da "AURORA" n° 45 (Gennaio 1998)

LETTERE AL GIORNALE

 

 

Bologna, 29 dicembre 1997

 

Cari Redattori,

ringrazio idealmente chi vi ha segnalato il mio indirizzo, per avermi dato la possibilità di leggere il n° 43 del vostro periodico, contenente, tra scritti di grande interesse, un sobrio ricordo di Beppe Niccolai, indimenticabile maestro di vita.

È raro che mi trovi in sintonia con gli autori di quello che leggo ed è questo un motivo di soddisfazione, particolare per uno come me, emarginato di ridotta attitudine sociale.

Non ho capito (...) il manifesto con Mussolini e Guevara, spurio e retorico ....

Confesso la pochezza delle mie conoscenze dei personaggi e degli avvenimenti descritti molto seriamente da Claudio Mutti nell'approfondimento su Szálasi e le Croci Frecciate, ma penso che sia un po' azzardato accostare al Fascismo il movimento magiaro.

I ricordi del fascista Giorgio Perlasca che ne contrastò gli eccessi contro gli Ebrei mettono in evidenza più elementi di distinzione che affinità.

I movimenti omologhi sorti in Europa, a partire dal NDAP di Hitler, ebbero pochi punti di comunanza, forse le forme di inquadramento e l'ispirazione nazionalista.

Più passa il tempo, più limpidi appaiono i contorni del movimento mussoliniano.

Il Fascismo era Mussolini.

Il retaggio è degli Italiani di buona volontà, che operano con lo spirito di servizio e con l'amore per la Patria che furono caratteristici dei migliori Fascisti.

Destra, sinistra?

Perché continuare con espressioni vecchie di oltre due secoli?

Non è più tempo di Giacobini e di Foglianti.

Voi definite il vostro periodico «mensile della sinistra nazionale».

Nel librettino di Bobbio del '94 v'è un riferimento a Cacciari, sull'evoluzione della politica secondo una ragione spaziale, con il passaggio da una dimensione assiale-lineare ad una dimensione sferica, dove non è più possibile la distinzione fra destra e sinistra, divenute relative e interscambiabili.

Messo così, sembra un discorso di Moro, che gli Americani non capivano, Kissinger arrivò a dire che chi si esprimeva in quel modo non poteva essere che un farabutto, che parlava per conto di un popolo di farabutti, il che, detto da un figlio di puttana, sarebbe preoccupante.

Scusate la franchezza, a parte il vostro diritto di scrivere quello che volete, ma trovo che non abbia più alcun senso, oggi, alla fine del 1997, dirsi di sinistra, anzi, della sinistra nazionale.

Ci sono voluti più di trent'anni per capire il messaggio lanciato da McLuhan con "The Gutenberg Galaxy".

Quasi altrettanti per accorgersi della portata della decisione di J. F. Kennedy di bocciare l'aumento del prezzo dell'acciaio (1 cent/ton) deciso nel '62 dalla U.S. Steel.

I rumori della guerra nel Vietnam nascosero i segni della fine del liberismo.

Negli ultimi anni, anche i magliari di Carni, i salsicciai di Cavezzo e i mortadellari di Zola Predosa hanno sperimentato sulla loro pelle cosa ha significato la caduta del Sovietismo e il formarsi del mercato intercontinentale.

La spietata lucidità con cui avete scritto l'analisi della sconfitta del movimento di Rauti costituisce titolo irrinunciabile per un severo esame di coscienza, un esame che non vi compete esclusivamente, perché riguarda migliaia, forse milioni di Italiani.

Si deve smontare la Vulgata ciellenista, finirla con le menzogne e i travisamenti dei cantori della Resistenza, ma si deve finirla anche con le fanfaronate del reducismo di tanti «ex».

Quelle che voi chiamate le carnevalate di Predappio hanno un effetto devastante, perché rafforzano il cliché del fascista mentecatto, esasperato da cinquant'anni di propaganda ruffiana, che ha avvelenato la mente di almeno tre generazioni.

Si può dissotterrare la verità storica?

Ai molti sangerolami che hanno contribuito alla formazione della Vulgata ciellenista bisogna aggiungere gli storici, i romanzieri, i memorialisti e i cinematografari dei paesi vincitori che hanno mantenuto vive le leggende sulle forze che hanno sconfitto il male.

L'antisemitismo di Rühs, Fries, Paulus, Hartmann, Streckfuss, Wagener diede sostanza alle demenziali teorie nazionalsocialiste, che portarono all'attuazione della Endlösung des Judenproblem.

Siano stati quattro o sei i milioni di ebrei eliminati nei campi di sterminio, si deve ammettere che è stato un crimine contro l'umanità.

Il Revisionismo non dovrebbe sprecarsi sul ridimensionamento di quel crimine assurdo, ma sollevare piuttosto la cortina calata sui crimini delle forze del bene.

Tre milioni di Tedeschi «dispersi» dopo il '45 nel corso delle espulsioni dai territori divenuti sovietici, dalla Cecoslovacchia e dai Balcani (Ladame - Paris, '58) non hanno peso, non sono mai ricordati.

Il mezzo milione di Tedeschi Disarmed Enemy Forces «dispersi» nei campi di internamento britannici nello Schleswig-Holstein dopo il maggio '45, (Bracque, "The other Lager", 1995), non hanno peso, non sono mai ricordati.

