d'ascensione proletaria di un'atmosfera eroico-religiosa, far d'avanguardia al grosso dell'esercito proletario sino a quando questo esercito proletario non sia capace di esprimere dal suo seno le vigili avanguardie del pensiero e dell'azione socialista». (Mussolini 6-4-12)

Condizione difficile ma non impossibile. Le riserve verso il partito restano comunque in ogni caso. L'insofferenza dei lavoratori verso gli apparati partitici che sono chiamati a servire in posizione subalterna è ormai palese. Le rappresentanze tradizionali svisano e limitano entro rigidi schemi ideologici le vive esperienze ed esigenze dei lavoratori. Al di là del riformismo e del massimalismo, delle alleanze esterne di tipo socialdemocratico e settarismi impotenti, si avverte l'esigenza di una politica rivoluzionaria fondata, anziché su un equilibrio di forza concepito in termini di pura meccanica politica, sulla possibilità di controllo dei lavoratori sui suoi strumenti di lotta e di autosviluppo. La mobilitazione è possibile solo in presenza di una forte identità collettiva, quando si condividono fini non negoziabili, rinunciando al rapporto di scambio su fini immediati, con l'affermarsi cioè di una volontà collettiva determinata a modificare autonomamente l'esistenza senza l'ausilio della mediazione politica. Le oppressioni, comunque camuffate, si vincono anche, e soprattutto, svelando la natura retriva, il carattere aberrante delle sue istituzioni.

Stefano Greco

 

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