I prigionieri Tedeschi, Italiani, Finlandesi, Ungheresi, Romeni, Spagnoli, caduti in mano all'Armata Rossa e dispersi, vale a dire mai ritornati a casa, sono stati più di tre milioni, ma non hanno peso, sono ricordati raramente.

Raramente si ricordano i Lager negli Stati Uniti d'America.

Mio zio Francesco, cittadino degli S.U., domiciliato a Newark, N.J., con azienda in New York, N.Y., seconda casa a St. Louis, MO, è «sparito» ad Ellis Island, N.Y., dove era stato internato nel '42 perché accusato di pericolose simpatie per l'Asse.

Spogliato di ogni proprietà, confiscata dal governo federale, fu arrestato da agenti dei servizi segreti e tradotto nella maledetta isoletta che sta tra Manhattan e i docks di Hoboken, N.J., dove, assieme a migliaia di altri italiani, fu sottoposto ad ogni genere di privazioni e maltrattamenti, botte incluse.

Pare sia finito in una fossa comune.

Croce Rossa Internazionale, ambasciata italiana e consolati si sono comportati in modo vergognoso, o forse esemplare, perché lo zio era sospettato di simpatie per le forze del male.

Gli italiani che da Ellis furono trasferiti a Fort Missoula, Mta., riuscirono a cavarsela.

Poco si è scritto anche dei cittadini statunitensi di origine giapponese, uomini, donne e bambini, che, se non arruolati nell'US Army, vennero rinchiusi nei campi di internamento della California, del Nevada e dell'Arizona, come gli oriundi della Germania, rinchiusi nei campi del Wisconsin e del Minnesota.

Nessuno si è mai occupato di riabilitazioni, scuse, restituzioni o risarcimenti.

Solo noi dobbiamo piegare il capo, batterci il petto e chiedere scusa.

Ospite della Vª Armata USA nell'ottobre del '44, riuscivo ogni tanto a sgraffignare «Stars and Stripes», il quotidiano delle forze armate.

Lessi che la 1ª Armata del gen. Hodges aveva impiegato quasi tutto il mese in combattimenti nell'abitato, per riuscire a conquistare Aachen, Aquisgrana.

«More than 1.200 HJs shot by GIs», titolo a quattro colonne sul servizio che raccontava come ogni ragazzino della HitlerJugend catturato con le armi in mano, durante i durissimi combattimenti, era stato messo al muro e fucilato.

Proprio in quei giorni fu costituito il VolkSturm, così che, oltre ai ragazzini, i GIs americani misero al muro anche i vecchietti.

Qualche storico cretino, come Ricciotti Lazzaro, ha descritto la conquista della prima città tedesca come una allegra scampagnata, ma nessuno storico serio ha fino ad oggi descritto la verità.

Con l'aria che tira, la verità è sempre più lontana.

Cari Redattori, mi siete simpatici e, a parte, vi spedisco l'obolo per continuare ricevere il mensile, che, dalla veste, denuncia una certa spartanità di costumi e una certa elasticità nelle date di edizione.

Credo di capirvi, ma non riesco a condividere tutta la vostra simpatia per i «Sinistri», onesti paladini degli interessi del popolo lavoratore.

Anzitutto, bisognerebbe mettersi d'accordo su quale sinistra si accenda il fuoco della vostra speranza.

La sinistra delle damazze lombarde, tipo donna Giulia Crespi, quella dei guitti spendaccioni, tipo il testé trapassato Giorgio Strehler, quella degli scrittori, è inutile fare nomi, sono la maggioranza, o quella dei comunistelli di sagrestia?

Il Lumpenproletariat di Marx non esiste più, almeno in Italia.

Esistono vasti strati di persone con redditi bassissimi che praticano quotidianamente il salto del pasto, ma che per senso dell'onore e dignità non fanno parola del loro stato.

Non sono di sinistra, non votano a sinistra, sono contro tutto ciò che può essere identificato con la sinistra, secondo le correnti accezioni.

Non vorrei che tutta 'sta cagnara per la sinistra nascesse dal desiderio di non vedere compromesse le garanzie per i cittadini più deboli.

Passate le esasperazioni dell'edonismo reaganiano, oggi, negli Stati Uniti, non si parla più tanto di previdenza a due o a tre pilastri e di servizio sanitario appoggiato dalle compagnie dl assicurazione.

I modelli di previdenza e di assistenza che piacevano tanto a De Michelis si sono rivelati inaffidabili e diseconomici.

I tassi di caricamento applicati dalle compagnie sono intollerabili.

Il punto, secondo me, è un altro, e riguarda l'efficienza del funzionamento delle opere e degli istituti di tutela, in concorrenza, nel prossimo futuro, con i giganti franco-tedeschi che oggi si stanno scannando a colpi di OPA nella lotta per la supremazia.

A chi vanno le centinaia di miliardi incamerati ogni anno dai patronati sindacali cui obbligatoriamente deve ricorrere ogni pensionando od ogni lavoratore dipendente tenuto alla compilazione del «730» o del «740»?

I «sinistri» sono dei sozzoni come tutti gli altri, oltre a possedere attitudini particolari per buttare all'aria ogni genere di bilancio contabile.

L'onestà dei «sinistri» è un mito abbastanza volatile.

L'attuale sindaco di Catanzaro, che si atteggia a perseguitato politico, vittima della magistratura, dei pentiti e dei giornalisti, è un grande ladrone.

Quand'era ministro dei Lavori Pubblici, venti e passa anni fa, con le aste truccate dell'ANAS, rubò migliaia di miliardi.

Il «sinistro» Biagi, anema e core, lo intervista spesso, tributandogli la deferenza riservata ai padri della patria.

Il «sinistro» Cossutta, già furiere del PCI, incamerava le tangenti mascherate da royalties, che gli versava, per conto della Fiat, il dottor Savoretti, genero di Kossighin e presidente di Novasider e Orientrade, società di import-export con l'URSS ai tempi dello stabilimento di Togliattigrad.

Tangenti sulle presse, sui laminatoi, sulle macchine utensili, sui ricambi, sulle viti e sui bulloni, su tutto.

La FIAT ha pagato al PCI, con quella meneghina, cifre che la coppia Berlusconi-Previti non riuscirebbe neanche ad immaginare.

Per le tangenti pagate da ENEL, ENI e FS non ho conoscenze altrettanto dirette, ma sono stato testimone di preoccupate reticenze, che giustificherebbero ogni sospetto sul perdurare di tali pratiche.

Ricordiamoci che il megadebito pubblico della nostra repubblichetta ha preso corpo a partire dagli anni dei governi di solidarietà nazionale, con l'allegra gestione di INPS targata Trimurti, il maleodorante SSN e la gestione «sinistra» e «sindacale» del Pubblico Impiego.

Ricordiamoci che il Lavoro in Italia ha incominciato ad andare «in mona» con la famosa legge 300/70, partorita dal «sinistro» brain trust Brodolini-Giugni, fiore all'occhiello di ogni progressista che si rispetti.

Cinquantatre anni fa mi compiacevo di essere considerato un bolscevico nero, convinto assertore della Socializzazione.

Problemi di diritto privato a parte, oggi mi accontenterei della trasformazione in Public Company di ognuno dei sette od otto grandi gruppi finanziari che controllano in Italia il mercato azionario.

Public Companies e azionariato diffuso sarebbero oggi la miglior forma di Socializzazione, particolarmente con i fondi chiusi e i fondi (integrativi) previdenziali.

Dopo vent'anni di Mitbestimmung, in Germania si guarda a qualcosa di più compatibile con l'agilità e l'aggressività delle concorrenti Tigri dell'Est e, non dimentichiamolo, delle multinazionali americane.

Anch'io rimpiango uomini come Niccolai, Pini e Pisenti, ma a che serve?

Sarebbe già molto vedere utilizzate le intelligenze brillanti, respinte dalle segreterie di partito, disperse oggi sulle pagine di giornaloni e giornaletti.

Scusate la prolissità e le sbrodolature.

A tutti voi un cameratesco saluto e tanti auguri sinceri.

 

Antonio Liazza

 

P.S.: Non siate contro il bipolarismo. In un Paese come il nostro dove il rispetto per l'aritmetica è scarso e dove lo sport più praticato è l'arraffamento della marmellata (degli altri), lo spoiling (all'americana) sarebbe una vera panacea, sempreché non si trovi il modo di mantenere in vita quello all'italiana. Chi vince, sbatte fuori tutti, e li sostituisce con uomini di fiducia, in gamba, che non rubino e facciano girare gli ingranaggi. Alla scadenza, il popolo giudicherà. Poco che funzioni, dovrebbe servire a spezzare l'eterna carriera dei soliti noti.

 

 

AURORA RISPONDE

 

 

Cento, gennaio 1998

 

Tra le tante lettere, giunte in redazione negli ultimi tempi, questa dell'amico Liazza è certo tra le più interessanti. Condivido le perplessità sul manifesto con soggetto Mussolini e Guevara solo in parte; mi è parsa intelligente e positivamente provocatoria l'idea di accostare i due personaggi; giudico inadeguato e, per molti versi, controproducente il testo. Il manifesto non è comunque un'iniziativa della Sinistra Nazionale la quale ha solo contribuito alla sua diffusione pur non condividendolo totalmente.

Sulla unicità del Fascismo italiano non vi è molto da aggiungere; gli storici «veri», ossia non condizionati da contingenti interessi di parte, hanno costantemente sottolineato la sua inconciliabilità con i cosiddetti fascismi europei o extra-europei. Azzardato, viceversa, mi pare sostenere che il Fascismo sia stato solo e unicamente Mussolini, pur nella consapevolezza che senza l'acume politico e la capacità di sintesi del Rivoluzionario romagnolo le correnti culturali, sindacali e politiche che agitarono la limacciosa piattezza dell'italietta giolittiana, sin dagli ultimi anni dell'Ottocento sarebbero state probabilmente riassorbite. Appartengono, infatti, alla mitologia antifascista, e non alla realtà storica, le catalogazioni liberali e marxiste per le quali il fascismo si riduce all'«irruzione degli Hyksos» nella storia patria (Benedetto Croce) o allo strumento ultimo, per questo più determinato e feroce, della classe borghese (tesi della IIIª Internazionale) terrorizzata di fronte alla trionfante rivoluzione bolscevica. Il Fascismo è stato molto di più e molto diverso di queste classificazioni! Basta solo soppesare, al di là delle demonizzazioni e delle esaltazioni strumentali, la consistenza di ciò che sotto l'aspetto culturale e politico i Fasci interventisti seppero attrarre. Basta andare a rileggersi i quotidiani di quegli anni per percepire quanto e quale fosse il peso nel mondo del lavoro dei sindacalisti rivoluzionari, di quello che significò per la cultura e il costume l'irrompere del Futurismo e quanto contarono sul piano politico anarchici, repubblicani e socialisti rivoluzionari per cogliere tutto lo spessore quantitativo e qualitativo di quanto si andò coagulando nel movimento mussoliniano.

Il Fascismo fu qualcosa di piuttosto complesso e composito rispetto al quale persino le rigorose analisi defeliciane appaiono insufficienti, figurarsi quelle interessate di detrattori ed esaltatori tese ad evidenziare aspetti politicamente utili -spesso storicamente insignificanti in quanto marginali o sovrastrutturali- nella quotidianità.

Alla domanda «destra-sinistra?» posta dall'amico Liazza possiamo rispondere evidenziando l'essenza stessa del Fascismo che è di sinistra ed è giacobina (come sostenuto con dovizia d'argomenti dal Nolte e dallo stesso De Felice), se pure purgata dall'esacerbato scientismo positivista, riequilibrata dall'umanesimo mazziniano e fortemente condizionata dal volontarismo soreliano.

E non vi è nessuna circostanza, nel dipanarsi dell'azione politica mussoliniana, che ci consenta di cogliere alcunché di reazionario, di socialmente e culturalmente regressivo persino nei non condivisibili compromessi che portarono alla dittatura, alla soppressione delle libertà di espressione e critica che, unitamente alle Leggi razziali del '38, sono gli errori imperdonabili nel quale è incorso il Socialista romagnolo.

Il Fascismo è stato nel suo inveramento storico il frutto maturo della diaspora dal partito socialista istituzionale dell'ala rivoluzionaria cui il Direttore dell'"Avanti" era il più qualificato rappresentante. La componente socialista rivoluzionaria che abbandonò il partito di Treves e Turati fu il nucleo più consistente dei Fasci Interventisti al quale via via si sommarono i sindacalisti di De Ambris e Corridoni, i futuristi di Marinetti, gruppi consistenti di anarchici e repubblicani e le forze culturalmente più avanzate e vivaci della realtà culturale di quegli anni che ruotavano attorno a "la Voce" del Prezzolini e a "l'Unità" del Salvemini.

Perché perseverare nell'utilizzo di termini vecchi di due secoli? Ci chiede il Liazza.

Al di là del librettino di Bobbio e della evoluzione, o involuzione, della politica, dalla precedente dimensione assiale-lineare all'attuale dimensione sferica, permane l'esigenza del «definirsi» ossia del «riconoscersi» ed essere dagli altri «riconosciuto», anche nell'approccio superficiale. Destra e Sinistra, tralasciando analisi eccessivamente intellettualistiche non contemplanti la realtà fattuale, rimangono parole chiave per comprendere «a naso», per «sommi capi», come una volta si diceva, la collocazione politica di un dato soggetto. Ciò non è certo sufficiente a definire nella sua totalità ideologica un movimento che si fa portatore di un'istanza politica piuttosto complessa ma serve, per usare un termine militare, «a mostrare la bandiera». In questo senso, mi pare, l'indicazione di McLuhan non solo è stata recepita ma applicata nella sua totalità. Nella «guerra delle parole», pur con i limitati mezzi dei quali disponiamo, il nostro «segnale» è chiarissimo, perché la stragrande maggioranza delle persone, al di là degli onanismi cerebrali di Bobbio e Cacciari, percepiscono la Destra e la Sinistra per i contenuti delle quali sono state gravate negli ultimi duecento anni: la prima come sinonimo di conservazione, reazione, egoismo sociale; la seconda come sinonimo di progresso, giustizia sociale e altruismo. Ciò non mi pare contestabile, ogni disquisizione di merito sarebbe pura accademia. D'altro canto è naturale, come vedremo più avanti, per un movimento politico che incardina nella «socializzazione dei mezzi di produzione» tutte le sue istanze politiche collocarsi a sinistra, perché solo il «popolo della sinistra» può dare gambe ad un progetto economico con queste caratteristiche.

È scontato scrivere che per uomini come Giorgio Perlasca si prova rispetto ed ammirazione, allo stesso modo ci pare superfluo sottolineare la profonda diversità, la inconciliabilità tra fascismo e nazismo. Inconciliabilità di metodi, di essenza ideologica, di genesi politica. Nonostante un'alleanza militare che, a mio modo di vedere, era obbligata in virtù di un assetto geopolitico planetario profondamente iniquo che relegava Italia e Germania ai margini dei processi economici e politici in un mondo nel quale nazioni dal peso inconsistente per territorio e popolazione, basti pensare al Belgio e all'Olanda, svolgevano ruoli ben più significativi dei due Paesi che avrebbero poi stretto il Patto d'Acciaio. Certo storicismo beota ha indicato Mussolini e Hitler come unici responsabili dell'immane carnaio del 1939-45, quasi che Italia e Germania dovessero supinamente rassegnarsi ad un ruolo subalterno e che i desiderata di Londra e Parigi, Mosca e Washington andassero comunque sempre esauditi. La consapevolezza dell'ineluttabilità di un'alleanza militare, le ragioni della quale sono ampiamente giustificate dalla contingenza di quella fase storica, non giustificano le sofferenze atroci inflitte agli israeliti dal nazismo. Allo stesso modo non è oggi giustificabile la macabra e sconcia conta dei morti nella quale si esercitano, non tanto gli storici, revisionisti e non, per i quali il diritto alla ricerca senza limitazioni è sacro, ma centinaia di squallidi imbecilli che non si rendono conto che siano dieci, un milione o sei milioni i morti le responsabilità di chi si è macchiato di un crimine tanto orrendo non possono essere attenuate.

Né ad attenuarle, come giustamente Liazza scrive, serve l'elenco altrettanto orrendo dei crimini alleati, siano essi quelli compiuti durante la guerra, ai quali, per la ferocia mostrata dai «liberatori», vi sono da aggiungere il bombardamento di Dresda e le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Senza elencare la lunga serie di crimini contro l'umanità, per i quali nessun «Tribunale di Norimberga» è stato ancora convocato, compiuti nel Vietnam (i bombardamenti terroristici su Hanoi e Haiphong, l'utilizzo del napalm contro la popolazione civile, l'uso dei defolianti chimici, tuttora causa di centinaia di aborti e malformazioni genetiche per migliaia di bambini), nei paesi dell'America Latina (i golpe finanziati dagli USA, i battaglioni della morte, i desaparecidos), in Medio Oriente (la guerra contro l'Irak e le sanzioni ONU imposte a quell'infelice paese le quali avrebbero provocato, secondo i non sospetti dati dell'UNESCO, la morte per inedia o per malattie di oltre 100.000 bambini solo nei primi due anni).

Questo detto, è opportuno chiarire fino in fondo la posizione della Sinistra Nazionale rispetto all'Olocausto.

Non condividiamo assolutamente la pretesa di parte del popolo ebraico di conferire all'orrendo crimine di cui è stato vittima il carattere esclusivo e assoluto che esso pretende. La storia dell'umanità è costellata di genocidi altrettanto efferati nei confronti di popoli, etnie, ceti sociali. I lager nazisti col loro corollario di orrori e umane sofferenze non possono vantare nessuna «supremazia» morale sui massacri, tanto per fare qualche esempio, degli Armeni ad opera dei Turchi, della soluzione, posta in essere dal comunismo staliniano nei confronti dei Kulaki, né vediamo minore ferinità tra il «soldato blu» che distribuiva ai pellerossa coperte infestate dal vaiolo ed il guardiano nazista dei lager, Né pensiamo che i Cristiani Maroniti libanesi, penetrati nei campi palestinesi di Sabra e Chatila, col consenso dei generali israeliani, massacrandovi diverse migliaia di uomini, donne e bambini siano meno criminali degli appartenenti ai corpi speciali di Himmler utilizzati nella caccia in Est Europa ad Ebrei, Zingari, Russi e Polacchi. Né le persecuzioni subite, negli Anni Trenta e Quaranta, dagli israeliti giustificano il loro successivo comportamento nei confronti del popolo palestinese: le dita spezzate agli adolescenti di Gaza, le case dei sospetti terroristi demolite con la dinamite, l'esproprio illegale delle terre, le continue provocazioni di carattere religioso, gli arresti amministrativi per eseguire i quali non occorre nessuna specifica imputazione lasciando il tutto alla discrezionalità di polizia e servizi segreti. Ne può in alcun modo consentire alla Corte Suprema, di un Paese che si definisce civile e democratico, di giustificare le «pressioni fisiche» -leggi tortura- sui sospetti di terrorismo.

In sintesi, rivendichiamo l'umano diritto di indignarci oltre che per i crimini nazisti anche per quelli compiuti da altri, compresi quelli del Popolo eletto, senza per questo essere additati a nipotini di Hitler.

Credo di avere in parte risposto sul perché a Sinistra. Una Sinistra che nulla ha in comune con le «damazze lombarde» e con i tanti ipocriti cantori dello stalinismo copiosamente emigrati, con la più totale naturalezza, nel Polo delle libertà o recitanti il ruolo di struggenti aedi del liberalcapitalismo nelle file uliviste.

Dubito che il «Lumpenproletariat», tanto disprezzato da Carlo Marx sia scomparso dalla scena italiana e tanto meno mondiale. Il comprimersi degli standars di vita dei piccoli e medi borghesi sta creando gradualmente un'area sociale intermedia nella quale classe proletaria e ceto borghese finiscono col confondersi in un magma indistinto. Contemporaneamente, l'espulsione di un gran numero di lavoratori dalla produzione -in virtù della crescente automazione e della ridislocazione di aziende, con alto tasso di lavoro manuale, in aree in cui il costo del lavoro è più basso e gli oneri derivanti dalle garanzie sociali pressoché inesistenti (basti pensare al lavoro minorile)- e la crescente disoccupazione giovanile hanno dilatato a dismisura l'area che possiamo senz'altro, in termini marxiani, definire di «sottoproletari».

Né, vi è da aggiungere, il venir meno di alcune garanzie sociali imposte dal risanamento dei conti pubblici contribuisce a «calmierare» la crescente emarginazione economica, in specie nelle grandi aree urbane e nel Centro-Sud della Penisola, destinata a produrre effetti, sul corpo sociale, imprevedibili.

Come abbiamo parecchie volte ribadito su queste pagine, in tutto l'Occidente si va affermando la «società dei due terzi». Vale a dire che mentre alla gran massa, ormai un unicum indistinto, di proletari-borghesi viene garantito un livello di vita accettabile, un terzo abbondante della popolazione viene tenuto ai margini, ossia privato non tanto del surplus consumistico, che viene garantito alla maggioranza, ma del minimo vitale per una vita dignitosa.

Allargare l'analisi al rapporto tra Nord ricco e Sud povero del Pianeta richiederebbe uno spazio troppo ampio. Va comunque sottolineata la sempre maggiore insofferenza delle masse sottoproletarie del Terzo Mondo condannate ad una vita infernale dall'indecente sfruttamento a cui sono sottoposti i loro Paesi da parte delle oligarchie finanziarie transnazionali.

Tornando alla «nostra repubblichetta», su queste pagine si è sempre sostenuto che la vicenda di Tangentopoli andava ben al di là del mero caso giudiziario e ad innescarla ha senz'altro contribuito l'esigenza, tutta interna alle oligarchie capitaliste, di promuovere una svolta efficientista del corrotto e anchilosato sistema italiano operando il cambiamento con la sola arma allora possibile: quella giudiziaria. Che poi la situazione sia sfuggita di mano e la magistratura si sia spinta ben oltre quelli che erano i desideri dei burattinai è un'altra storia. Qui ci preme sottolineare la vastità del fenomeno corruttivo la cui dimensione non era, e non è, limitata a qualche decina di ladroni comunisti e democristiani. Sono milioni gli italiani furiosamente indignati per la corruzione della politica che in realtà dalla stessa sono stati ampiamente beneficiati. Chi di noi non conosce un ex-socialista, democristiano, comunista o socialdemocratico che ha fatto carriera a colpi di raccomandazioni o gode di una lauta pensione che non gli spetta? Chi di noi non conosce un piccolo, grande o medio imprenditore tributario per la sua personale fortuna non alla propria intelligenza e inventiva ma al sostegno del politico amico, ai contributi elargiti a buon mercato, tanto «paga Pantalone».

Non si vuole qui sminuire la responsabilità di personaggi come il citato sindaco di Catanzaro e di altri personaggi della sua risma, ma si vogliono solo richiamare alla mente le dimensioni della questione morale che nella «nostra repubblichetta» non sono inferiori a quelle del problema economico e politico. Il debito pubblico italiano e lo stato di vera e propria miseria di molte regioni del Sud sono filiazione diretta del sistema di corruzione diffusa, dei favori fatti e ricevuti, della complicità fattiva tra presunti amministratori e presunti amministrati, del voto di scambio tra clientes beneficiati e oligarchie politiche.

L'essere definito «bolscevico nero» o «fascista rosso» non mi deprime più di tanto anche se ritengo queste definizioni non rispondenti alla realtà della mia, nostra, collocazione politica. L'anelito alla giustizia e alla libertà è nel singolo e nell'umanità tutta insopprimibile e non aveva torto Proudhon quando indicava nella «libertà dal bisogno» quella primaria alla quale tutte le altre debbono sottostare. Rimango convinto che persino nella teoria economica marxista, mondata dalla micidiale carica di intolleranza propria del dogma religioso conferitagli dal socialismo reale, vi siano aspetti positivi importanti. Allo stesso modo attribuisco alla scolarizzazione diffusa, pur con tutti i limiti dell'educazione di massa, la capacità di innalzare la coscienza individuale e collettiva e che presto o tardi l'esigenza della partecipazione diretta alla gestione del sistema economico-politico si porrà in termini ultimativi.

La trasformazione in Public Company dei gruppi finanziari che controllano in parte il mercato azionario non influisce in alcun modo nell'organizzazione economica della Nazione dalla quale per filiazione diretta discende il sistema politico-sociale; la ritengo anzi negativa, essa dando l'illusione di una partecipazione alle scelte economiche che rimarrebbero comunque e totalmente appannaggio del «cerchio magico».

L'azionariato diffuso ha senso solo se inserito in un quadro di più vasta partecipazione dei produttori manuali e intellettuali alla gestione delle aziende. Il fallimento della Mitbestimmung tedesca è attribuibile più che alla concorrenza delle «Tigri dell'est» (penso ti riferisca a quelle asiatiche) alla necessità di richiamare investimenti transnazionali per ricostruire i territori dell'est. La Socializzazione rimane in prospettiva l'unico sbocco possibile alla globalizzazione selvaggia dei mercati.

Siamo per principio contrari a forzare la volontà popolare ed il bipolarismo con la sua logica egemonica uccide le culture alternative e creative, premia il conformismo che ritengo molto più pericoloso dello scarso rispetto dell'aritmetica e dopotutto non garantisce nemmeno sull'integrità del vaso di marmellata. Il sistema politico degli USA, che marginalizza oltre il 50% della popolazione, quella più povera, non mi pare un buon esempio.

 

 

LETTERE AL GIORNALE

 

 

Carmignano 25/12/97

 

Cari amici vi ringrazio di avermi mandato il vostro n° 43. Dal numero precedente conosco le Vostre idee, comunque non mi dispiacciono queste ultime annotazioni sul vostro conto.

Vi do atto di una vostra logica quando vi riconoscete come Sinistra Nazionale e che in fondo in fondo le vostre posizioni non sono così distanti, anzi mi sembrano obiettivamente convergenti con quelle della sinistra parlamentare, di più, con ogni forza politica che si qualifichi per un esplicito interesse nazionale. Cos'altro potrebbe essere stata «l'unione sacra» realizzata entro ogni paese coinvolto nella Iª guerra mondiale?

Ma per essere completo, voglio dire anche un'altra cosa. A pag. 2, inizio seconda colonna, scrivete: «Cosa vi sia di destra nel Mussolini interventista (...) debbono ancora spiegarcelo». Certo non possono spiegarvelo i vostri interlocutori più vicini. Sarà indubbiamente stata una posizione comune alla destra come alla sinistra. Ma è anche fin troppo facile ricordare da parte mia che con la Iª guerra mondiale crollò la IIª Internazionale, crollò la stessa anima marxiana dei partiti socialisti espressa nel famoso motto «i proletari non hanno patria. Proletari di tutto il mondo unitevi». Questo è il punto qualificante di Marx: i proletari sono una classe mondiale e nulla dovrebbero avere a che fare con gli Stati nei quali si trovano inseriti. Se soggiacciono alla logica dello scontro tra nazioni, ne escono macellati. In Marx, nel primo Trotskj, quello precedente all'intruppamento nazional-bolscevico, ed in Bordiga (mi provoca sempre una grande gioia sentirlo nominare, in particolare da chi, come voi, diverge) c'è una tradizione di sinistra internazionale che evidentemente si colloca all'estremo opposto di ogni sinistra che si definisca e soprattutto si collochi obiettivamente in un contesto nazionale. Basti vedere la critica di Bordiga all'antifascismo nazionale italiano.

Nessuna meraviglia invece che Gramsci abbia dato qualche riconoscimento a Mussolini. In fondo anche Gramsci parlava di un nuovo risorgimento nazionale.

Quanto all'articolo a pag. 19 su Marx permettetemi di dire che ci trovo molto da discutere.

È vero che anche Marx ha parlato di popoli, ma bisogna vedere in che contesto, cioè in un contesto economico arretrato. Si augurava rivoluzioni nazional-borghesi dove non erano ancora avvenute per poter finalmente passare al presunto stadio finale della preistoria umana: la lotta capitale-lavoro in vista della palingenesi universale. Da questo punto di vista c'è un evoluzionismo in Marx. Ha avuto pure un evoluzionismo parlamentare ritenendo che per quella via, per riforme graduali si potesse arrivare al socialismo nei paesi occidentali economicamente avanzati. Ha usato parole di fuoco contro la Russia zarista, inneggiando alla guerra rivoluzionaria contro di essa. Per questo inconsapevolmente diede appigli per legittimare la Iª Guerra mondiale. Anche se questo ragionamento più pericoloso nelle sue conseguenze può trovare qualche giustificazione in quanto sopraddetto: provocare rivoluzioni borghesi per superarle. Il superamento del mondo del capitale a livello planetario, realizzato dal proletariato: questo è il messaggio ultimo ed incontestabile di Carlo Marx.

Permettetemi di ricordare che il primo Mussolini era in sintonia con lui, il secondo Mussolini era incompatibile, né si può definire suo epigono. Marx non sosteneva che i borghesi sarebbero stati così sciocchi da autodistruggersi. Diceva che, loro malgrado, sviluppando le forze produttive, si sarebbero scavati la fossa con le loro mani. Il suo socialismo scientifico si rivelò un dogma smentito dalla realtà dei fatti.

Piuttosto potrei parlare di epigono marxiano per chi coglie alcune analisi, alcune tesi soprattutto giovanili di Marx che egli non sviluppò ulteriormente fino a trarne quelle conclusioni che solo nei nostri giorni sono diventate visibili. Mi riferisco al superamento della teoria del proletariato come classe indipendente e antagonista alla borghesia. Il proletariato ha fallito la sua presunta missione storica mondiale subendo due guerre e rimanendo travolto dalle sirene della società dello spettacolo.

Occorrono dunque nuove analisi che superino anguste visioni ottocentesche come il riferimento nazionale. Occorre ragionare in termini di alienazione mondiale nella quale incorrono popoli vecchi e giovani e le giovani generazioni ancor più delle vecchie. Nemica dell'umanità è l'umanità stessa nella sua vocazione consumistica che non guardia in faccia nessuno, pronta a distruggere il pianeta pur di soddisfare le sue insane voglie.

Quello di cui c'è bisogno oggi è una critica ecologica conseguente, radicale nella quale entrino come soggetti della storia anche animali e piante. Una comunità globale: questo è l'interessante punto di riferimento di un Jacques Camatte, un francese già allievo di Bordiga che si può definire certamente il più lungimirante approdo del pensiero marxiano. (Chi vi ha dato il mio indirizzo?)

Un fraterno saluto

Tiziano Galante

 

AURORA RISPONDE

 

Caro Tiziano,

è erroneo affermare che definirci sinistra nazionale risponde ad una «nostra logica», mi pare, viceversa, che la logica tout court obblighi a collocare «a sinistra», nell'ampio significato che questo termine ha storicamente assunto, un'istanza politica la prospettiva strategica della quale è in tutto e per tutto innervata sulla socializzazione dei mezzi di produzione e sulla democrazia partecipativa.

Né, a rigor di logica, si può discettare sull'«obiettiva convergenza» tra una sinistra con le prospettive sopraddette e la cosiddetta «sinistra parlamentare» la quale, con la parziale eccezione di Rifondazione comunista, è di fatto inesistente, non potendosi tale definire la coalizione dell'Ulivo che, pur rastrellando gran parte dei voti di sinistra, politicamente rappresenta una serie di interessi economici e sociali, ed anche nazionali, antagonisti alla Sinistra, specie quella non marxista alla quale in prevalenza la S.N. fa riferimento. La coalizione prodiana è la risultante di uno convergenza di interessi tra cui quelli organici alle oligarchie finanziarie e confindustriali sono senz'altro prevalenti. Ne siamo consapevoli! Allo stesso modo siamo consapevoli che qualsiasi rapporto organico con il «popolo della sinistra» passa attraverso un rapporto dialettico e dialogico, anche di natura conflittuale, con la cosiddetta «sinistra parlamentare».

Sul Mussolini interventista la tua esposizione è viziata dal tentativo, forse inconscio, di giustificare il fallimento della IIª Internazionale con il collettivo tradimento dei partiti socialisti europei. Lo stesso Marx insegna che il tradimento non è una categoria spendibile nell'analisi storica e che l'agire del gruppi sociali e sempre condizionato dalla realtà dei rapporti di potere. L'ovazione tributata dai parlamentari socialisti tedeschi al Kaiser e l'entusiastica adesione dei socialisti francesi allo sforzo bellico nazionale ben evidenziavano la debolezza della teoria marxiana, la sua visione angusta, parziale, «panciafichista», come la definiva Mussolini, del progredire sociale.

Col primo conflitto europeo non solo crollò l'anima marxista della IIª Internazionale ma tutta la sua costruzione filosofica si appalesò insufficiente e venne in qualche modo salvata dall'esplodere della Rivoluzione bolscevica che lungi dal portare al potere il Proletariato lo sottopose alla feroce tirannia che tutti conosciamo. Ma fu da allora ben evidente che l'interesse nazionale esisteva ed era ben più concreto dell'interesse della classe, come poi dimostrarono i conflitti tra Stati comunisti (conflitto russo-cinese, cinese-vietnamita, vietnamita-cambogiano, ecc.). Di ciò Mussolini aveva coscienza e tentò inutilmente di renderne consapevole un partito, quello socialista, dominato, nella sostanza, dall'ala riformistico-parlamentare che trescava scopertamente col ministro della malavita: Giovanni Giolitti.

Quello che definisci «punto qualificante di Marx» è largamente squalificato dallo stesso Filosofo di Treviri qualora si tenga nella dovuta considerazione il contenuto della corrispondenza tenuta con Engels durante la guerra franco-prussiana del 1870.

La tradizione della sinistra internazionale che «si colloca all'estremo opposto di ogni sinistra che si definisca e soprattutto si collochi (...) in un contesto nazionale», non può essere che quella marxista moderata, ossia quella banalmente deterministica, ben rappresentata nel contesto politico italiano da Treves e Turati che, guarda caso, ebbero come nipotino politico Peppino Saragat. Lo stesso Trotskij «precedentemente all'intruppamento nazionalbolscevico» militava nell'ala menscevica del partito socialdemocratico russo e fu questa la ragione di fondo -unitamente agli screzi con Stalin e Voronscilov sulla condotta di questi ultimi nella Guerra Civile sul fronte georgiano e nella guerra russo-polacca- a determinarne il destino politico; la «rivoluzione permanente» fu solo sovrastruttura creata in seguito per nobilitare un dissidio molto meno nobile. Altro discorso, ovviamente, va fatto su Bordiga al quale vanno riconosciute una coerenza ed una lucidità, seppure mal riposta, degne di miglior causa.

È innegabile che Mussolini abbia recepito e metabolizzato Marx alla stregua di tanti altri pensatori! Blanqui e Bergson, Nietzsche e Proudhon, Mazzini e Oriani. Non si può non rimarcare, come sottolinea Manco nel suo saggio, alla recensione del quale ti riferisci, che l'Uomo di Predappio conservò per tutta la vita una cospicua componente, nell'utilizzo della dialettica e della prassi marxiana. La stessa «marcia su Roma», come sostenne Curzio Malaparte in "Tecnica di un colpo di stato", fu una sorta di lezione applicata della filosofia marxista.

Se le teorie «sulla liberazione del proletariato» si sono mostrate insufficienti ciò non determina la fine dell'antagonismo tra classi. Perché in verità non sono stati i ceti sociali subalterni ad essere sconfitti nello scontro titanico tra capitalismo e socialismo reale ma solo uno teoria, eretta a dogma religiosa, che nella sua applicazione pratica si è rivelata ben peggiore del male che voleva combattere.

La Nazione è oggi uno dei pochi riferimenti possibili per chi voglia opporsi alla globalizzazione economico-culturale. Già ragionare in termini di alienazione mondiale ed invocare l'animalismo integralista ed un (certamente necessario) miglior rapporto con la natura mi pare una resa. La Comunità globale in costruzione richiama alla mente la "fattoria" di Orwell, non certo l'idilliaco mondo del Fraticello di Assisi.

Il tuo indirizzo l'abbiamo avuto tramite altri lettori.

Un caro saluto

 

 

comunicato

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